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Reportage
21 giugno 2018 - Esteri - Siria - Grazia
Ho visto piangere le jihadiste italiane

Solo gli occhi marroni di Sonia spuntano da sotto il niqab, il velo nero che la avvolge come un fantasma. «Con lo Stato islamico ho perso tutto: la mia vita e il marito. Adesso sono prigioniera e una

terrorista agli occhi del mondo», ammette con amarezza la jihadista italiana catturata dai curdi nel nord est della Siria. «Mi aggiusto il niqab», esordisce prima di cominciare a parlare, come se fosse una modella del fondamentalismo islamico. I suoi due bambini, la vispa Jenen di quasi 3 anni e Abed al Rahman di solo 4 mesi non si staccano un attimo dalla mamma coperta dalla testa ai piedi con una temperatura di 45 gradi. Sonia Khediri era la “baby jihadista” scappata da casa in provincia di Treviso a soli 17 anni per inseguire la guerra santa. La jihadista italiana che oggi ne ha 21 è indagata per terrorismo internazionale dalla procura di Venezia. I curdi, dopo difficili trattative, mi permettono di incontrarla nella parte «normale» del campo per sfollati di Heyn Issa. Sonia è in custodia in un’area super sorvegliata della tendopoli assieme a un migliaio di altre jihadiste straniere e i loro bambini catturati dopo la caduta nel 2017 di Raqqa, la storica “capitale” siriana del Califfato. Tedesche, francesi e tante maghrebine sposate con i mujaheddin dello Stato islamico.

Sonia è stata adescata in Rete da un giovane tunisino, Hamza Al Abidi, che l’ha convinta a raggiungerlo in Turchia dove si sono sposati. Nel 2015, qualche mese dopo aver partorita la prima figlia, la coppia jihadista ha raggiunto Raqqa lungo i canali delle bandiere nere. «La cosa bella di Daesh è che ero libera» sottolinea Sonia, che mescola l’italiano a qualche parola in arabo. E spiega

banalmente: «Mi sono convinta ad aderire allo Stato islamico perché nei video che giravano a Raqqa le donne uscivano con il niqab. Volevo vivere come loro». Al suo fianco c’è Maryam Ahmed Mohammed, una marocchina pure lei prigioniera, che insiste per mandare i saluti agli zii «a Brescia e Napoli. Se Allah vuole, ci rivedremo presto». Sonia vuole farsi passare per semplice “casalinga” del Califfato, ma in realtà sul profilo Facebook aveva composto da Raqqa il suo nome con i proiettili e la foto di una jihadista coperta dalla testa ai piedi dal niqab, che imbraccia un fucile mitragliatore con alle spalle la bandiera nera dello Stato islamico. Suo marito è stato ucciso dal bombardamento mirato di un drone americano all’inizio dell’assedio di Raqqa. «Ho amato Daesh, lo Stato islamico, pensando di fare la scelta giusta e invece ho perso la mia vita», ammette Sonia, che vive da prigioniera sotto una tenda con i bambini. Sulle decapitazione e brutalità del Califfato prende le distanze. E racconta di quando è andata al suk di Raqqa vedendo un uomo, già ucciso, ma appeso come carne da macello. I martellanti bombardamenti russi e alleati sono serviti a farle cambiare idea sullo Stato islamico invincibile per volere di Allah. «Alle 11 di notte il cielo si è illuminato di rosso e abbiamo sentito arrivare 20 missili», racconta la jihadista di Treviso. Per rendere l’idea agita il braccio con il pugno chiuso mimando l’arrivo dei missili: «Uno dietro l’altro: boom, boom, boom. Era tutto distrutto». Le jihadiste europee chiedono a gran voce di tornare a casa. «Voglio tornare in Italia », dichiara Sonia,

«ma ho paura di finire in carcere e di non vedere più i miei bambini».

A camp Roy, il secondo centro di prigionia per le famiglie dei mujaheddin nella Siria controllata dai curdi, ho scovato un’altra seguace del Califfo partita dall’Italia. Meriem Rehaily, 22 anni, originaria del Marocco, è stata condannata il 12 dicembre dal tribunale di Venezia a quattro anni di carcere per avere aderito allo Stato islamico. La giovane jihadista è stata data prima per morta e poi rientrata clandestinamente in Europa. In realtà, è da sei mesi prigioniera dei curdi con i suoi due figli. La ragazza con la pelle ambrata, che mostra il volto incorniciato dal velo, scoppia a piangere quando parla della mamma: «Mi manca tanto e non vedo l’ora di riabbracciarla». La latitante rincorsa da un mandato di cattura internazionale non ha dubbi: «Voglio tornare in Italia, anche se dovrò andare in carcere».

Non è stato facile trovarla nel campo off limits per la stampa vicino al confine iracheno. L’intelligence organizza l’incontro con la latitante nella stanzetta delle guardie. Meriem ci tiene a far vedere e filmare il figlio più grande, Farouk, nel passeggino e chiede: «Può mostrarlo ai miei genitori?».   

Anche in questo campo ci sono oltre mille jihadiste straniere con la prole. «Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente. Dall’Isis ho subito un lavaggio del cervello», spiega Meriem. «Prima vivevo come una normale adolescente che andava a scuola e usciva con gli amici. Poi ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata in Siria». Anche lei è stata adescata via internet e, una volta giunta a Raqqa attraverso la Turchia, ha sposato un palestinese volontario della guerra santa. «Mi sono pentita», singhiozza fra le lacrime, ma alle compagne di scuola mandava infuocati proclami intercettati dal Ros dei carabinieri di Padova: «Se mi chiamate terrorista ne vado fiera! Meglio vivere qui che tra di voi Kuffar», tra voi infedeli. Per lo Stato islamico Meriem faceva l’hacker, e scongiura a mezza voce di non dire altro «altrimenti i curdi mi sbattono in cella di rigore». Anche lei, come Sonia, fugge da Raqqa prima che si stringa l’assedio. Meriem è convinta che «ci sono troppi jihadisti giunti in Europa all’insaputa dei governi». E rivela di conoscere tante jihadiste che sono riuscite a scappare attraverso la Turchia: «Ma non posso dire i loro nomi». La terrorista del Veneto è tornata in contatto con i genitori che cercano di riportarla a casa. Il papà Redouane e la mamma Khadija hanno scritto una toccante lettera alle autorità curde nel nord est della Siria. «Abbiate misericordia di questa famiglia che vive nell’inferno di avere perso la figlia», scrivono i genitori dalla provincia di Padova. «Una famiglia che non ha nessuna colpa se non quella che l’Isis ha rubato se non quella che l’Isis ha rubato il fiore più bello della loro vita: Meriem».


video
18 febbraio 2016 | Terra! | reportage
La guerra dei russi in Siria
Chi l’avrebbe mai pensato di ritrovarmi faccia a faccia con i russi in Siria. Negli anni ottanta, durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, il faccia a faccia con l’Armata rossa mi costò sette mesi di galera a Kabul. Gli inviati Fausto Biloslavo, Sandra Magliani, Lorena Bari e Anna Migotto documentano la guerra in Siria, l’immigrazione, i profughi, i morti ed i bombardamenti L’immigrazione, la guerra in Siria, i morti, i profughi che premono alle frontiere della Turchia cercando un varco per l’Europa, i bombardamenti.

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25 gennaio 2016 | Tg5 | reportage
In Siria con i russi
La guerra dei russi in Siria dura da 4 mesi. I piloti di Mosca hanno già compiuto 5700 missioni bombardando diecimila obiettivi. In queste immagini si vedono le bombe da 500 o 1000 chili sganciate sui bersagli che colpiscono l’obiettivo. Un carro armato della bandiere nere cerca di dileguarsi, ma viene centrato in pieno e prende fuoco. In Siria sono impegnati circa 4mila militari russi. La base aerea a 30 chilometri dalla città siriana di Latakia è sorvolata dagli elicotteri per evitare sorprese. Le bombe vengono agganciate sotto le ali a ritmo continuo. I piloti non parlano con i giornalisti, ma si fanno filmare con la visiera del casco abbassato per evitare rappresaglie dei terroristi. Il generale Igor Konashenkov parla chiaro: “Abbiamo strappato i denti ai terroristi infliggendo pesanti perdite - sostiene - Adesso dobbiamo compiere il prossimo passo: spezzare le reni alla bestia”. Per la guerra in Siria i russi hanno mobilitato una dozzina di navi come il cacciatorpediniere “Vice ammiraglio Kulakov”. Una dimostrazione di forza in appoggio all’offensiva aerea, che serve a scoraggiare potenziali interferenze occidentali. La nave da guerra garantisce la sicurezza del porto di Tartus, base di appoggio fin dai tempi dell’Urss. I soldati russi ci scortano nell’entroterra dilaniato dai combattimenti. Negli ultimi tre anni la cittadina era una roccaforte del Fronte al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. Le bombe russe hanno permesso ai governativi, che stavano perdendo, di riguadagnare terreno. Sul fronte siriano i militari di Mosca usano il blindato italiano Lince. Lo stesso dei nostri soldati in missione in Afghanistan.

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08 settembre 2013 | Tg5 | reportage
La battaglia di Maalula perla cristiana
Fausto Biloslavo, appena arrivato in Siria si trova al centro degli scontri tra governanti e ribelli. Il video terribile ed il racconto della battaglia

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radio

02 luglio 2015 | Radio24 | intervento
Siria
La famiglia jihadista
"Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli”. E’ uno dei messaggi intercettati sulla strage di Charlie Hebdo scritto da Maria Giulia Sergio arruolata in Siria nel Califfato. Da ieri, la prima Lady Jihad italiana, è ricercata per il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale. La procura di Milano ha richiesto dieci mandati di cattura per sgominare una cellula “familiare” dello Stato islamico sotto indagine da ottobre, come ha scritto ieri il Giornale, quando Maria Giulia è arrivata in Siria. Il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli ha spiegato, che si tratta della “prima indagine sullo Stato Islamico in Italia, tra le prime in Europa”.

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02 dicembre 2015 | Radio uno Tra poco in edicola | intervento
Siria
Tensione fra Turchia e Russia
In collegamento con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. In studio conduce Stefano Mensurati.

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23 gennaio 2014 | Radio Città Futura | intervento
Siria
La guerra continua


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