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20 novembre 2019 - Esteri - Libia - Panorama
Libia penultimo atto

Fausto Biloslavo

Centinaia, forse un migliaio di mercenari non solo russi, guerra dei droni turchi e degli Emirati arabi, conferenza di pace di Berlino in salita e migranti che sbarcano in Italia in netto aumento. Il conflitto in Libia che dura da otto mesi con l’assedio della capitale non è l’ultimo atto di un caos che rischia di peggiorare alle porte di casa nostra. 

L’intelligence occidentale segnala che le forze del generale Khalifa Haftar, in stallo alle porte di Tripoli, si stanno organizzando per sferrare una nuova offensiva contro le milizie governative. Questa volta l’asso nella manica sono i contractor ex sovietici giunti in gran numero nelle ultime settimane per dare man forte nell’attacco alla capitale. 

“L’obiettivo sarebbe occupare un palazzo governativo o un’area della città dove instaurare un nuovo governo, il più ampio possibile, che inizialmente nascerebbe a Bengasi, la roccaforte di Haftar e poi si trasferirebbe a Tripoli chiedendo il riconoscimento internazionale” rivela una fonte di Panorama nella capitale libica. 

La battaglia sarà dura nonostante le milizie di Misurata, la Sparta libica, che tengono la prima linea come il quartiere periferico di Ein Zara siano state decimate. Ufficialmente i morti da marzo sarebbero 1500 e oltre 6mila i feriti, ma i numeri veri sono almeno il doppio. Si stima che solo le truppe di Haftar abbiano perso 2000 combattenti. Per non parlare dei 300mila sfollati, che stanno diventando una bomba umanitaria.

\"La situazione in Libia va complicandosi e l\'attuale conflitto civile si sta trasformando nella più grande guerra di droni al mondo” ha dichiarato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il 13 novembre. Haftar gode della supremazia aerea, ma i turchi hanno fornito droni e probabilmente consiglieri per pilotarli al governo di Fayez al Serraj asserragliato a Tripoli e riconosciuto dall’Onu. In maggio è iniziato l’acquisto per 5 milioni di dollari l’uno dei droni Bayraktar TB2 prodotti da una società del genero del presidente Recep Tayyip Erdogan. Gli Emirati arabi hanno fornito ad Haftar i droni di produzione cinese, Wing Loong,  che costano 2 milioni di dollari ad esemplare. Le Nazioni Unite hanno registrato negli ultimi sei mesi oltre 900 missioni con i droni, anche se quelli turchi sembrano avere raggio d’azione, autonomia e armamento inferiori. I libici non sanno usare i velivoli senza pilota e hanno ingaggiato contractor “ soprattutto dell’area ex sovietica, tutt’altro che dilettanti allo sbaraglio, capaci di utilizzare tattiche moderne e professionali” spiega una fonte militare italiana.

Oltre ai droni ci sono i caccia, anche Mirage e Sukhoi, spesso pilotati da contractor stranieri da una parte e dall’altra. L’aeroporto di Mittiga, l’unico aperto a singhiozzo nella capitale, viene colpito di continuo. Haftar ha anche centrato una sede del ministero dell’Interno durante la visita di una delegazione dell’Onu. Un rapporto ancora secretato degli ispettori delle Nazioni Unite punta indirettamente il dito contro caccia emiratini o egiziani come responsabili del bombardamento di un centro di detenzione dei migranti a Tripoli che ha provocato 53 vittime innocenti. “Anche Misurata è stata bombardata oltre una dozzina di volte, soprattutto la zona dell’aeroporto, dove c’è l’ospedale militare italiano” rivela la fonte militare di Panorama. Si tratta della Task force Ippocrate, con 300 italiani, inserita nella missione più ampia di assistenza e supporto alla Libia comandata dal generale dei paracadutisti Maurizio Fronda. I nostri militari del Savoia cavalleria sono spesso a tiro di bomba, ma continuano a svolgere la missione. La Task force ha messo in piedi un dedalo di bunker anti aerei.

Il ministro dell’Interno libico, Fatti Bashaga, accusa “i russi di essere intervenuti gettando benzina sul fuoco della crisi”. Mosca smentisce, ma nel caos libico è coinvolta la compagnia di contractor Wagner guidata da Yevgeny Prigozhin, soprannominato il “cuoco” di Vladimir Putin, il presidente russo. I suoi uomini sono stati dispiegati in gran numero in Siria, ma pure in paesi del continente nero come la Repubblica Centroafricana. Tutto personale proveniente dalla Russia, ma pure da ex repubbliche dell’Unione sovietica compresa l’Ucraina e quelle dell’Asia centrale. Le stime minime parlano di 200-300 contractor, ma negli ultimi tempi sarebbero arrivati rinforzi a sud di Tripoli per organizzare la nuova offensiva. “Potrebbero esserci un migliaio di mercenari russi in Libia” conferma una fonte occidentale di Tripoli. 

I contractor ex sovietici intervengono anche in prima linea e diversi sono cecchini, che hanno cominciato a falciare con tiri di precisione le milizie avversarie. La carne da cannone è composta da mercenari africani soprattutto del Chad e del Sudan. Forze dell’opposizione ciadiana e un migliaio di sudanesi sono statti segnalati al fianco dell’Esercito nazionale libico di Haftar. L’Onu ha denunciato che il generale sudanese Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, ha inviato in luglio a Bengasi una Forza di appoggio rapido. 

In questo caos sono riprese le partenze dei migranti verso l’Italia favorite dalla politica dei porti aperti del secondo governo Conte. Fino ad agosto, prima della crisi, gli arrivi erano diminuiti rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In settembre con il nuovo esecutivo c’è stata la prima impennata negli sbarchi con 2498 migranti rispetto ai 947 dell’anno prima. In ottobre un altro raddoppio dai 1007 del 2018 ai 2017 di quest’anno. La conferenza di pace di Berlino, che dovrebbe tenersi in dicembre, punta, secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a raggiungere “l’obiettivo del cessate il fuoco”. Ma le speranze di una soluzione negoziale sono ridotte al lumicino.

 

La procura di Agrigento indaga su nave Capri della Marina militare, che era ormeggiata nella base di Abu Sitta a Tripoli e il suo comandante. Per non parlare degli esposti alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia e un piano per attivare anche la Corte penale internazionale dell’Aja. 

Una nave della Marina militare con una sessantina di uomini di equipaggio e container officina è sempre ormeggiata a Tripoli con turni di 4 mesi. Adesso c’è nave Pantelleria. La missione, approvata dal Parlamento, prevede “il supporto tecnico-manutentivo a favore della Guardia costiera libica” e il “rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale” in appoggio a Tripoli.

Il pm Salvatore Vella, della Procura di Agrigento, ha aperto un’inchiesta sulla mare Jonio, la nave del cartello pro migranti di Mediterranea. Il comandante Pietro Marrone e il capo missione Luca Casarini sono indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per uno sbarco del 20 marzo. Ma sta allargando il tiro. Gli avvocati di Mediterranea puntano il dito contro nave Capri, che era in servizio a Tripoli chiedendo di indagare se “abbia funzionato da distaccamento esterno degli uffici della centrale operativa libica” e se i marinai italiani “svolgessero ruoli non solo logistici ma decisionali”. Il comandante della nave, il capitano di fregata Mario Giancarlo Lauria, non ha mai fatto mistero che “il personale militare italiano presente a Tripoli mette a disposizione sistemi di comunicazione a supporto del governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite per il contrasto alle attività illegali e all’immigrazione clandestina”. A bordo c’è una mini sala di controllo che aiuta i libici e sulle 17 navi di Tripoli, 13 sono in grado di prendere il mare grazie agli italiani.

“Da oltre un anno gli avvocati delle Ong ad ogni evento che coinvolge i migranti chiedono subito l’accesso agli atti della Guardia costiera. Ai tempi di Salvini ministro dell’Interno erano ossessivi, ma continuano a raccogliere dossier” spiega una fonte di Panorama. L’obiettivo non sono solo gli esposti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per condannare l’Italia sui migranti, come è già avvenuto. Le falangi legali delle Ong hanno depositato una memoria alla Corte penale internazionale dell’Aja contro l’Unione europea e in particolare Italia, Francia e Germania con l’accusa di crimini contro l’umanità per la gestione della crisi migratoria nel mar Mediterraneo. Il bersaglio più ambito, non ancora rivelato, è proprio Matteo Salvini per la politica dei porti chiusi.

Fausto Biloslavo 


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