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13 marzo 2012 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Identikit dei soldati (quasi) perfetti
Fino allo scorso anno gli Sta­ti Uniti avevano 103mila uomini in Afghanistan. Il numero di soldati più alto fra tutti gli alleati della Nato. Le mele mar­ce non mancano a cominciare dal sergente impazzito e ubriaco che ha sterminato 16 civili, compresi dei bambini. Però la stragrande maggioranza dei GI, come vengo­no chiamati da sempre i soldati a stelle e strisce, fanno il loro dovere nelle aree più «calde» del Paese. Il fronte sud, con la provincia di Kan­dahar, «culla» dei talebani dove è avvenuta l’assurda strage non è mai stato pacificato. Gli america­ni sono in prima linea anche nel­l’Afghanistan orientale, lungo il confine colabrodo con il Pakistan retrovia dei talebani. Non solo: la missione nel Paese al crocevia del­­l’Asia può durare anche un anno. Nelle basi più confortevoli i solda­ti cercano di mantenere i contatti con la fidanzata o la famiglia, via internet, ma non è facile. Negli avamposti sperduti le truppe ame­ricane possono rimanere isolate per mesi con cambi ogni due­quattro settimane, via elicottero. Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano pagato il tributo di san­gue più alto nella coalizione per­dendo 1910 uomini. E il picco mas­simo in un decennio di guerra si è registrato nel 2011 con il presiden­te Barack Obama alla Casa Bian­ca. I soldati americani operativi portano a casa ogni anno circa 99mila dollari, 75mila euro, ma per il 60% si tratta di benefit come un alloggio, il trattamento sanita­rio anche per i figli e l’istruzione. La paga che arriva in tasca a un mi­litare con due anni di esperienza è di 17.982 dollari. Per un sergente già veterano, come il responsabi­le del massacro, si arriva a 31.946 l’anno. Non sono grandi cifre per ri­schiare la pelle ogni giorno, ma as­sieme alle mele marce l’Afghani­stan ha prodotto anche degli eroi. Il più conosciuto è Salvatore Giun­ta, un sergente paracadutista di origine italiana, classe 1985, decorato con la Me­daglia d’Onore, che non veniva concessa a un militare in vita dai tempi del Vietnam. Il presidente Obama gli ha conse­gnato la decorazione nel giugno del 2011. Quattro anni prima ave­va salvato la vita di alcuni compa­g­ni di squadra durante una terribi­le imboscata in Afghanistan, che decimò il reparto.
Aggregato ai marines nell’Afgha­nistan meridionale ho visto come
questi uomini uscivano in pattu­glia a piedi mettendo ogni volta nel conto che potevano non tornare. Per questo tenevano più mostrine negli stivali o da altre parti del cor­po, per poi venir riconosciuti se sal­tavano per aria in mille pezzi. Du­rissimi nei combattimenti diventa­vano degli orsacchiotti davanti ad un bambino afghano che chiede­va una bottiglia d’acqua.
Il problema è che le guerre do­po l’11 settembre hanno assorbi­to un incredibile numero di uomi­ni e provocato una parallela dimi­nuzione
degli arruolamenti, che sono arrivati a percentuali del 40% in meno. Il risultato è che non si va tanto per il sottile nel recluta­re i nuovi GI. Non solo: si è arrivati a punte del 30% di reclute, che do­po i primi sei mesi abbandonava­no la divisa. Secondo i dati del di­partimento dei veterani, dal 2002 al 2009, hanno prestato servizio in Iraq e Afghanistan, un milione di uomini. Ben 460mila hanno avu­to bisogno di aiuto di vario genere una volta rientrati in patria. A 220.800 sono stati diagnosticati problemi mentali legati soprattut­to allo stress post traumatico da combattimento. I loro commilito­ni dilaniati in prima linea o le gravi perdite fra i civili in Irak e Afghani­stan hanno segnato per sempre una generazione di soldati.
Dal 2001 il tasso di violenza do­mestica dei veterani rientrati dal­la prima linea è aumentato del 75%. Per non parlare dei suicidi fra i militari. Dopo l’11 settembre sono calati per la prima volta solo nel 2010 con 156 casi.
Nel 2005, in piena guerra globa­­le al terrorismo, mentre crollava il numero di americani volontari, le forze armate Usa contavano nei lo­ro ranghi 30mila stranieri prove­nienti da 100 paesi diversi. Tre an­ni prima il presidente George W. Bush aveva promesso la cittadi­nanza lampo a chi si arruolava.
Le forze armate Usa contano su un milione e mezzo di uomini e al­trettanti nella riserva. Stiamo par­lando del secondo esercito del mondo, dopo la Cina, in termini nu­merici. I GI sono dispiegati in 150 paesi nel mondo,compresa l’Italia dove i militari americani risultano poco meno di 10mila. E tutti i repar­ti operativi, compresi quelli di stan­za a casa nostra, prima o dopo han­no combattuto sui fronti più duri in
Irak e Afghanistan.
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24 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
Gli orfani di Kabul
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18 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
I campi del terrore ed i documenti di Al Qaida
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28 ottobre 2012 | TGCOM | reportage
Così sono saltato in aria in aria su una trappola esplosiva con i soldati italiani in Afghanistan
L’esplosione è improvvisa, quando meno te l’aspetti, lungo una pista arida, assolata e deserta, che si infila fra le montagne. Non hai neppure il tempo di capire se sei vivo o morto, che la polvere invade il super blindato Cougar fatto apposta per resistere alle trappole esplosive. E’ come se la mano del Dio talebano afferrasse il bestione da 14 tonnellate in movimento fermandolo come una macchinina giocattolo. “Siano saltati, siamo saltati” urla alla radio il tenente Davide Secondi, che conduce la missione per stanare gli Ied, le famigerate trappole esplosive. E poi sbotta: “Porco demonio”.

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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie


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