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Reportage
31 agosto 2017 - Copertina - Libia - Panorama
Indietro tutta

Fausto Biloslavo

TRIPOLI - “In sole due missioni ho intercettato 300 migranti in mare ed in altre occasioni sono stato io a bloccare le navi delle Ong troppo vicino alle nostre coste - racconta il tenente di vascello  Naser Al Kamoudy -Adesso mi manca l’olio per il motore e non posso salpare. Voi italiani dovete aiutarci veramente e non con unità vecchie di 20 anni, che hanno sempre problemi”.

L’ufficiale della guardia costiera libica ci accoglie sconsolato a bordo della motovedetta Sabrata, un bestione grigio ormeggiato nella base navale di Abu Sitta nel porto di Tripoli. All’interno tutti i comandi e cartelli sono rimasti in italiano. Sabrata è una delle quattro ex unità della Guardia di Finanza consegnate ai libici per contrastare le partenze dei barconi verso l’Italia. Nel pomeriggio dovrebbero arrivare i meccanici di nave officina Tremiti della marina militare, ormeggiata un centinaio di metri più in là, a dare un’occhiata. Il paradosso è che delle nostre motovedette classe Biliani consegnate ai libici tre sono guaste ed una si trova a Misurata, la Sparta libica ai ferri corti con il governo di unità nazionale di Tripoli. 

Nonostante la mancanza di mezzi e fondi la scassata guardia costiera libica con altre due motovedette ed i gommoni è riuscita da luglio, fino al 16 agosto, a fermare 2379 migranti diretti in Italia riportandoli a terra. “Le partenze illegali si sono drasticamente ridotte grazie ai nostri pattugliamenti, ma soprattutto perché ci sono poche navi delle Ong al largo ad attendere i barconi” spiega il commodoro Ayoub Omr Ghasem, portavoce della guardia costiera. Divisa bianca impeccabile e baffoni da lupo di mare spara a zero sulle organizzazioni umanitarie. “Sono in contatto con i trafficanti, se non collusi - sottolinea l’alto ufficiale - Quando pattugliamo non parte nessuno. Appena ce ne andiamo i barconi prendono il mare verso le navi umanitarie scortati dagli scafisti”. E aggiunge: “I natanti delle Ong fanno da calamita ai flussi migratori. Hanno i loro interessi non solo umanitari: più migranti recuperano in mare, più donazioni raccolgono oltre ai fondi governativi europei”

Il commodoro ci mostra dei video girati di notte a bordo delle motovedette libiche, che registrano anche le comunicazioni radio. Il 27 giugno un ufficiale della guardia costiera di Zawya, con elmetto e mimetica protesta via radio, in inglese, per la vicinanza alla Libia, comunque fuori dalle acque territoriali, di un’unità della nostra marina integrata nell’operazione europea Sophia, che segnala un barcone di legno a 15 miglia dalla costa. “Guardia costiera italiana siete molto vicini alla costa libica. A questa distanza minima (non) aiutate la gente (i migranti ndr) a non morire, ma aiutate i trafficanti ad incassare più soldi. Lo sapete bene”. Dall’altra parte rispondono così: “No…contattate direttamente il comandante sulla nave italiana Foscari. Canale 16”.

Mezz’ora dopo si vede una nave delle Ong tedesca Sea Watch ad 8 miglia dalle acque territoriali libiche con potenti luci accese. “E’ un’esca per i migranti e talvolta usano anche dei bengala per segnalare la loro posizione ai trafficanti” denuncia il commodoro. La guardia costiera libica non sta sparando, neppure in aria, ma un’unità della marina italiana, che deve essere nelle vicinanze, interviene via radio intimando “di lasciarli andare e di abbassare le armi puntate verso di loro”.

Uno degli episodi più clamorosi è avvenuto il 10 maggio davanti a Sabrata. Il comandante Abulagila Abd Elberi al timone della motovedetta libica Kifa riceve un’allerta dal comando di Roma della guardia costiera italiana, su un barcone in difficoltà. L’unità arriva in zona con i motori al massimo. “Una delle navi dell’Ong tedesca Sea watch era ferma. Come ci ha visto arrivare ha acceso i motori - spiega il comandante - Non credevo ai miei occhi, ma cercava di tagliarci la rotta”. A bordo i marinai libici urlano e gesticolano inutilmente. Abulagila tira dritto ed evita per un soffio la collisione. Poco più avanti c’è il barcone con 493 migranti marocchini, sudanesi, pachistani, bengalesi ed un solo siriano. Due scafisti in sella a delle moto d’acqua, come vedono arrivare la motovedetta scappano via a tutta velocità verso la costa. “Avevano accompagnato il barcone fino alla nave della Ong. Era evidente. Sono stati gli stessi  migranti a confermarci che gli scafisti si erano ripresi il timoniere” spiega l’ufficiale della marina libica. Sea Watch ha cercato di fare la vittima sostenendo che la motovedetta voleva speronare la nave umanitaria, ma le telecamere montate a bordo hanno registrato tutta la scena. 

Dal 10 agosto la guardia costiera libica ha esteso l’area Sar, di ricerca e soccorso, a 90 miglia della costa. Il codice di condotta imposto dal ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, ha fatto il resto. “E’ servito a far ritirare alcune Ong dalle operazioni e retrocedere altre. Il traffico dei migranti è subito diminuito (meno 72% dall’1 al 24 agosto rispetto allo stesso mese del 2016 ndr), ma è un successo temporaneo” spiega il commodoro Omr Ghasem. Una fonte italiana a Tripoli aggiunge: “Se dall’altra parte non c’è qualcuno che assicura il passaggio traghettandoli a casa nostra i trafficanti non fanno partire i migranti perché il saldo viene pagato solo quando sono stati recuperati. Non parlatemi di salvataggio”.

Uno dei motivi dello stop è legato proprio al sistema degli intermediari, “samasira” in arabo, che sono dei rappresentanti delle varie nazionalità in fuga verso l’illusorio Eldorado europeo. Piccoli boss etnici nigeriani, sudanesi, etiopi, senegalesi, ma pure bengalesi o pachistani, che raccolgono i soldi dei migranti per l’imbarco. Il trafficante riceve il saldo quando il “cliente” viene recuperato da una nave internazionale o sbarca in Italia. Una specie di pagamento con garanzia. “Per questo si sono fermate le partenze - spiega una fonte libica di Panorama - I trafficanti non mettono in mare i gommoni con il rischio che non arrivino a destinazione perché le navi delle Ong sono diminuite o più lontane. O peggio, che il carico di esseri umani venga riportato indietro dalla guardia costiera. In ambedue i casi non verrebbero pagati”.

Però a terra ci sono ancora fra il mezzo milione e 700mila migranti decisi, prima o dopo, ad arrivare in Europa. Dalla Tripolitania partono sempre meno barconi (vedi altro articolo), ma il rischio è che si aprano nuovi punti di imbarco, come nell’ex base navale di Sidi Bilal davanti al territorio Warshefana, ad ovest di Tripoli, infestato da una milizia criminale. Un altro porto di partenza per i migranti è Garabuli, 66 chilometri ad est della capitale verso Misurata, dove non arriva il governo di Fayez al Serraj. Non a caso sono state segnalate al largo di Garabuli le navi delle Ong irriducibili come la tedesca Sea Watch, che si è rifiutata di firmare il codice di condotta del Viminale. Anche la spagnola Proactive open arms e la maltese Moas continuano le operazioni in mare.

Non solo: I trafficanti potrebbero riorganizzarsi con i vecchi barconi in legno più resistenti per farli puntare dritti su Lampedusa, come capitava in passato, al posto dei fragili gommoni che servono per arrivare alle navi delle Ong vicine alla costa. “Un buon motivo per aiutarci di più - spiega il tenente di vascello Al Kamoudy - I miei uomini hanno una paga di 800 dinari (88 euro al cambio in nero) che possono riscuotere dopo lunghe file davanti alle banche ogni tre mesi, se va bene. Ovvio che mantengono la famiglia con un secondo lavoro. In alcune missioni non avevamo i viveri e siamo stati costretti a fare una colletta per mangiare”.

La seconda unità, ex Guardia di Finanza a Tripoli, è stata cannibalizzata per i pezzi di ricambio e quella dislocata a Zawya ha rotto l’elica. A bordo della nave officina Tremiti arrivata l’8 agosto, i meccanici italiani cercano di fare il possibile, ma non è facile. “Una parte della missione è aiutare tecnicamente e con la manutenzione la guardia costiera e marina libica a mettere più unità possibili in mare” spiega il comandante, tenente di vascello Leonardo La Rocca. Un altro compito è impiantare a terra il Centro di coordinamento congiunto con i libici, operativo a bordo. L’obiettivo è mettere a disposizione le informazioni di tutti i sensori italiani, dai radar ai droni fino ai sistemi di ascolto della flotta nel Mediterraneo, per individuare le partenze dei barconi.

Le Ong accusano la guardia costiera libica di violenze sui migranti e collusioni con i trafficanti. “Dicono che usiamo le armi, ma se spariamo è solo in aria per evitare che scoppi il caos - giurano gli ufficiali libici - Al massimo minacciamo di usare un bastone per mantenere la calma. Pensate a 100 persone su un gommone traballante, in mezzo al mare, che vogliono a tutti i costi andare in Italia e sanno che li riporteremo indietro”. Almeno in un caso, il 18 giugno, la procura di Trapani che indaga sulle Ong tedesca Jugend Rettet ha documentato “una situazione di grave collusione tra singole unità della Guardia costiera ed i trafficanti di esseri umani”.

Le altre sei motovedette classe Vittoria, che il ministero dell’Interno italiano doveva consegnare, sono ancora in cantiere a Biserta, in Tunisia, per rimetterle a posto. Le unità faranno parte della polizia marittima sotto il comando del generale Tarek Shambor. Per il momento dal porto di Tripoli salpa in missione anti trafficanti, grazie a soffiate dei pescatori o da terra, l’unità 07 del ministero dell’Interno pilotata dall’italiano Giulio Lolli, che i libici chiamano Karim dopo la sua conversione all’Islam. Il Corto Maltese di Tripoli è ricercato in Italia per estorsione, ma due corti libiche hanno respinto la richiesta di estradizione. Lolli, ex venditore di yacht, era finito nei guai per bancarotta. Nel 2011 in Libia sperava di trovare riparo, ma Gheddafi lo chiuse in carcere. I rivoluzionari lo liberarono e marciò con loro su Tripoli, dove è rimasto fino ad oggi andando ad evacuare i civili feriti dall’assedio di Bengasi o partecipando dal mare alla battaglia di Sirte contro lo Stato islamico. “Quando urlo ai migranti “sono italiano” si calmano, ma sono confusi perché vedono la bandiera libica. Altrimenti capita che si buttano in mare per non farsi riportare indietro” spiega Lolli a bordo della motovedetta con la scritta “Police”. A bordo gli 11 uomini dell’unità speciale della sicurezza marittima, in gran parte veterani di Sirte, sono armati fino ai denti per affrontare i trafficanti. In luglio sostengono di avere intercettato 500 migranti e hanno l’ordine ci collaborare con la guardia costiera. “Ci sono anche le partenze Vip - rivela Lolli durante un pattugliamento in mare fino a Garabuli - Sono libici che si mettono in società e comprano o affittano una barca più sicura arrivando direttamente in Italia”.

[continua]

video
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06 marzo 2011 | Panorama | intervento
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26 agosto 2011 | Radio Città Futura | intervento
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I giornalisti italiani rapiti a Tripoli


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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
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Una nube nera su tutta Tripoli

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