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31 maggio 2019 - Interni - Italia - Il Giornale
Menzogna sui migranti “Bimba morta a bordo” Poi la Marina salva tutti
«I migranti riferiscono che una bambina di 5 anni è morta a bordo» di un gommone alla deriva spara via twitter Alarm phone, il centralino dei talebani dell\'accoglienza accusando la Marina militare di non intervenire per prestare soccorso. Peccato che quasi in contemporanea al tweet, il pattugliatore Cigala Fulgosi salva ben 100 migranti. A bordo non c\'era nessuna bambina morta, ma per ore i talebani dell\'accoglienza hanno addirittura evocato lo spettro del nazismo sulla Marina militare.
«Di fatto si sta creando una specie di Centro di ricerca e soccorso targato Ong con il numero francese di Alarm phone, che pensa di gestire i salvataggi o pseudo tali al posto degli Stati. Addirittura con ricognizioni aeree, che poi danno ordini alle navi militari» sbotta una fonte del Giornale in prima linea nella lotta all\'immigrazione clandestina. E aggiunge: «Il numero francese delle Ong lo usano anche i trafficanti sotto mentite spoglie, o meno, per sollecitare i soccorsi».
L\'ennesima storiaccia delle Ong comincia mercoledì mattina quando l\'aereo di ricognizione Moonbird, della tedesca Sea watch decolla da Lampedusa per sorvolare il Mediterraneo. Settanta miglia a nord di Tripoli, in acque di competenza della Guardia costiera libica, avvista un gommone con un centinaio di migranti a bordo e posta una foto. Il natante viaggia spedito nel mare calmo e non sta minimamente affondando, ma l\'Ong volante lancia subito l\'allarme.
I libici, come ha scoperto il Giornale, fanno salpare una motovedetta per intercettare i migranti, che si guasta e deve tornare indietro. Nel frattempo viene allertato Alarm phone, che si scatena a colpi di tweet. Il gommone arriva a 80-90 miglia dalla Libia, in direzione di Lampedusa e comincia ad avere problemi al motore e al galleggiamento. In ogni caso il porto sicuro più vicino rimane la Tunisia, ma in zona c\'è il pattugliatore Fulgosi impegnato per l\'urgenza sicurezza della crisi libica.
Le Ong sparano a zero sulla Marina militare colpevole di non intervenire. Il no global Luca Casarini, portavoce di Mediterranea, sotto indagine per favoreggiamento dell\'immigrazione clandestina, pontifica: «Ci sono molti bambini e donne incinte. @ItalianNavy è in zona. Dovete farli morire per il risultato delle elezioni?».
In realtà la Marina ha sempre tenuto sotto controllo la situazione lanciando un elicottero e altri velivoli anche in volo notturno per evitare disastri. Quando Alarm phone spara la balla della bambina morta l\'unità navale sta lanciando il soccorso alle 8.40 di ieri mattina. I marinai recuperano 100 migranti comprese 17 donne e 23 minori, che dovrebbero venire sbarcati a Genova secondo il Viminale.
Nelle stesse ore, per far montare ad arte l\'indignazione, Sea watch fa circolare un video del 23 maggio girato da Colibrì, il secondo aereo delle Ong. Si vedono dei migranti in mare vicini a un gommone in difficoltà. Uno annega e ovviamente la colpa è della nave militare Bettica nelle vicinanze. L\'unità si trova a due ore di navigazione, non una, come propagandato dalle Ong. E il gommone è a 43 miglia dalla Libia, sempre in acque di soccorso di Tripoli. Non a caso interviene la motovedetta Fezzan, che recupera i migranti in difficoltà. Nave Bettica aveva inviato un elicottero, che ha «constatato l\'avvenuto recupero dei migranti» da parte dei libici. Le gravi accuse delle Ong sono «del tutto false e strumentali! Non permetto a nessuno di dire che la nostra Marina Militare abbia ignorato il soccorso di persone in pericolo di vita» annuncia Elisabetta Trenta, ministro della Difesa.
La verità è che stanno riprendendo gli sbarchi: in maggio, fino a lunedì, erano arrivati 711 migranti, ma negli ultimi due giorni sono approdate altre 66 persone che si sommano ai 100 recuperati da nave Fulgosi.
[continua]

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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05 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
Islam, matrimoni forzati e padri assassini
Nosheen, la ragazza pachi­stana, in coma dopo le spranga­te del fratello, non voleva spo­sarsi con un cugino in Pakistan. Il matrimonio forzato era stato imposto dal padre, che ha ucci­so a colpi di mattone la madre della giovane di 20 anni schiera­ta a fianco della figlia. Se Noshe­e­n avesse chinato la testa il mari­to, scelto nella cerchia familia­re, avrebbe ottenuto il via libera per emigrare legalmente in Ita­lia. La piaga dei matrimoni com­binati nasconde anche questo. E altro: tranelli per rimandare nella patria d’origine le adole­scenti dove le nozze sono già pronte a loro insaputa; e il busi­ness della dote con spose che vengono quantificate in oro o migliaia di euro. Non capita solo nelle comuni­tà musulmane come quelle pa­chistana, marocchina o egizia­na, ma pure per gli indiani e i rom, che sono un mondo a par­te.

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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