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29 agosto 2021 - Il fatto - Afghanistan - Il Giornale
La rete del Nangarhar Roccaforte del male che nascose Bin Laden
I droni ed i super aerei elettronici per le intercettazioni monitoravano da giorni la base dello Stato islamico vicino a Jalalabad, nella provincia di Nangarhar, la culla del terrore in Afghanistan. Dopo l\'attacco suicida all\'aeroporto di Kabul del 26 agosto, l\'obiettivo erano due emiri dell\'Isis-Khorasan, la costola afghana del Califfato. Le figure di alto profilo, come le ha definite il generale Hank Taylor, stavano pianificando altri attacchi allo scalo per martellare gli americani in ritirata. Un drone ha incenerito la base, quando moglie e figli del numero uno della cellula sono usciti dalla zona di fuoco.
L\'operazione è scattata, non a caso, nella provincia orientale di Nangarhar, una vera e propria culla del terrore dai tempi di Al Qaida allo Stato islamico. L\'area montagnosa e con poche strade, a sud est di Kabul confina con la famigerata zona tribale di frontiera pachistana, che neanche il governo di Islamabad controlla completamente. La provincia è stata la tomba di diversi imperi da quello britannico all\'Unione sovietica. A nord, nel confinante Nuristan, si insediarono gli antichi guerrieri di Alessandro Magno, dopo avere conquistato una bella fetta dell\'India. Un\'aera selvaggia dove sono rimasti per non tornare più a casa. Le truppe dell\'impero britannico furono decimate nella ritirata da Kabul del 1842 proprio fra Jalalabad ed il Kyber pass. Una sanguinosa sconfitta descritta nel Grande gioco da Rudyard Kipling. I sovietici, durante l\'invasione degli anni ottanta, ci provarono a tagliare le vie di rifornimento dei mujhaeddin del Pakistan, proprio a Nangarhar, ma nonostante i bombardamenti a tappeto, l\'impiego dei corpi speciali spetnatz e il lancio dagli elicotteri di migliaia di mine farfalla sui sentieri della guerriglia non raggiunsero mai l\'obiettivo. Nell\'area compare per la prima volta Osama Bin Laden, che si vantava di avere strappato il kalashnikov da paracadutista, sempre al suo fianco nei video di Al Qaida, a un generale russo ucciso da quella parti. Lo sceicco del terrore, grazie alla società del padre, trasferì in Afghanistan manovalanza ed escavatori per costruire un dedalo di bunker e rifugi nelle grotte di Tora Bora. Dopo l\'11 settembre e la sconfitta del primo regime talebano nel 2001, Bin Laden ed i resti di Al Qaida si arroccarono nel complesso sotterraneo. Ci sono voluti mesi di bombardamenti dei B 52 e operazioni dei corpi speciali per stanarli tutti. Il fondatore di Al Qaida riuscì a fuggire in Pakistan.
Dal 2015, la culla del terrore, è diventata la base nascente dello Stato islamico in Afghanistan con lo slogan siamo noi i veri difensori dell\'Islam e non i talebani. Due anni dopo l\'allora presidente americano, Donald Trump, decide di usare per la prima volta il più potente ordigno non nucleare dell\'arsenale americano. La bomba taglia margherite, 11mila chili di esplosivo, viene sganciata proprio su una riunione dell\'Isis nella provincia di Nangarhar aprendo un cratere largo 100 metri e spazzando via tutto. Anche Gbu-43/B, nome militare della super bomba, non è servita a fermare il Califfato nella culla del terrore, dove sono confluiti i resti dei volontari jihadisti sconfitti in Siria e Iraq e nuovi adepti della guerra santa dal Pakistan e dall\'Asia centrale. La Cia ed i Navy Seals americani hanno compiuto, assieme ai corpi speciali afghani, 250 raid in quattro anni nella provincia dell\'Isis dimezzando le sue falangi. Gli stessi talebani avrebbero collaborato fornendo informazioni e chiudendo vie di fuga per eliminare i rivali, ex adepti del movimento. La base distrutta ieri dal drone Usa è solo un tassello della rete dello Stato islamico nella culla del terrore, che userà Nangarhar per incitare alla guerra santa estrema, in patria e all\'estero, anche nel nuovo Emirato islamico.
[continua]

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16 dicembre 2012 | Terra! | reportage
Afghanistan Goodbye
Dopo oltre dieci anni di guerra in Afghanistan i soldati italiani cominciano a tornare a casa. Questa è la storia del ripiegamento di 500 alpini dall’inferno di Bakwa, una fetta di deserto e montagne, dimenticata da Dio e dagli uomini, dove le penne nere hanno sputato sangue e sudore. I famigerati ordigni improvvisati chiamati in gergo Ied sono l’arma più temibile dei talebani che li sotterrano lungo le piste. Questo è il filmato ripreso da un velivolo senza pilota di un blindato italiano che salta in aria. A bordo del mezzo con quattro alpini del 32imo genio guastatori di Torino c'ero anch'io. Grazie a 14 tonnellate di corazza siamo rimasti tutti illesi. Il lavoro più duro è quello degli sminatori che devono aprire la strada alle colonne in ripiegamento. Il sergente Dario Milano, veterano dell’Afghanistan, è il cacciatore di mine che sta davanti a tutti. Individua le trappole esplosive da un mucchietto di terra smossa o da un semi invisibile filo elettrico del detonatore che spunta dalla sabbia. Nel distretto di Bakwa, 32 mila anime, questo giovane afghano rischia di perdere la gamba per la cancrena. Il padre ha paura di portarlo alla base italiana dove verrebbe curato, per timore della vendetta talebana. La popolazione è succube degli insorti e dei signori della droga. Malek Ajatullah è uno dei capi villaggio nel distretto di Bakwa. La missione del capitano Francesco Lamura, orgoglioso di essere pugliese e alpino è dialogare con gli afghani seduto per terra davanti ad una tazza di chai, il tè senza zucchero di queste parti. Malek Ajatullah giura di non saper nulla dei talebani, ma teme che al ritiro delle truppe italiane il governo di Kabul non sia in grado di controllare Bakwa. Tiziano Chierotti 24 anni, caporal maggiore del 2° plotone Bronx era alla sua prima volta in Afghanistan. Una missione di sola andata. La polizia afghana cerca tracce dei talebani nel villaggio di Siav, ma gli insorti sono come fantasmi. Il problema vero è che nessuno vuole restare a Bakwa, dove in tutto il distretto ci sono solo 100 soldati dell’esercito di Kabul. Il maggiore Gul Ahmad ha arrestato tre sospetti che osservavano i movimenti della colonna italiana, ma neppure con il controllo dell’iride e le impronte digitali è facile individuare i talebani. Il caporal maggiore Erik Franza, 23 anni, di Cuneo è alla sua seconda missione in Afghanistan. Suo padre ogni volta che parte espone il tricolore sul balcone e lo ammaina solo quando gli alpini del 2° reggimento sono tornati a casa. Per Bakwa è passato anche il reggimento San Marco. I fucilieri di marina, che garantiscono il servizio scorte ad Herat, hanno le idee chiare sulla storiaccia dei due marò trattenuti in India. Anche se ordini da Roma li impongono di non dire tutto quello che pensano. Per Natale i 500 alpini di base Lavaredo saranno a casa. Per loro è l’addio all’Afghanistan dove rimangono ancora 3000 soldati italiani.

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25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
Il futuro governo dell'Afghanistan

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19 settembre 2009 | TG5 Speciale - Canale 5 | reportage
Morire per Kabul
Dopo l'attentato che è costato la vita a sei paracadutisti della Folgore ci si interroga sulla missione in Afghanistan. Se valeva la pena morire per Danzica lo stesso discorso va fatto per Kabul.

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Alle urne fra minacce talebane e presunti brogli
Si parte all’alba da base Tobruk, con i paracadutisti della Folgore, per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali in Afghanistan nella turbolenta provincia di Farah. Nel distretto di Bala Baluk, infestato dai talebani, sono aperti 5 seggi su 30. I parà della 6° compagnia Grifi, dislocati nei punti nevralgici, sono pronti ad intervenire per difendere le urne. Gli insorti hanno proclamato una specie di coprifuoco contro le elezioni “degli infedeli che occupano il paese”. Chi va ai seggi a queste parti rischia la pelle ancora prima di arrivarci. Con dei volantini affissi nelle moschee l’emirato talebano ha minacciato “di piazzare mine sulle strade principali”. I terroristi suicidi si sono inventati nuove tattiche come spiega prima di partire il tenente dei paracadutisti Alessandro Capone. L’elezione del nuovo presidente afghano e dei consigli provinciali nelle zone a rischio come questa di Bala Baluk è un terno al lotto. Nell'umile e polveroso villaggio di Sharak, le 40 famiglie che ci abitano avevano ricevuto solo 8 certificati elettorali. "E' passato il comandante Zabid Jalil e gli abbiamo consegnato le schede. Ha detto che ci pensa lui a scegliere il presidente. Meglio così: se i talebani le trovavano ci avrebbero ammazzato" racconta haji Nabu, il capo villaggio. Jalil è il boss della tribù e ha pure i gradi di generale della polizia. Un esempio di "democrazia" all'afghana.

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24 settembre 2007 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Blitz dei corpi speciali
Con Fausto Biloslavo del Giornale ricostruiamo le fasi del blitz dei corpi speciali che ha consentito la liberazione dei due militari italiani rapiti in Afghanistan. Sono due agenti del Sismi, impegnati in una missione di ricognizione e fatti prigionieri da gruppi vicini ai talebani.

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10 giugno 2005 | Radio 24 | intervento
Afghanistan
Kabul: la liberazione di Clementina Cantoni
Partiamo parlando della liberazione, in Afghanistan, della cooperante italiana Clementina Cantoni. Cerchiamo di capire, a poche ore dalla notizia, quali richieste dei sequestratori possono essere state accolte e quali i restroscena del rapimento e del rilascio. Ne discutiamo con Fausto Biloslavo, inviato a Kabul per Il Giornale e con Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale nella capitale afghana.

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19 aprile 2010 | SBS Australia | intervento
Afghanistan
Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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18 agosto 2010 | SBS | intervento
Afghanistan
Vittime civili e negoziati con i talebani
Dall’inizio dell’anno vengono uccisi in Afghanistan una media di 6 civili al giorno e 8 rimangono feriti a causa del conflitto. Lo sostiene Afghanistan rights monitor (Arm), che registra le vittime della guerra. Nel 2010 sono stati uccisi 1047 civili e altri 1500 feriti. Un incremento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Oltre il 60% delle vittime civili sono responsabilità degli insorti (661), che secondo il rapporto di Arm “dimostrano scarso o nessun rispetto per la sicurezza e la protezione dei non combattenti”. Le trappole esplosive hanno ucciso fino ad oggi 282 civili, più di ogni altra minaccia seguito da 127 morti a causa degli attacchi suicidi. Le truppe della coalizione internazionale hanno ridotto considerevolmente le perdite provocate fra i civili grazie alle restrizioni imposte sugli interventi aerei. L’Arm sostiene che dall’inizio dell’anno 210 civili sono morti per colpa della Nato. Altri 108 sono stati uccisi dalle forze di sicurezza afghane. Lo scorso anno, secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi in Afghanistan 2.412 civili, il 14% in più rispetto al 2008. Però il 70% dei morti era responsabilità dei talebani. Non solo: le 596 vittime attribuite alle forze Nato e di Kabul segnano un calo del 28% rispetto al 2008. Un segnale che gli ordini ferrei del comando Nato in Afghanistan, tesi ad evitare perdite fra i civili, sono serviti a qualcosa. La propaganda talebana, però riesce a far credere in Afghanistan, ma pure nelle fragili opinioni pubbliche occidentali che i soldati della Nato sono i più cattivi o addirittura gli unici responsabili delle vittime civili a causa dei bombardamenti.

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