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Esclusivo
24 febbraio 2017 - Il Fatto - Libia - Il Giornale
Tecnici italiani uccisi in Libia solo per vendicare gli scafisti
U n possibile intreccio fra scafisti e terroristi emerge dal caso dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia nell\'estate 2015. Due di loro, Fausto Piano e Salvatore Failla sono stati uccisi nel deserto un anno fa. Forse bastava dare il giusto peso a una segnalazione giunta all\'Eni, che annunciava sequestri di rappresaglia per evitare il peggio. La procura di Roma ha chiuso l\'inchiesta puntando il dito contro il responsabile per la Libia e i vertici della Bonatti, la società di Parma che lavorava per l\'Eni nell\'impianto di Mellitha, sulla costa di fronte alla Sicilia. Rosalba, la vedova Failla, ringrazia gli inquirenti, ma è convinta «che sia una verità a metà. Esiste anche una responsabilità dello Stato e del governo Renzi. Pretendo tutta la verità».
Un tassello clamoroso è arrivato pochi mesi fa sotto forma anonima nello studio dell\'avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, che rappresenta la famiglia Failla. Il legale l\'ha girato il 15 novembre al pubblico ministro Sergio Colaiocco. «É una comunicazione all\'Eni, che prima del sequestro evidenziava la pericolosità del momento per gli italiani, ma è stata lasciata cadere» spiega Grimaldi. Il 13 luglio, sei giorni prima del sequestro, un contractor (il Giornale ha deciso di non rivelare i nomi) impiegato «come consulente rischi Eni Nord Africa» avvisa del pericolo. Nella mail spiega, che «sulle notizie locali è uscita un\'informativa che nave militare italiana avrebbe arrestato 7 libici (...) con l\'accusa di traffico internazionale di esseri umani». Gli scafisti «si troverebbero ora in custodia della polizia italiana. Secondo rumors locali, azioni di rappresaglia potrebbero essere effettuate contro personale italiano in Libia, secondo lo stampo perpetrato alcune settimane fa contro il personale tunisino (rapimento a scopo di scambio di prigionieri). La situazione viene altamente monitorata (...)».
L\'Eni ha sempre sostenuto di non essere coinvolta e di avere informato la società Bonatti di rischi e pericoli. Però la lettera all\'avvocato, che accompagna la mail, fornisce un\'altra versione. «Mi sono deciso di informarla solo ora in quanto non voglio più portare il peso di una vicenda che ci vede protagonisti e che ha portato alla morte di due uomini» scrive l\'anonimo. Sull\'allarme per possibili rapimenti un responsabile dell\'Eni, indicato con nome e cognome, «ci tacitò con un fatevi i cazzi vostri e pertanto non fu dato nessun seguito alla notizia. Il 19 luglio abbiamo assistito al sequestro dei quattro contrattisti Bonatti. Spero che il mio gesto possa almeno aiutare le famiglie e fare giustizia». L\'avvocato Grimaldi spiega «che a giorni ne sapremo di più leggendo gli atti dell\'inchiesta».
All\'inizio del sequestro era saltata fuori la pista di un possibile scambio fra ostaggi italiani e scafisti dietro le sbarre a casa nostra, ma l\'allora ministro degli Interni, Angelino Alfano, oggi agli Esteri aveva ribadito «che non si tratta». Da Sabrata, dove gli ostaggi italiani sono stati detenuti per otto mesi, partono molti barconi con i migranti. Nella mail si parla di rapimenti di lavoratori tunisini per scambio di prigionieri. I sequestratori degli italiani, secondo la polizia speciale libica di Tripoli, che ha arrestato i sopravvissuti, facevano parte della costola tunisina dello Stato islamico annidata a Sabrata. L\'intelligence ha segnalato che in Libia i terroristi chiedono il «pizzo» ai trafficanti di uomini e hanno tutto l\'interesse a mantenere il flusso di migranti.
«In questo ginepraio l\'ex premier Renzi ha avallato il bombardamento americano dell\'aprile scorso dei terroristi tunisini a Sabrata. E la situazione è precipitata arrivando alla morte di mio marito» denuncia la vedova Failla.
L\'avvocato della famiglia è convinto «che le trattative per liberare gli italiani vennero condotte male. La responsabilità del governo è soprattutto politica, ma bisogna chiarire la storia del bombardamento, la dinamica dell\'eliminazione dei due ostaggi ed il fatto che subito dopo la notizia della loro morte gli altri due siano stati rilasciati. Su questi lati oscuri va fatta piena luce».
[continua]

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La sequenza fotografica, in possesso de il Giornale, dell’imboscata nel deserto del mini convoglio con gli ostaggi italiani, racconta una storia diversa. I corpi dei connazionali non mostrano alcun colpo alla nuca. Altrimenti i volti non sarebbero rimasti integri. Il cadavere di Failla è disteso a fianco di un fuoristrada blu con le portiere aperte. Finestrini, carrozzeria e parabrezza appaiono intatti. Se gli assalitori della katiba "Febbraio al Ajilat-2” avessero sparato subito dovrebbero esserci i segni evidenti di fori di proiettile o schegge di vetro. L’impressione è che gli ostaggi ed i loro carcerieri a bordo del mezzo intatto fossero scesi per arrendersi, ma sono stati falciati lo stesso. I miliziani nelle prime ore sostenevano sulla loro pagina Facebook di aver ucciso “due jihadisti italiani” non immaginando a causa dei barboni lunghi, che fossero gli ostaggi. Il fuoristrada blu è stato dato alle fiamme dopo l’attacco, forse per cancellare le prove.

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