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16 aprile 2012 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Talebani scatenati a Kabul, Nato umiliata
«È oltre ogni immaginazione. Si sentono raffiche, boati pazze­schi e le strade sono deserte. I tale­bani hanno paralizzato Kabul» ci racconta Behzad Panjshiri dalla capitale afghana. «Un razzo è esploso poco distante dal mio uffi­cio alla radiotelevisione. Un altro è piombato sul tetto senza saltare in aria, per fortuna. Tanti civili so­no bloccati sul lavoro o nei mini­steri », spiega un altro testimone della domenica di paura.
I talebani hanno scatenato l'in­ferno non solo a Kabul, con alme­no sette attacchi contemporanei contro il Parlamento, le ambascia­te occiden­tali e cercando di far fuo­ri uno dei due vicepresidenti afga­ni.
Per la prima volta commando suicidi della rete Haqqani, un clan con coperture e retrovie in Pakistan, si sono scatenati anche nell'Est colpendo aeroporti, caserme e convogli. «È solo l'ini­zio dell'offensiva di primavera. Deci­ne di mujahed­din hanno con­dotto operazioni a Kabul e nelle province di Lo­gar, Paktia e Nan­gahar » ha annun­ciato il portavoce Zabibullah Mujahed. Da un pun­to di vista militare lo sciame di attacchi taleba­ni­non ha avuto grande suc­cesso, ma psicologicamente è sembrato che gli insorti siano in grado di mettere a ferro e fuoco Ka­bul, il cuore dell'Afghanistan e le province circostanti.
L'ora X scatta alle 14 di ieri, le 11.30 in Italia, con piccole cellule suicide che attaccano contempo­raneamente in sette zone diverse della capitale. Scontri feroci scop­piano in piazza Zanbaq con gli in­sorti annidati in un palazzo in co­struzione da dove bersagliano la vicina ambasciata tedesca e lo Star hotel. Dalla rappresentanza di Berlino si alzano colonne di fu­mo nero, ma i talebani colpiscono anche l'ambasciata russa, quella britannica e il quartier generale dell'Isaf, la missione Nato in Af­ghanistan. Le cellule sono riuscite a violare la zona ultraprotetta a Wazir Akbar Khan, dove si trova­no i ministeri e il palazzo presiden­ziale. Il fuggi fuggi è generale: le donne si levano le scarpe scappan­do a piedi nudi, per correre più ve­loci. Nell'area risuona il suono lu­gubre delle sirene.
Ma è solo l’inizio: con la tattica di trincerarsi su edifici elevati, vici­ni agli obiettivi, i talebani attacca­no il Parlamento nella parte occi­dentale della capitale. E riescono a prendere degli ostaggi, secondo il deputato Mohamed Naeem La­lai.
I parlamentari, con le loro scor­te, resistono rispondendo al fuo­co. In realtà il principale obiettivo è uno dei due vicepresidenti, lo sci­ita Karim Khalili. Un commando con i giubbotti esplosivi si dirige verso la sua residenza, vicina al Parlamento, ma viene intercetta­to. Due kamikaze ed una «talpa» fi­niscono in manette prima che si facciano esplodere.
Nel frattempo, dall'altra parte della città, lungo la strada che por­ta verso il Pakistan, l'ennesimo commando prende d'assalto il campo di addestramento Ghazi. Il presidente Hamid Karzai, che per assurdo doveva incontrare una delegazione di insorti dispo­nibili a negoziare, viene scortato in un bunker. «Si sentono distinta­mente botti e spari che si
interval­lano in diverse parti della città » te­stimonia il nunzio apostolico Giu­seppe Moretti.
Si combatte anche ad un centinaio di metri dall'ospe­dale dell'ong italiana Emergency. Il reporter Andrea Cucco vede arri­vare i primi feriti e racconta che «gli attacchi sembravano cessati, ma poi sono ripresi». Mentre par­la al telefono si sentono fischiare le pallottole.
Gli elicotteri della Nato entrano in azione, ma i talebani si scatena­no anche nelle province vicine a Kabul. Due kamikaze si fanno esplodere all'aeroporto di Jalala­bad, la più importante città dell'Af­ghanistan orientale. Uno di loro, come molti insorti dei comman­do
di ieri, è travestito da donna, con il burqa che lo copre dalla te­sta ai piedi. Altri due aspiranti sui­cidi vengono fermati in tempo.
Il numero delle vittime sale di ora in ora. Ieri sera si parlava di 19 morti a Kabul. Al Parlamento e al­lo Star hotel i combattimenti sono continuati durante la notte. Nes­sun ferito o vittima fra gli italiani, ma il nostro contingente di 4mila uomini, che presidia la parte op­posta dell'Afghanistan, è in stato di massima allerta.

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24 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
Gli orfani di Kabul
Gli orfani di Kabul

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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14 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il giorno dopo la liberazione di Kabul
Il giorno dopo la liberazione di Kabul

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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie


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