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Reportage
23 marzo 2022 - Esteri - Ucraina - Panorama
Kiev la guerra in faccia
Fausto Biloslavo
KIEV - Marina, bella ragazza ucraina dal sorriso solare e i capelli rossi, è una miracolata. “Sono scappata da casa mia all’arrivo dei russi. Ho preso la bicicletta, zaino in spalla e via” racconta in ottimo italiano davanti ad un camion dei volontari che rischiano la vita per portare medicine e viveri alle città assediate. I suoi genitori vivono a Forlì e lei ha mandato il figlio in Italia per metterlo al sicuro. “Le colonne dei carri armati russi le ho incrociate due volte - spiega come se fosse normale - La prima era composta da una ventina di tank. Mi sono finta morta, ma i soldati hanno capito che qualcosa non andava e volevano spararmi. Poi si sono resi conto che non ero una combattente e mi hanno lasciato andare”. Marina alla fine è riuscita ad arrivare in bicicletta a Kiev dopo aver percorso 30 chilometri in mezzo all’invasione. Adesso si è arruolata nella resistenza. Nella sede dei patrioti ucraini un kalashnikov è appeso sotto la bandiera blu europea con le stelline.
SMS DI GUERRA
A Kiev, sotto le bombe russe, si sopravvive con le unghie e con i denti o si muore. Una grande capitale europea con 3 milioni di abitanti si è svuotata della metà della popolazione in fuga dalla guerra, dove ogni giorno si ripete la sirena dell’allarme aereo come nella seconda guerra mondiale. Gli sms delle autorità che arrivano sui telefonini non lasciano ben sperare: “In caso di esplosione sdraiati a terra coprendo la testa con le mani. Corri al rifugio. Aiuta i feriti. Non entrare negli edifici danneggiati”.
Un mese fa, prima dell’invasione del 24 febbraio, arrivavano i messaggini di promozione dei locali trendy aperti fino a notte fonda. Adesso il coprifuoco, talvolta anche di giorno, ha trasformato la capitale in una città fantasma. Dal 14 marzo Kiev viene colpita da missili e razzi, che spesso non hanno una logica militare, ma forse puntano a terrorizzare e far svuotare la città dai civili per l’assalto finale.
La vita nella capitale può scivolare via prima dell’alba, alle 5 del mattino, quando i razzi Grad colpiscono una palazzina in vecchio stile sovietico. E’ morto, così, nel sonno, un anziano che viveva al terzo piano, ma gli ordigni hanno sfondato da una parte all’altra anche la stanza di un bambino. Sul lettino pieno di calcinacci sono rimasti una piccola chitarra, un paio di armi giocattolo e SpongeBob la spugna dei cartoni animati. Volodym, ultrasettantenne ancora sotto shock ricorda “una terrificante esplosione che mi ha buttato giù dal letto. Ho toccato la fronte e scendeva del sangue”.
Le strade di Kiev, ampie e trafficate, non sono più le stesse di prima. La capitale è stata trasformata in un dedalo di barricate, posti di blocco e trincee scavate nei parchi. I cavalli di Frisia dovrebbero fermare i tank russi assieme alle mine per ora allineate sotto i guardrail, ma pronte all’uso. Per bloccare le strade sono stati usati anche i vecchi tram, una terribile cartolina simile a quella di Sarajevo all’inizio dell’assedio.
IL CAMPO DI BATTAGLIA
Le bombe su Kiev sono solo l’antipasto, ma quello che potrebbe accadere è già realtà nei sobborghi di periferia. La torretta del carro armato russo è volata via, ribaltata a terra dalla furia dell’artiglieria ucraina. Il resto è un ammasso annerito di lamiere e cingoli fusi dal fuoco.
Pavlov è un ufficiale della difesa territoriale in mimetica e kalashnikov corto da paracadutista che ci scorta al fronte di Stoyanka ad un passo dalla periferia ovest di Kiev.
La colonna di carri russi puntava sulla capitale arrivando in forze lungo l’M06, lo stradone che abbiamo davanti disseminato di automobili carbonizzate o sforacchiate dai proiettili. La colonna di fumo nero, poche case più in là, ci fa compagnia da quando siamo arrivati sul fronte. Ancora più avanti ad 800 metri dai russi un razzo centra un edificio sprigionando del fumo nero come la pece dal buco sulla facciata. “Andiamo via perché i russi geolocalizzano i telefonini e puntano l’artiglieria” ordina il riservista con i capelli bianchi.
Ad un paio di chilometri si sente bene la raffica dei lanciarazzi multipli, gli eredi dei famigerati organi di Stalin. Non sempre, però, sono a distanza di sicurezza.
SOTTO I RAZZI RUSSI
Il primo sibilo fa già capire che butta male. Mi getto a terra nel canale in mezzo al fogliame e la granata esplode fragorosa in mezzo alla foresta sulla sinistra. Non più di 40 metri, ma gli alberi fanno da scudo alla sventagliata di schegge. I civili in fila indiana che sperano nella salvezza, dopo la fuga da Irpin, sono travolti dal panico. Il secondo colpo arriva proprio davanti a noi, a 30 metri, sul posto di blocco dell’esercito ucraino all’ingresso del sobborgo della capitale che sta cadendo nelle mani dei russi. Il nuovo sibilo, prima dell’impatto, mi fa appiattire ancora di più a terra. L’esplosione alza una colonna di fumo con un fragore che spacca i timpani. E’ il panico totale: i soldati ucraini si ritirano di corsa ed i civili corrono impazziti da tutte le parti.
Ogni giorno è così davanti a Kiev dove i russi stanno lentamente portando a termine la manovra a tenaglia che vuole stritolare la capitale da nord. Nelle prime 72 ore di escalation con le bombe sulla capitale è caduto sul campo un giornalista al giorno e 35 feriti. E’ tutto maledettamente pericoloso e complicato. Anche gli ucraini hanno il dito sul grilletto. Ad un posto di blocco ci scambiano per sabotatori russi travestiti: mani sul cruscotto, mitra puntati e ordini  secchi per i controlli.
LA GRANDE FUGA
Sotto le bombe e la neve che cade fitta i civili di Bucha, Hostomel e Irpin scappano senza tregua. Un’anziana con il giubbotto lilla l’hanno piazzata in un carrello della spesa per portarla in salvo. L’odissea è drammatica al ponte fatto saltare in aria dagli ucraini all’ingresso di Irpin per rallentare l’avanzata russa. Una visione dantesca: sotto la navata ancora in piedi, dall’altra parte, sono un migliaio i civili pigiati uno all’altro nella disperata attesa di passare il fiume. Soprattutto donne, bambini, adolescenti e anziani che devono percorrere un’instabile passerella. Nella fila indiana di chi è appena passato una mamma rincuora il figlio piccolo disperato in braccio a un soldato: “Arthur non piangere, papà arriva, papà arriva”.
La strada che arriva dalla città è un cimitero di automobili abbandonate dai civili in fuga. I colpi di artiglieria si fanno più vicini e una colonna di fumo nero si alza a meno di un chilometro davanti ai primi palazzi bianchi di Irpin. Eduardo è un volontario “suicida” che con un furgoncino entra ad Irpin per evacuare chi rimane indietro. Ci buttiamo dentro e a folle velocità rischiamo di finire in bocca ai russi.
Il furgoncino si ferma davanti un rifugio dove sopravvivono sotto terra da giorni degli anziani al lume di candela. Appena un vecchietto ci vede alza il bastone e urla “Slava Ukraina” (Gloria all’Ucraina).
Alla prima postazione alla periferia di Kiev sulla via dedicata al generale sovietico Naumov, esperto di guerriglia, si riversa il dolore. Il civile ferito alla gamba, il militare colpito su una barella e gli sfollati in lacrime che raccontano di razzi, proiettili o case in fiamme. I bombardamenti li rincorrono anche alla periferia di Kiev. Olga ai primi colpi di artiglieria troppo vicini si raggomitola, terrorizzata, in un angolo dietro un chiosco e inizia a pregare tenendo stretto il cane.
Sul fronte ovest i poliziotti con giubbotti antiproiettile e kalashnikov urlano “davai, davai” (vai, vai) alle macchine con le bandiere bianche che formano una lunga colonna in fuga. Una signora bionda di mezza età, che piange a dirotto, racconta fra i singhiozzi: “Stavamo fuggendo quando hanno iniziato a sparare e sparare”. Gli autobus gialli con la croce rossa caricano gli sfollati per trasferirli in stazione dove i treni vengono presi d’assalto in un caos che ricorda il film “Il nemico alle porte” sull’assedio di Stalingrado. I padri spingono le figlie sui vagoni diretti verso ovest, i mariti si separano dalle mogli con le lacrime agli occhi e in mezzo all’urlo delle sirene dell’allarme aereo il capo treno dà l’ordine da stato di guerra: “Solo donne e bambini”.
LE CATACOMBE DI KIEV
Chi resta passa la notte nei rifugi come le stazioni della metropolitana trasformate in bunker, dove la musica struggente del violoncello di un giovane artista fa compagnia ai civili. Materassini per terra con intere famiglie che si sistemano sotto i grandi schermi della pubblicità. Ragazzini che dormono nei vagoni della metro sono attaccati ai video giochi che simulano la guerra vera in superficie. “Ero andato a casa per prendere qualcosa da mangiare quando è piombato il missile vicino alla torre della televisione. Stavo aprendo la porta e un’ondata di calore mi ha gettato a terra. Sono scappato di corsa nella metropolitana” racconta Alexander, un ragazzone. Quindicimila persone passano ogni notte nella metropolitana, ma le catacombe della capitale ucraina sono anche i rifugi sotto le scuole o quelli più angusti dei condomini. Nell’ospedale centrale di Kiev, 300 pazienti, soprattutto bambini, sono stati spostati nei rifugi.
Victoria, ultrasettantenne, è stata chiamata così dal padre entrato a Berlino con l’Armata rossa nel 1945. Oramai vive sottoterra e ammette la sua paura più grande: “Che scoppi la terza guerra mondiale”.
[continua]

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20 luglio 2014 | Russia 1 | reportage
Gli uomini neri
La guerra civile in Ucraina sempre più sanguinosa e dimenticata schiera in prima linea un reparto fedele a Kiev, che arruola volontari europei provenienti da Italia, Svezia, Finlandia, paesi Baltici e Francia. Il battaglione Azov, accusato di simpatie naziste, sta combattendo con i suoi 250 uomini sul fronte orientale dell'Ucraina contro i ribelli filo russi. Una dozzina di volontari stranieri, che giurano di non venir pagati, hanno già prestato giuramento. Altri 24 stanno arrivando e su Facebook, il veterano francese della guerra in Croazia, Gaston Besson, ha lanciato da Kiev un appello all'arruolamento. Per giorni abbiamo seguito dalla base di Berdyansk, nell'est del paese, il battaglione Azov, che è sotto il controllo del ministero dell'Interno. Fra i volontari europei, l'italiano Francesco F. ha lasciato la vita da manager per combattere al fianco degli ucraini contro i ribelli filo russi. Il cecchino svedese, Mikael Skillt, uno dei pochi a parlare a viso scoperto, ha una taglia dei separatisti sulla testa. E fra loro c'è pure un russo che vorrebbe abbattere il governo di Mosca. Per il colore della divisa e la provenienza dall'estrema destra ucraina ed europea sono conosciuti come "gli uomini neri".

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07 marzo 2014 | TG5 | reportage
In Crimea arrivano i volontari serbi
SEBASTOPOLI - Folti barboni, mimetiche, coltellacci alla cintola e sulla spalla il teschio con le tibie incrociate, simbolo del sacrificio in nome del popolo slavo. Si presenta così una ventina di cetnici, i paramilitari serbi, arrivati in Crimea per dare man forte ai filo russi. Non è stato facile trovare l’avanguardia dei “lupi” come vengono chiamati i volontari giunti dalla Serbia.

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01 febbraio 2014 | MezziToni | reportage
Sulle barricate di Kiev
Piazza Maidan, l'Ucraina e le mille facce della rivolta contro il regime del presidente Viktor Yanukovich.

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16 aprile 2014 | Radio IES | intervento
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Una nuova Crimea


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27 marzo 2014 | La notte di radio uno | intervento
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Crimea, i trenta giorni che sconvolsero l'Europa


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26 maggio 2014 | RadioVaticana | intervento
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Il nuovo presidente ucraino e la guerra civile nell'Est
I rapporti con Mosca, la crisi economica, la secessione del Donbas e lo spettro della guerra civile sempre più sanguinosa.

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