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29 novembre 2013 - Prima - India - Il Giornale
Nuovo colpo basso dell’India: i militari trattati come pirati
Lo spettro della pena di mor­te torna ad aleggiare sulla testa dei marò. La polizia antiterrori­smo indiana ha consegnato lu­nedì sera il rapporto sull’inchie­sta contro Massimiliano Lator­re e Salvatore Girone con l’accu­sa di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati nel febbra­io 2012. Gli investigatori della Nia caldeggiano, secondo il giornale Hindustan Times ,l’ap­plicazione di una legge che pre­vede la pena di morte.
In marzo il governo indiano per bocca del ministro degli Esteri, Salman Khurshid, aveva escluso la possibilità del patibo­lo. Ci si attende che il giudice ri­duca la portata delle accuse escludendo la pena di morte, ma è indubbio che gli indiani, ancora una volta, ci assestano un colpo sotto la cintura. Loro giocano duro e noi facciamo i di­plomatici sposando il basso profilo, totalmente incapaci di battere i pugni sul tavolo.
Il quotidiano
 Hindustan Ti­mes rivela che la Nia «ha racco­mandato per i marines italiani l’applicazione del Sua act, una legge che prevede la pena di morte». La norma sulla sicurez­za della navigazione, approva­ta nel 2002, è molto chiara all’ar­ticolo 3: «Chiunque provochi la morte in mare di altre persone deve essere punito con la pena capitale». Ironia della sorte la legge indiana è stata fortemen­te voluta per reprimere la pira­teria. Se fosse applicata ai ma­rò, imbarcati su una nave italia­na per contrastare la minaccia dei pirati, sarebbe tragicomi­co.
Gli investigatori hanno con­segnato il rapporto, che chiude l’inchiesta,al ministero dell’In­terno, che sul caso Latorre e Gi­rone non va d’accordo con quel­lo degli Esteri. Ed era stato il ca­po della diplomazia di Delhi, Kurshid,ad assicurare all’Italia che la pena di morte non sareb­be mai stata applicata.
Secondo l’ Economic
 Times , un altro giornale indiano, il mi­nistero dell’Interno si è trovato «in imbarazzo» con la patata bollente dell’antiterrorismo sulla pena capitale. Il ministro ha intenzione di chiedere un pa­rere sui capi d’accusa contro i marò alla procura generale.
«Il caso (dei marò) non ha le caratteristiche di un crimine punibile con la morte», ha di­chiarato ieri all’agenzia Ansa, Syed Akbaruddin, portavoce del ministero degli Esteri india­no. La responsabile della Farne­sina, Emma Bonino, ha preso la palla al balzo sostenendo che il rischio della pena capitale «è già stato ufficialmente esclu­so ». La diplomazia indiana, pe­rò, sembra tagliata un po’ fuori
 dagli ultimi sviluppi. Alla fine sarà il giudice del tribunale ad hoc previsto per i marò,che de­ciderà i capi d’accusa da conte­stare agli imputati e quali leggi applicare nel processo vero e proprio.
L’inviato speciale del gover­no italiano, Staffan De Mistura, ha definito la possibilità che venga chiamata in causa la pe­na capitale «inconcepibile e neppure da prendere in consi­derazione ». Da poco rientrato dall’ennesima missione in In­dia ha dichiarato: «Avevo già detto che la Nia poteva essere tentata di alzare il tiro, ma con­ta la posizione del giudice e del­le autorità indiane. A quel pun­to abbiamo le nostre mosse e contromosse». Non è chiaro quali siano, ma per il momento
 i fatti parlano chiaro: Latorre e Girone sono da 648 giorni tratte­nuti in India, la sciagurata deci­sione di riconoscere la giurisdi­zione indiana sta portando a tempi sempre più dilatati e a un processo tutto in salita. Anche se la Nia l’ha sparata grossa con la pena di morte e verrà ridi­mensionata, i marò non posso­no­certo accontentarsi di salvar­si il collo magari beccandosi 10 o più anni di galera.
Nulla è certo, soprattutto in vista di una campagna elettora­le inf­uocata per il voto naziona­le di maggio, che rischia di coin­cidere con il processo. Altro che ritorno a casa a Natale, con una condanna lieve, come si sperava. Il destino dei marò ri­sc­hia di finire nel tritacarne pro­pagandistico del candidato del­l’opposizione.
 Il nazionalista indù Narendra Modi non avrà problemi a invocare una con­danna esemplare per racimola­re voti. 

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08 gennaio 2014 | Vita in diretta | reportage
Il caso marò nella palude giudiziaria indiana
Gli indiani vogliono i marò al­la sbarra, forse per torchiarli, an­che se l’antiterrorismo non ha ancora presentato il volumino­so rapporto d’accusa contro Massimiliano Latorre e Salvato­re Girone. Il processo «speciale» ai fucilieri di Marina è partito ieri con un rinvio al 30 gennaio. Il pubblico ministero aggiunto, Siddharth Luthra, a nome della polizia antiterrorismo (Nia), vo­leva obbligare i marò a presen­tarsi in aula. Non solo: gli investi­gatori pretendono che vengano intrapresi «i passi appropriati per garantire la custodia» di La­torre e Girone, secondo il giorna­le The Hindu . Il pm ha poi precisato: «Non sto dicendo che devono essere fi­sicamente presi in custodia», ma passare sotto la completa tu­tela della cort­e speciale del giudi­ce Darmesh Sharma e venire al­la sbarra. Fonti italiane a Delhi gettano acqua sul fuoco, ma gli indiani fanno sapere al Giornale che la Nia «vuole interrogare an­cora i fucilieri di Marina». E non escludono ulteriori sviluppi. I marò non si sono presentati al­l’udienza di ieri e attraverso i lo­ro legali hanno chiesto di venir esentati anche in futuro. L’unico dato certo è che l’anti­te­rrorismo non ha ancora conse­gnato il rapporto d’accusa. Staf­fan De Mistura, inviato speciale del governo, volato a Delhi, haprecisato che l’ulteriore rinvio «non è stato subito ma voluto dai nostri legali per l'esistenza di troppe zone grigie ed ambiguità da parte indiana».De Mistura ri­badisce: «Non possiamo accetta­re di procedere senza un capo di accusa chiaro e la certezza che non venga evocata la legge sulla repressione della pirateria» che prevede la pena di morte. L’ex ministro degli Esteri Giulio Ter­zi ribadisce che il processo a Delhi «è illegittimo. Affidare la sorte dei nostri ragazzi all’India è profondamente sba­gliato sia giuridicamen­te che politicamente». Secondo fonti india­ne la Nia presenterà «l’at­to d’accusa entro la fine del mese» e sarà pesan­te. I fucilieri di Marina, in servizio anti pirateria, sono accusati di aver uc­ciso due pescatori il 15 febbraio del 2012 al di fuori delle acque territoriali indiane. L’aspetto paradossale è l’esempio che ci sta dando Delhi verso la superpotenza america­na «colpevole» dell’arresto per qualche ora della console india­na a New York. Dopo immediate proteste e rappresaglie il gover­no indiano ha intimato ieri la chiusura di tutti gli esercizi com­merciali e la palestra gestita da locali nel compound dell’amba­sciata degli Stati Uniti. Non solo: le macchine con targa diplomati­ca americana potranno venir multate se violano le norme del traffico.

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03 luglio 2013 | Uno Mattina | reportage
E se i marò fossero innocenti?
E se i marò non avessero mai sparato sul peschereccio St. Anthony, dove la morte di due pescatori indiani ha fatto esplodere una crisi senza precedenti fra Italia e India? Se fossero totalmente innocenti? Lo sostiene Toni Capuozzo in una nuova ricostruzione degli eventi sul fatidico 15 febbraio 2012.

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24 gennaio 2014 | Vita in diretta | reportage
I marò nella trappola giudiziaria indiana


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radio

26 marzo 2013 | Radio24 | intervento
India
I Marò rispediti in India


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26 marzo 2013 | Radio Città | intervento
India
Caso marò: Terzi si dimette. Il ministro della Difesa no


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12 marzo 2013 | Radio 24 - Melog | intervento
India
I due Marò
La storia di Massimilianno Latorre e Salvatore Girone i fucilieri di Marina trattenuti in India per un anno con l'accusa di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati. Sul Giornale.it è raccontata nell'e book "I NOSTRI MARO'", che ripercorre la vicenda attraverso documenti esclusivi, testimonianze, foto e video inediti. Un anno di sgarbi diplomatici, interpretazioni arbitrarie del diritto e umiliazioni, ma anche un anno di retroscena e di battaglie per riportarli a casa. Latorre e Girone restano in Italia, ma la storia non è finita. Ora è sotto tiro il nostro ambasciatore in india, Daniele Mancini, come rappresaglia per il mancato rientro a Delhi dei marò.

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