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11 gennaio 2023 - Interni - Italia - Panorama
Sequestri a peso d’oro
Fausto Biloslavo
L’albero maestro, alto come il Big Ben, svetta in mezzo agli altri due della più grande barca a vela al mondo, che si staglia nel golfo di Trieste. Il mega yacht “Sy A”, 530 milioni di euro, è uno dei beni, riconducibile all’oligarca russo Andrey Melnichenko, congelati dallo stato italiano nel rispetto delle sanzioni europee per l’invasione dell’Ucraina. Pochi sanno, però, che mantenere il lussuoso gigante dei mari lungo 143 metri, con tanto di equipaggio, ci costa dai 20mila ai 30mila euro al giorno.
Il valore dei beni russi congelati in Italia per la guerra di Putin sfiora i 2 miliardi di euro, ma l’esborso per mantenerli è una specie di segreto di Stato. Il governo ha stanziato 19,8 milioni di euro di spesa per il 2022, ma la cifra realmente necessaria sarebbe ben più alta. Una stima dell’agenzia economica Bloomberg parla di 50 milioni di euro solo per i mega yacht sequestrati.
Oltre ai panfili ci sono ville, aerei, terreni, attività produttive, automobili dei russi che vanno mantenute dall’Agenzia del demanio. L’ultimo dato della Guardia di Finanza di ottobre indica un valore di 1.938.536.000 euro.
Tutti beni che in gran parte “non sono normalmente destinati a produrre utili economici e la cui gestione a seguito del loro “congelamento” comporta il trasferimento dei gravosi oneri di gestione (…) sullo Stato che applica le sanzioni” sottolinea in un’analisi il contro ammiraglio in ausiliaria Sandro Gallinelli.
Andrey Igorevich Melnichenko ha scritto al quotidiano Il Piccolo di Trieste sostenendo che il megayacht “ Sy A” non è più suo, ma “appartiene ad un trust gestito da un fiduciario indipendente”. La Guardia di Finanza la pensa diversamente e ha messo i sigilli non solo al tre alberi di 12.500 tonnellate, ma pure alla EuroChem Agro spa di Cesano Maderno, produttore di fertilizzanti con un volume d’affari di 127 milioni di euro. Melnichenko, secondo la Ue, è uno dei trentasei industriali russi, maggiore produttore di fertilizzanti del paese con il gruppo EuroChem, convocato dal nuovo zar, Vladimir Putin, dopo l’invasione del 24 febbraio. L’obiettivo della riunione era come evitare l’impatto delle sanzioni. Melnichenko con le sue attività “fornisce una fonte sostanziale di entrate al governo della Russia - sostiene la Ue - responsabile dell\'annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina”.
Il panfilo nel golfo di Trieste costerebbe, secondo gli addetti ai lavori, fra i 750mila e 800 mila euro al mese fra diritti d’ormeggio, carburante, manutenzione, pulizia, equipaggio e altre spese. Quasi 7 milioni di euro a carico dello Stato, secondo il quotidiano il Piccolo, dal sequestro dell’11 marzo a fine 2022.
Un altro yacht finito sotto sequestro, anche se il termine corretto è congelamento, il Lena, barca “piccola” di 52 metri, risulta acquistato da  Gennady Timchenko. Non un oligarca qualunque, ma un vecchio amico di Putin considerato uno dei suoi confidenti. Non a caso Timchenko è il fondatore del gruppo Volga, uno dei maggiori investitori nei settori cruciali dell’economia di Mosca. Ed è azionista dell’istituto Rossiya, “considerata la banca personale degli alti funzionari dela Federazione russa” secondo la Ue. Uno yacht come il Lena costa solo di ormeggio, equipaggio e minima manutenzione 39mila euro al mese.
Fra i beni più ingenti congelati in Italia, che fanno parte di un  portafoglio di 57 milioni di euro del multimiliardario Eduard Yurevich Khudaynatov, spicca la storica villa Altachiara a Portofino appartenuta alla contessa Francesca Vacca Agusta, che precipitò dalla scogliera della dimora nel 2001. Khudaynatov è il proprietario della più grande compagnia privata russa nel campo energetico in affari con il colosso di stato Rosfnet, che lo ha pagato 8,9 miliardi di euro, negli ultimi anni, per una società che sfrutta il giacimento siberiano di Taimyr. Altri beni congelati in Italia sono Villa Serena ai Parioli, nella capitale e pure una Porsche 911 Turbo S. Il “gioiello” è il superyacht Scheherazade, sequestrato il 7 maggio. Secondo l’intelligence americana Khudaynatov sarebbe solo un prestanome del panfilo, che vale 650 milioni di euro, al posto di Putin. Lo Scheherazade, bandiera delle Cayman, in cantiere a Marina di Carrara, è il bene di lusso più costoso finito nel mirino delle Fiamme gialle.  
“Dal congelamento certo non guadagni. E’ un costo, paghi un prezzo, ma l’aspetto più significativo della coercizione economica è il blocco dei conti della Banca centrale russa, ancor più rispetto ai soldi degli oligarchi - spiega Paolo Quercia, direttore del centro studi “Un mondo di sanzioni” (Awos) -  Investimenti di Mosca in euro depositati presso il nostro istituto nazionale o banche private. Queste riserve congelate si sta valutando in quale misura imputarle al costo delle riparazioni dei danni di guerra. Sarà probabilmente oggetto di negoziato in caso di trattative per una soluzione politica del conflitto”.
Uno degli uomini più ricchi della Russia, colpito dalle sanzioni, è Alexei Mordashov, presidente del Sergroup, che, però ha trasferito le azioni del gigante dei viaggi Tui e della Norgold, che controlla miniere d’oro anche in Africa e Canada, a Marina, la terza moglie.
Nel comune di Olbia è stato congelato un complesso immobiliare che vale 105 milioni di euro. E pure la lussuosa imbarcazione Lady D ormeggiata nel porto di Imperia, valore di 65 milioni, che solo di ormeggio costa fra i 400 e 500 euro al giorno.
Per i mega yacht, se aggiungiamo luce e acque, le spese quotidiane raddoppiano. Il comandante ha uno stipendio medio fra i 12mila e 15mila euro al mese, il direttore di macchina sugli 8mila e l’equipaggio minimo di quattro uomini costa sui 4mila euro a testa. Gallinelli fa notare che vanno mantenuti efficienti “le strumentazioni, gli apparati e gli accessori di bordo, eventuale elicottero incluso!”. Per questo bisogna porsi “un problema di “costo-efficacia”” e pensare a modifiche normative che prevedano “un mero e più generale divieto di utilizzo dei beni normalmente non destinati alla realizzazione di proventi economici, in modo da lasciare i rilevanti oneri di gestione a carico del titolare”.
Le ville dei russi sanzionati in Sardegna possono arrivare anche a 300mila euro di manutenzione l’anno.Una delle più costose, che vale 17 milioni di euro, sul Golfo di Pevero in Costa Smeralda, appartiene a Alisher Usmanov. Secondo Bruxelles è “l’oligarca favorito da Putin” con interessi nell’acciaio.
Mirko Idili della Cisl di Gallura ha denunciato: “I lavoratori sardi che si occupano dei beni congelati agli oligarchi russi non ricevono lo stipendio da mesi”.
Il Consiglio europeo ha sanzionato 1.386 persone e 171 entità prevedendo il congelamento dei beni e il divieto di viaggio. Non solo oligarchi: Primo fra tutti il presidente Putin seguito dal ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, militari, funzionari, membri del governo e della Duma, il parlamento russo, oltre a propagandisti.
Nel nostro paese è stata congelata la residenza sul lago di Como di  Vladimir Soloviev, scatenato conduttore di talk show pro Putin e guerra in Ucraina. I sigilli hanno sprangato anche villa Lazzareschi, in provincia di Lucca, valutata sui 3 milioni di euro, che appartiene a Oleg Savchenko. Il membro della Duma si era appellato a Putin per il riconoscimento delle auto nominate repubbliche filo russe di Donetsk e Lugansk.
I 19,8 milioni di euro stanziati quest’anno per coprire le spese di mantenimento di ville, super yacht e altri generi di lusso congelati non sembrano sufficienti. L’Agenzia del demanio può sfruttare i beni “mediante prelevamento dalle somme riscosse a qualunque titolo”, ma nella gran parte dei casi paga lo Stato, che è pure obbligato a non deprezzarne il valore. La speranza è il “diritto di recupero nei confronti del titolare in caso di cessazione della misura di congelamento”, ma le sanzioni potrebbero durare anni.
La Commissione europea ha messo in piedi una task force “congelamento e sequestro”. Il primo dicembre, la presidente Ursula von der Leyen, ha annunciato che nell’Unione sono stati “bloccati 300 miliardi di euro di riserve della Banca centrale russa e abbiamo congelato 19 miliardi di euro di denaro degli oligarchi”.  L’obiettivo, difficile da raggiungere legalmente, sarebbe la confisca per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina.
[continua]

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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radio

24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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