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Articolo
26 settembre 2022 - Esteri - Mondo - Panorama 60 |
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Il giro del mondo fra guerre e carestie |
Il 13 novembre 2001 Kabul è libera. Un’aspra battaglia con carri armati e colonne di mujaheddin, calati dalla valle del Panjsher con l’appoggio dei B-52 americani, apre la strada per la capitale. I talebani sono in fuga. Dopo aver visto in tv il crollo delle Torri gemelle ho preparato lo zaino partendo per l’Afghanistan. Due mesi più tardi entro a Kabul con i mujaheddin anti talebani, un “regalo” indimenticabile il giorno del mio quarantesimo compleanno. Le donne si avventurano per strada sollevando il burqa, i corpi di un manipolo di terroristi di Al Qaida tagliati fuori vengono dileggiati dalla popolazione ed i bambini tornano, finalmente, a far volare gli aquiloni. Se l’11 settembre segna una svolta epocale, i dieci anni precedenti registrano il passaggio dalla cortina di ferro a un mondo senza più equilibri, che al posto di pace e stabilità porta confusione. LA GUERRA ALLE PORTE DI CASA Nel 1992 mai avrei pensato di mettermi al volante di una scassata Polo targata TS arrivando in poche ore nell’inferno di una guerra etnica alle porte di casa. All’ingresso di Sarajevo stritolata dall’assedio, che causerà solo nella capitale bosniaca 11mila morti, vengo fermato a un posto di blocco di giovanissimi miliziani croati. Ragazzotti appena maggiorenni con la mimetica nuova di zecca imbracciano spavaldi il kalashnikov. Tutti hanno i capelli rasati a zero, a parte alcune ciocche a forma di U, orgogliosa dimostrazione che sono gli eredi degli ustascia, i miliziani del regime croato di Ante Pavelic fedele al Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale. La Jugoslavia multietnica forgiata nel nome del socialismo sta liberando gli spettri del passato che si sono materializzati per regolare i conti lasciati in sospeso da Tito. Durante una notte di battaglia alle porte di Sarajevo assediata, i bengala illuminano il fronte rendendo la prima linea ancora più cupa. Le esplosioni delle granate di mortaio sono intermittenti, ma dopo ore di ferro e fuoco lasciano il posto alla nebbia dell’alba circondata da una calma irreale. Dalle trincee serbe spunta un anziano miliziano armato di moschetto con una coperta a tracolla come i soldati della prima guerra mondiale. La bustina dell’esercito jugoslavo è calcata sulla testa. Al posto della stella rossa, strappata via, c’è l’antico simbolo della dinastia Karađorđević, la monarchia jugoslava che ispirò i partigiani anti-comunisti durante la Seconda guerra mondiale. I cetnici hanno combattuto a fasi alterne contro i tedeschi per poi venire sterminati dalla polizia segreta di Tito a guerra finita. Lo spaventoso conflitto in Bosnia Erzegovina provoca 100mila morti, ma l’implosione della Jugoslavia durerà dieci anni facendo nascere nel sangue sette nuovi stati al posto delle repubbliche unite da Tito in una pentola a pressione esplosa dopo la sua morte. IL PASSO VERSO EST Gli altri paesi dell’Europa orientale si sono scrollati di dosso la cortina di ferro in maniera più morbida con pochi sprazzi sanguinosi. Gli anni novanta segnano l’avvio del grande cambiamento geopolitico dell’Europa, che si concluderà nel 2004 con l\'ingresso di 10 nuovi paesi nella Ue. L’effetto domino del crollo del muro di Berlino causa la fine dei regimi comunisti e dell’Unione sovietica. Una stagione affrontata forse con troppo entusiasmo e scarsa visione del futuro prima dalla Commissione di Bruxelles guidata da Jacques Delors e dal 1999 da Romano Prodi, che porta in dote l’Euro. Un allargamento seguito di pari passo dalla Nato, che oggi ha in parte provocato la guerra in Ucraina. Nella Russia degli anni novanta, sorta sulle ceneri dell’Urss, arriva al potere Boris Eltsin bombardando pure il Parlamento riottoso di fronte al nuovo “zar”. E all’ombra del Cremlino crescono gli oligarchi che si spartiscono le ricchezze sovietiche. L’ERA CLINTON Dall’altra parte dell’Oceano il decennio è dominato dal 42imo presidente americano, Bill Clinton, alla Casa Bianca dal 1993 al 2001. Un democratico che scatena guerre e interventi azzardati (Somalia e Kosovo) girandosi dall’altra parte o abbozzando dove avrebbe dovuto fare di più (Ruanda e Osama bin Laden). Il suo fiore all’occhiello, l’accordo di Oslo con la stretta di mano fra il premier israeliano Yitzhak Rabin ed il leader palestinese, Yasser Arafat, finisce male. Rabin viene ucciso da un estremista sionista che lo considera un traditore e riesplode l’Intifada. Nonostante sia un presidente che per due mandati gestisce crisi da far tremare i polsi sarà ricordato soprattutto per l’impeachment provocato dal rapporto orale con la stagista Monica Lewinsky poi concluso in una bolla di sapone. AFRICA ROSSO SANGUE La buona notizia arriva dal Sud Africa, che si lascia definitivamente alle spalle l’apartheid con l’arrivo al potere di un guerrigliero detenuto, Nelson Mandela. Il primo presidente “nero” riesce a condurre la transizione senza scatenare una guerra civile con i bianchi. La cattiva notizia è che il Sud Africa, dopo Mandela, paga lo scotto delle piaghe endemiche del continente come malgoverno e corruzione. La Somalia con la fine del regime di Siad Barre nel 1991 sprofonda in un caos senza fine che si trascina ancora oggi. Clinton manda i marines con il cappello dell’Onu e noi dietro in nome degli stretti rapporti con l’ex colonia. La missione “Restaurare la speranza” si trasforma in un disastro segnato dal massacro di 18 soldati americani, che diventerà un film di guerra, Black hawk down. Panorama, con una copertina nera, rivela i casi di torture e abusi sessuali in Somalia da parte dei soldati italiani, che a lungo andare finiscono in niente con un solo colpevole, poi prescritto, il maresciallo Ercole. Al checkpoint Pasta i paracadutisti della Folgore si scontrano con i miliziani del generale Aidid che usano i civili come scudi umani nella prima, vera, battaglia dalla fine della seconda guerra mondiale. Tre caduti e 36 feriti fra i nostri e centinaia di somali morti o feriti, ennesimo epitaffio sulla missione dell’Onu. La vera Africa rosso sangue è il Ruanda travolto dal genocidio di quasi 1 milione di persone in due mesi e mezzo. Lungo la strada principale per Kigali, la capitale, basta tirare giù il finestrino della jeep e annusare l’aria. Quando diventa dolciastra a pochi metri dall’asfalto, nella foresta, trovi subito i cadaveri dei civili uccisi a colpi di machete. Da una spianata di fosse comuni, piallata con i bulldozer, spuntano le braccia e le gambe delle vittime seppellite alla rinfusa che diventano banchetto per le fiere. Gli hutu massacrano i tutsi, che si vendicano una volta messi in fuga gli aguzzini grazie all’esercito guerrigliero dell’attuale padre padrone del Ruanda, Paul Kagame. IL PRIMO EMIRATO I mujaheddin afghani, che con l’aiuto Usa hanno sconfitto negli anni ottanta l’Armata rossa, vincono la guerra, ma perdono la scommessa della pace. Una volta abbattuto il regime comunista a Kabul nel 1992 si scannano fra loro per la spartizione del potere. L’anarchia favorisce la nascita dei talebani, gli studenti guerrieri tirati su a Corano e moschetto dalle madrasse di confine pachistane. Nel 1996 entrano a Kabul fondando il primo emirato e concedono ospitalità ad Osama bin Laden che aveva combattuto contro i sovietici. Assieme al medico egiziano Ayman al Zawahiri fondano Al Qaida, la rete del terrore. Clinton risponde ai primi attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania, con una raffica di missili sui campi di al Qaida in Afghanistan. Peccato che sono in parte vuoti. I terroristi affiliati a Bin Laden li trovo nel Kashmir pachistano. Nella base spicca un grande poster di Rambo con la fascia verde dell’Islam attorno alla testa e uno slogan illuminante: “Jihad for peace”, guerra santa per la pace. LE BOMBE SUI SERBI Clinton comincia a bombardare i serbi nel 1994. Non riesce ad evitare la strage di Srebrenica, 8mila musulmani passati per le armi dalle milizie del generale Ratko Mladic e sepolte in fosse comuni. Alle prime riesumazioni fa impressione la madre che ha cercato di fare scudo con il suo corpo al figlio falciati entrambi dalle raffiche. I polsi sono legati dietro la schiena con il filo di ferro, lo stesso metodo utilizzato dai partigiani titini mezzo secolo prima per gli infoibati italiani. Le bombe Usa fermano la guerra in Bosnia e Clinton ci riprova nel 1999 in difesa del Kosovo, provincia albanese della Serbia, che si sta ribellando armi in pugno a Belgrado. I 73 giorni di raid della Nato li vivo sotto le bombe incrociando le colonne di profughi albanesi in fuga dal Kosovo o passando la notte in un bunker alla periferia di Belgrado, martellata dai missili Tomahawk, in mezzo ai serbi che mi guardano in cagnesco. Il Kosovo viene “liberato” dal contingente italiano guidato dal generale Mauro Del Vecchio e diventerà indipendente, anche se assomiglia ad una Tortuga di traffici e criminalità nel cuore dell’Europa. |
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16 giugno 2016 | Tgcom24 | reportage
Gli occhi della guerra, l’arte imperitura del reportage
Presentazione Gli occhi della guerra e del documentario "Profughi dimenticati" dal nord dell'iraq
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12 ottobre 2017 | Tele Capodistria | reportage
Gli occhi della guerra
"Gli occhi della guerra" sarà questo il tema della prossima puntata di Shaker, in onda venerdì 13 ottobre alle ore 20.
Nostro ospite FAUSTO BILOSLAVO, giornalista di guerra che, in oltre 35 anni, ha vissuto e raccontato in prima persona la situazione su tutti i fronti più caldi: Libano, Afghanistan, Iran, Iraq, ex Jugoslavia... e ultimamente Ucraina, Libia, Siria...
Cosa vuol dire fare il reporter di guerra? Com'è cambiato questo "mestiere"? Perchè è ancora così importante? Come mai tanti giovani vogliono farlo? Quali consigli dargli?
Tante le domande cui cercheremo di dare risposta.
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18 ottobre 2019 | Sna | reportage
100 anni degli agenti di assicurazione
Il palco del Centenario Sna ha accolto anche Fausto Biloslavo, oggi certamente il più famoso e tenace reporter di guerra. Attraverso fotografie e filmati tratti dai suoi reportage nelle zone dei conflitti, Biloslavo ha raccontato la sua vicenda professionale, vissuta fra pericoli e situazioni al limite del disumano, testimonianfo anche l’orrore patito dalle popolazioni colpite dalla guerra. Affrontando il tema del coraggio, ha parlato del suo, che nonostante la quotidiana esposizione della sua vita a rischi estremi gli permette di non rinunciare a testimoniare la guerra e le sue tragiche e crudeli conseguenze. Ma il coraggio è anche di chi la guerra la subisce, diventando strumento per l’affermazione violenta delle ragioni di parte, ma non vuole rinunciare alla vita, alla speranza. E lottare per sopravvivere richiede grande coraggio.
Sebbene possa sembrare un parallelo azzardato, lo stesso Biloslavo, spiega che il coraggio è sostenuto dalla passione, elemento necessario in ogni attività, in quella del reporter di guerra come in quella dell’agente di assicurazione.
Il coraggio serve per cominciare da zero, ma anche per rialzarsi quando si è colpiti dalle difficoltà o per adattarsi ai cambiamenti, è il messaggio di Biloslavo alla platea del Centenario.
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radio
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17 dicembre 2018 | Tracce Radio Rai FVG | intervento |
Mondo
Guerra guerra guerra
35 anni di reportage in prima linea
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22 ottobre 2009 | Radio24 | intervento |
Mondo
Libertà di stampa
In Italia la libertà di stampa è
sempre più in pericolo per colpa del
solito Cavalierenero,mentregli Stati
Uniti fanno unbalzo in avanti graziealnuovomessiademocraticoBarack
Obama. Lo stabilisce l’annuale
rapportodiReporterssansfrontières,
i giornalisticonil nasino all’insùche
considerano l’Italia alla stregua di
Bielorussia e Zimbabwe. Politicamentecorretti,
hannoelevatogliStati
Uniti dal 40˚ posto al 20˚, solo perché
non c’è più George W. Bush. E
declassato l’Italia al 49˚. Obama ha
incassato un Nobel per la pace preventivoeconquistatol’aureola
della
libertà di stampa.Nonche negli Usa
mancasse, ma è curioso che il 15
maggio proprio i Reporter senza
frontiere (Rsf) lanciavano strali contro
il nuovo inquilino della Casa
Bianca. «L’organizzazione è delusa
dalladecisionedelpresidente(Obama)
diporreilvetosullapubblicazione
delle 44 fotografie che ritraggono
l’esercitoamericanomentreabusae
torturai prigionieriafghanieiracheni
», si legge inuncomunicato di Rsf.
Jean-Francois Julliard, segretario
generalediRsf,ammettechenelbalzoinavantidegliUsahacontato
«l’effetto
Obama». Peccato che la Casa
Biancastiasparandocannonateverbalicontrola
tvFoxNewsreadicriticare
il presidente. «Non è più un organo
di informazione», «li tratteremocome
un partito d’opposizione»
hanno tuonato i portavoce. La Fox è
da tempo esclusa dalle interviste ad
Obama, limitata nell’accesso alle
fonti governative e ai suoi giornalisti
vengononegate ledomandedurantegliincontriconlastampaallaCasa
Bianca. L’editore dell’agguerrita tv è
RupertMurdoch.Rsfnonsimobilita
moltoper lasuaFoxnegli Usa,main
Italialodifende,considerandolominacciato
da Silvio Berlusconi.
Sui 175 Paesi nella classifica sulla
libertà di stampa siamo scivolati dal
35˚postodel 2007,quandoc’eraRomanoProdi,
al44˚delloscorsoanno
e al 49˚ odierno.Unabocciatura che
nonsi capisce benecomesalti fuori.
Nella classifica l’Italia si è beccata
12,4 voti negativi. I voti si basano su
un questionario, che è stato consegnato
a diverse decine di giornalisti,
professoriuniversitari,attivistideidirittiumanieavvocatidelnostroPaese.
Nonostante le richieste del Giornale
la lista dei «giurati» è segreta.
Peroraanchele12,4bacchettatesulla
libertà di stampa non sono state
ufficializzate. Sfogliando il facsimile
delquestionarioèovviocheinItaliai
giornalistinonvengonoammazzati,
torturatiosbattutiincarcerebuttandovia
la chiave.Comeaccadein Eritrea,
inTurkmenistaneinIran,gliultimi
tre Paesi della classifica di Rsf.
Nonèmaicapitatocheleforzearmateoilgoverno
abbianochiusoconla
forza giornali o televisioni, come si
chiede nel questionario.
SecondoRsf«lepressionidelCavaliere
sui media, le crescenti ingerenze
», ma pure «le violenze di mafia
controi giornalisticherivelano le attività
di quest’ultima eundisegno di
legge che ridurrebbe drasticamente
lapossibilitàperimediadipubblicareleintercettazionitelefoniche,
spiegano
perché l’Italia perda posizioni
per il secondo anno consecutivo».
Julliard, capoccia dell’organizzazione,
avevagiàannunciatoildeclassamento
in occasione della manifestazione
sulla libertà di stampa del 3
ottobre scorso a Roma. Al fianco di
SabinaGuzzanti,lacomicaantiCav,
minacciò:«Troppepressionisuimedia,
SilvioBerlusconirischiadi finire
nella lista dei predatori della libertà
di stampa» come la mafia. «L’Italia
nonguadagneràcertoposizioni»,avvertì.
Il preveggente francese ha però
sbagliato qualche calcolo. Il nostro
Paeseèstato retrocessoancheper le
querele miliardarie di Berlusconi a
Repubblica e altri giornali. ScorrendolaclassificadiRsfsiscoprechesiamo
stati battuti pure dal Sud Africa,
piazzato al 33˚ posto. Peccato che il
discutibile presidente sudafricano,
JacobZuma,abbia querelato perun
milione di dollari il vignettista JonathanShapiro.
Nonsolo:unprogrammasulla
satira è stato censuratodue
volte in tv,maZuma,si sa, èpiù simpatico
del Cav.
www.faustobiloslavo.eu
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20 ottobre 2009 | Radio Uno | intervento |
Mondo
Rassegna stampa - Ultime da Babele
Cmmento ai giornali fra il mito del posto fisso ed i problemi del Medio Oriente.
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06 luglio 2015 | Radio Capodistria | intervento |
Mondo
Non solo Califfato
Una panoramica della situazione internazionale e il ricordo di Franco Paticchio, grande Direttore ed Editore dimenticato
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14 gennaio 2019 | Peter Pan Radio Rai FVG | intervento |
Mondo
I bambini e la guerra
In 35 anni di reportage i drammi dei bambini, le vittime innocenti dei conflitti
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