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02 dicembre 2020 - Interni - Italia - Panorama
Brigate covid
“Una missiva a firma “Le Nuove Brigate Rosse” (…) chiede la revoca delle misure governative adottate per contrastare la pandemia minacciando la collocazione di ordigni esplosivi presso “sedi giornalistiche, sedi politiche, stazioni ferroviarie, banche e uffici pubblici”. La segnalazione è stata diramata a metà settembre dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Non si tratta dell’unico allarme che il “virus” del terrore sta rialzando la testa sfruttando la debolezza provocata dalla pandemia. “Nell’ultimo mese ci sono state diverse segnalazioni su possibili azioni del terrorismo nostrano e anche di matrice jihadista. L’emergenza dettata dal Covid viene vista come un’ “opportunità” per colpire dalle frange del terrore di vario colore” spiega una fonte di Panorama in prima linea nelle operazioni per garantire la sicurezza del paese.
E un rapporto dell’Onu lancia l’allarme globale sul possibile utilizzo jihadista di “bombe” umane malate di Covid per spargere il virus.
Le nuove Brigate rosse hanno inviato e continuano a farlo nelle ultime settimane “a sedi di partito e amministratori locali di diverse città italiane” lettere minatorie, che allarmano il Viminale. Nell’ordinanza di servizio “Terrorismo - Nuove Brigate Rosse”, in possesso di Panorama, si legge che c’era anche un ultimatum al governo se non avesse allentato le restrizioni anti Covid. I fantomatici nipotini di Curcio avevano minacciato attentati “per il 19 novembre 2020”. Per fortuna nessuna bomba è scoppiata, ma il rispuntare delle “Nuove Brigate Rosse” ha allertato le Questure con l’ordine di “rafforzare i servizi di prevenzione generale e di controllo del territorio già in atto nei confronti di obiettivi sensibili per la circostanza”.
Un’altra allerta è scattata a Torino all’inizio di novembre, pochi giorni dopo lo sgozzamento jihadista alla cattedrale di Nizza da parte di un migrante tunisino sbarcato a Lampedusa e prima dell’uccisione di 4 innocenti a Vienna per mano di un killer della guerra santa. La Questura del capoluogo piemontese ha smentito che fossero minacce di matrice islamica derubricandola a “lettera sconclusionata”, ma uno stralcio dei documenti ufficiali in mano a Panorama rivela che “è stata recapitata (…) una busta indirizzata all’Arcivescovo di Torino contenente un foglio dattiloscritto riportante frasi dal tono particolarmente ingiurioso e minaccioso, sai nei confronti del Vescovo metropolitano sai verso tutti i luoghi di culto della cristianità cattolica”. Per questo motivo è stata predisposta “la massima intensificazione dei servizi di vigilanza e prevenzione nei confronti di tutti i luoghi di culto e simbolo della cristianità presenti nella città metropolitana di Torino, nonché di tutti gli obiettivi sensibili per la circostanza, con particolare attenzione” ad 8 chiese e sedi cattoliche. Il portavoce della diocesi, don Livio Demarie, conferma che la lettera anonima al vescovo Cesare Nosiglia “conteneva insinuazioni e giudizi sulla chiesa cattolica in generale ed il Papa, ma non minacce jihadiste”.
Torino è un’area calda, dove la Digos non sottovaluta un’altra minaccia in tempi di Covid: la saldatura fra ultrà, frange anarchiche e mini bande di giovani magrebini di seconda generazione scaturita in violente proteste contro le restrizioni per contenere il virus. Fra i fermati c’era anche Nizar Haddouni, 18 anni, che vive a Porta Palazzo, e ha ammesso con la stampa locale la “gara a chi faceva più casino. Tra noi e gli altri gruppi di periferia: Vallette, Mirafiori, Barriera Milano”. Secondo Sherif al Sebaie, esperto di politiche di integrazione nel capoluogo piemontese, “alcune periferie non sono un laboratorio di integrazione, ma una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. La pandemia e la relativa crisi economica colpiscono anche questi quartieri”.  Shebaie non ha dubbi: “E’ un mix esplosivo di microcriminalità da parte di bande giovanili composte da marocchini e pure egiziani di seconda generazione sfociato nei saccheggi dei negozi di lusso durante le proteste anti restrizioni per il Covid. Un terreno fertile per la nascita del radicalismo jihadista”. E in Piemonte i processi ai No Tav e alle cellule anarchiche dell’inchiesta Scripta manent definite  “la Champions League dell’eversione” sono un ulteriore campanello d’allarme per l’ordine pubblico.
“L’allerta Nuove Br riguarda diverse questure. La crisi economica provocata dal Covid fa da calamita per frange di estrema sinistra estrema destra, che provano a sfruttare la situazione” conferma la fonte di Panorama che si occupa della sicurezza interna. Gli anarchici insurrezionalisti sono in prima linea e a Bologna è comparsa la scritta “No army” sul cartello che indica il drive in dell’esercito per i tamponi sul virus. A destra, Forza nuova  è molto attiva, con il suo leader, Roberto Fiore, che sui social  denuncia: \"In #Spagna, come in #Italia, i governi della #dittaturasanitaria stanno trascinando il popolo in un abisso di fame, miseria e morte”. E invita alla rivolta contro “il rinchiudere tutti anziché curarne pochi, fino all\'arrivo del ricco vaccino”.
Sul fronte della minaccia jihadista è stato arrestato l’11 novembre a Varese, dove aveva presentato richiesta di asilo, il “falsario” ceceno Turko Arsimekov. L’antiterrorismo ha scoperto pagamenti, attraverso una terza persona, collegati all’attentatore di Vienna, Kujtimi Fejzulai di origini macedone e un contatto con il ceceno Abdoullakh Abouyedovich Anzorov, che ha decapitato a Parigi il docente Samuel Paty. Arsimekov ammette solo il ruolo di “casella postale” di un enorme giro di documenti falsi di una misteriosa organizzazione, nel mirino degli inquirenti.
Una rete di falsari probabilmente intrecciata alla “filiera balcanica” del terrorismo in Europa, che ha due filoni. Il primo è la diaspora degli ex jugoslavi come l’attentatore di Vienna, con ramificazioni “in un’area che va dal Triveneto italiano fino alla Germania, passando per l’Austria e la Svizzera” secondo Sergio Bianchi, arabista e analista della sicurezza. Il secondo filone è quello dei 30.000 ceceni rifugiati dalle guerre russe nel Caucaso dell’inizio 2000, in gran parte in Austria. In questo humus prolifica, soprattutto fra i giovanissimi, “un comune sentire sotto forma di una sub-cultura jihadista anti-occidentale fatta di siti, chat e comunicazione nei social media” spiega Bianchi.
Dopo i colpi del terrore jihadista a Parigi, Nizza e Vienna molte prefetture hanno chiesto un aumento della vigilanza antiterrorismo soprattutto sui luoghi di culto. L’esercito garantisce la protezione di 61 siti religiosi in 13 città, compresi centri islamici possibili obiettivi di ritorsioni, e di 150 sedi diplomatiche mobilitando 2mila uomini.
L’attentatore di Vienna voleva colpire i mercatini natalizi, ma  ha deciso di agire il giorno prima della chiusura totale per la pandemia. Molto dipenderà dall’allentamento delle restrizioni o meno, ma il periodo natalizio sarà da allarme rosso per il rischio terrorismo o azioni eclatanti di protesta contro la gestione della pandemia. A livello globale il rapporto di un istituto specializzato dell’Onu (Unicri) pubblicato in novembre ha rivelato che l’Isis e Al Qaida invitano i propri membri ad agire “come bombe biologiche” diffondendo il virus “fra gli infedeli”. Il direttore dell\'Unicri, Antonia Marie De Meo, ha scritto nell\'introduzione: “E’ allarmante che alcuni gruppi abbiano tentato di abusare dei social media per incitare potenziali terroristi ad usare il Covid-19 come un’improvvisata arma biologica”.
Fausto Biloslavo

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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24 novembre 2015 | Rai 1 Storie vere | reportage
Terrorismo in Europa
Dopo gli attacchi di Parigi cosa dobbiamo fare per estirpare la minaccia in Siria, Iraq e a casa nostra

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
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Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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