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12 dicembre 2011 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Pensioni, case, indennità: ecco la casta con le stellette
La casta per definizione è quella dei politici e anche noi giornalisti che li criti­chiamo non sempre possiamo lanciare la prima pietra, ma nel­­l’Italia dei privilegi pure i generali e gli ammiragli non scherzano. Gli alti ufficiali sono tanti, trop­pi, secondo qualche fonte il 30% in più del necessario, per un eser­cito volontario che verrà ridotto di ulteriori 40mila uomini. I capi di stato maggiore tirano i remi in barca con una liquidazione che sfiora il milione di euro e 15mila euro di pensione. Non solo: i verti­ci delle forze armate, compresi Ca­rabinieri e Finanza, godono di una speciale indennità pensiona­bile di 409mila euro lordi, che in tempi di vacche magre salta agli occhi. Oggi lo Stato sta pagando ol­tre 4 milioni di euro per questa in­dennità ad personam .
La chiamano S.I.P. e non ha niente a che fare con la vecchia compagnia telefonica. Nel 1981 il primo a godere della speciale in­dennità pensionabile era stato il capo della polizia. Nel corso degli anni si sono aggiunti il comandan­te della guardia forestale ed il di­rettore generale delle carceri. Le stellette hanno brontolato chie­dendo, per certi versi a ragione, uguali diritti e così la SIP è stata ga­rantita anche al comandante ge­nerale dei carabinieri, a quello del­la Finanza ed ai capi di stato mag­giore delle Forze armate che sono 4 (Difesa, Esercito, Aeronautica e Marina), oltre che al segretario ge­nerale e direttore degli armamen­ti.
Un generale a tre stelle non arri­va a 6.500- 7.000 euro al mese, me­no della metà di tanti alti dirigenti dello stato. Nel momento in cui viene nominato capo di stato mag­giore, con la responsabilità su de­cine di migliaia di uomini, forse è giusto garantirgli un’indennità di carica. Anche se 22.755 euro in più al mese per 13 mensilità «rive­lati » in una proposta di legge che addirittura voleva allargare il pri­vilegio ai vice, non sono bruscoli­ni. Dalla precedente gestione del­la Difesa non siamo riusciti ad ot­tenere le cifre esatte, ma secondo le fonti de il Giornale e di stampa stiamo parlando di 409mila euro lordi che corrispondono ad oltre 250mila euro netti.
L’aspetto più controverso è quel termine «pensionabile». In pratica la speciale indennità vie­ne poi riconosciuta per calcolare la pensione. Dalla Difesa scrivo­no che «si tratta di indennità (...) soltanto parzialmente pensiona­bi­le istituita per eliminare o quan­tomeno
attenuare il grande diva­rio all’epoca esistente con i vertici delle Forze di Polizia». Fonti de Il Giornale , però, sostengono che la SIP è quasi totalmente pensiona­bile, a parte una decurtazione che si aggirerebbe sul 10%. In definiti­va le stellette che sono state ai ver­tici delle Forze armate si godono una pensione che si aggira sui 15mila euro. «Le responsabilità che hanno assunto sono elevatis­sime e quindi non mi sembra scan­daloso - sostiene una fonte de il Giornale nelle Forze armate che conosce i conti - Invece è scanda­loso il tentativo di estenderla an­che ad altri» come i vicecoman­danti ed i vicari.
In Italia i generali delle Forze ar­mate sono 425.
Negli Stati Uniti gli alti ufficiali sono 900, ma coman­dano 1 milione e 400 mila uomini, sette volte più di noi.
Secondo una fonte de il Giorna­le che conosce il­problema genera­li ed ammiragli potrebbero essere
anche il 30% in più del necessario, compresi i carabinieri. Per non parlare della Finanza e degli altri corpi di sicurezza della Stato. E dei privilegi garantiti a 44 alti uffi­ciali, che beneficiano di apparta­menti da 600 metri quadrati com­presi di battitura tappeti e lucida­tura dell’argenteria. La spesa per lo Stato sarebbe di 3 milioni e mez­zo di euro l’anno.
Non è un caso che nel piano di tagli in via di preparazione sia pre­vista una drastica riduzione degli alti ufficiali. Non solo: La Difesa sta studiando un taglio di almeno 40mila uomini su 190mila, che do­vrebbe presentare entro fine an­no al nuovo ministro, Giampaolo Di Paola. Per la prima volta è stato nominato al vertice un ammira­glio ancora in servizio, anche se ol­tre l’età prevista per la pensione. Proprio Di Paola è il fautore del nuovo «Modello di Difesa» che
prevede la riduzione degli organi­ci a circa 120/140mila uomini.
Le spese del personale assorbo­no il 62% delle risorse della Difesa (quasi 9 miliardi di euro).L’obie­t­tivo è arrivare ad un costo del 50% senza tagliare le unità operative. Nelle missioni all’estero,compre­s­e quelle di guerra come in Afgha­nistan, sono impegnati fra 10 e 12mila uomini. Il problema è che i tagli hanno ridotto all’osso l’adde­str­amento ed il prossimo anno po­trebbero esserci 3mila volontari in meno da arruolare per mancan­za di soldi. «Già adesso i bandi per ufficiali e sottufficiali hanno nu­meri sempre più ridotti. Si rischia che le forze armate diventino an­cora più “vecchie”» spiega una fonte de il Giornale sottolineando l’altra faccia della medaglia rispet­to ai tagli.
Per snellire la Difesa bisogna si­curamente
continuare sulla stra­da della chiusura degli enti inutili.
Interi reparti esistono più o meno sulla carta. Dal 2008 il program­ma di dismissioni che dovrebbe portare alla vendita di 200 caser­me, 3.000 alloggi e 1.000 installa­zioni va avanti a rilento. Spesso molti degli immobili sono occupa­t­i da abusivi o gravati da incredibi­li intoppi burocratici, anche se le norme per la dismissione si stan­no sbloccando. Gli accorpamenti necessari riguarderanno la logisti­ca, ma sacrifici, secondo il capo di stato maggiore della Difesa, Bia­gio Abrate, coinvolgeranno «so­prattutto le strutture di comando e supporto alle categorie dirigen­ziali ». Anche sulla sanità militare si addensano critiche. Centinaia di posti letto e camici con le stellet­t­e dispersi in tutta Italia si occupa­no sempre più di certificazioni di invalidità. L’ufficiale medico può esercitare all’esterno, ma se gli chiedono di andare in prima linea in Afghanistan spesso marca visi­ta.
Un’altra realtà controversa è l’ausiliaria.Quando il militare rag­giunge i limiti di età, o dopo 40 an­ni di contributi, può fare doman­da per questo istituto, che dura 5 anni. In pratica serve a garantirgli
«il 70 per cento degli incrementi di stipendio riconosciuti al pari grado in servizio». Un ufficiale in ausiliaria può venir richiamato nella provincia di residenza, ma capita per una piccola minoran­za. Ai tempi della guerra fredda serviva alla mobilitazione genera­le in caso di conflitto, ma oggi l’au­siliaria è un po’ desueta.
Dalla Difesa fanno notare che da quest’anno fino al 2014«l’istitu­to è di fatto sterilizzato» perché gli stipendi dei militari sono blocca­ti. Non durerà per sempre, si spe­ra, ed in ogni caso l’ausiliaria pesa nell’ultimo bilancio della Difesa per 326,1 milioni di euro, con un incremento minimo dello 0,7%. Soldi che secondo alcuni, nelle Forze armate, sarebbe meglio uti­lizzare per stipendi più adeguati al personale in servizio e realmen­te operativo.

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[continua]

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
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Gli occhi della guerra
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