image
Articolo
17 aprile 2024 - Esteri - Europa - Panorama
L’esercito fantasma
“Sulla carta era già tutto pronto. Avevamo previsto una forza congiunta di 60mila uomini di unità terrestri da mobilitare in 60 giorni e con un’autonomia di sei mesi” racconta l’ex capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. Nel 1999, fresco di nomina a generale, partecipa alla stesura, assieme agli alti ufficiali degli altri paesi Ue, all’ Helsinki Headline Goal, che getta le basi della Difesa comune. L’esercito europeo “doveva essere in grado di operare fino a 4mila chilometri di distanza da Bruxelles con il necessario supporto di assetti dell’Aeronautica e della Marina. In pratica diventavano 80mila uomini”.
Nelle riunioni successive le nazioni offrono più soldati del necessario, ma l’esercito europeo è rimasto un fantasma. Camporini crede ancora nelle forze armate Ue: “Uno degli strumenti chiave, ma può avvenire solo nel quadro di una vera unificazione delle politiche estere dei paesi membri. Se non esiste una visione comune dell’uso della forza è inutile avere una Difesa europea”.
In vista del voto per Strasburgo di giugno un sondaggio dell’Istituto demoscopico Noto fa notare che il 53% degli italiani sarebbe favorevole all’istituzione di un esercito europeo. Una chimera rispolverata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa: “Da ex ministro della Difesa credo che uno degli obiettivi principali debba essere davvero la creazione di un esercito europeo. Non possiamo rimanere appiccicati a quello che decidono gli Stati Uniti”.
Bella idea, ma i conti impietosi delle forze in campo, se scoppiasse un conflitto diretto con la Russia, fanno capire quanto sia indispensabile l’ombrello Nato di Washington. Il Foglio ha rivelato che a Bruxelles circola una tabella con tre colonne zeppe di numeri. Tutta la Ue può schierare 2.646.490 uomini fra forze attive e riservisti. L’Italia è terza come forze armate, ma debolissima sui riservisti (18mila), dietro addirittura alla Lettonia. La Federazione russa, da sola, può mobilitare 3.708.000 uomini se vengono sommati anche i paramilitari.
“Le forze armate europee sono un’utopia a causa di interessi nazionali e politiche estere diverse. I paesi baltici hanno un focus sulle minacce da Est, l’Italia sul Mediterraneo, la Francia è molto attenta ai propri interessi e la Germania non si capisce bene dove voglia andare” è il giudizio senza appello del generale della riserva, Marco Bertolini. Il veterano dei paracadutisti aggiunge: “L’Unione europea è più o meno unita sull’Ucraina, ma divisa su tutto il resto dalla crisi migratoria alle mosse in Africa e sulla stessa sensibilità riguardante lo strumento militare e l’uso dela forza”.
L’avanguardia dell’esercito fantasma per il momento vedrà la luce nel 2025 quando dovrebbe diventare operativa la “Capacità di dispiegamento rapido” (Rdc) dell’Unione europea sancita dalla cosiddetta “bussola strategica” lanciata con enfasi dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, lo spagnolo Josep Borrell. Peccato che la montagna abbia partorito un  topolino: la Rdc arruola appena 5mila uomini da proiettare velocemente in aree di crisi, pure al di fuori dei confini continentali, ma che non hanno il compito della difesa collettiva. “Borrell fa gran vanto di di questo corpo di spedizione, ma stiamo parlando, più o meno, dello stesso numero dei vigli urbani a Roma”. La prima esercitazione si è tenuta lo scorso ottobre a Cadice, in Spagna con 2800 soldati. Niente di nuovo: dal 2007 esistono dei Battlegroup europei, unità di 1500 uomini ciascuno, mai impegnate veramente.
Le missioni europee pur sventolando la bandiera blu con le stelline e coordinate da uno Stato maggiore a Bruxelles sono composte da contingenti nazionali, che rispondono alla propria catena di comando, non da una vera forza militare europea. L’Italia, che ha il comando tattico dell’operazione Aspides per la protezione del traffico mercantile nel Mar Rosso, partecipa a 6 missioni europee dalla Somalia al Kosovo e all’inizio per Althea, in Bosnia-Erzegovina, l’Europa schierava 6mila uomini.
Secondo i dati pubblicati dall’Eurobarometro fin dal 2022, l’81% della popolazione Ue è favorevole ad una politica comune di difesa e sicurezza. L’ex generale dell’Aeronautica, Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, è convinto che “negli ultimi 20 anni tutti si sono nascosti dietro ad una foglia di fico: non essendoci una politica estera continentale non può esistere una difesa Ue. E’ un alibi che fa perdere tempo. Gli Stati maggiori dei singoli paesi dovrebbero già sviluppare l’impiego comune della forza”.
La Commissione europea un piano l’ha varato, ma riguarda gli armamenti. Il 6 marzo è stato presentato a Bruxelles un documento “per accrescere la prontezza industriale europea della difesa. Gli Stati membri devono investire di più, meglio, insieme e in Europa”. L’obiettivo è “compiere costanti progressi verso l’acquisizione di almeno il 50% del bilancio per gli appalti della difesa all’interno dell’Ue entro il 2030 e del 60% entro il 2035”.
Il vero problema dell’arsenale europeo è la frammentazione: ogni stato spende per il fabbisogno nazionale senza coordinamento e con pochi progetti comuni di fronte ad una Babele di armi. “L’abbiamo visto in Ucraina: un fritto misto di sistemi d’arma. Così non è sostenibile una vera Difesa europea” spiega Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation. Camporini rincara la dose: “Più che vagheggiare di un esercito europeo, sarebbe il caso di puntare, concretamente, ad una standardizzazione degli equipaggiamenti e dei sistemi d’arma”. Obbiettivo non semplice tenendo conto dei colossi nazionali del settore come Dassault, Krauss-Maffei e Leonardo. “Bisogna indurre i grandi gruppi industriali a forme più strette di collaborazione per evitare doppioni come è avvenuto e si sta ripetendo ancora oggi” osserva Camporini riferendosi ai progetti di caccia multiruolo di sesta generazione.
La guerra in Ucraina ha innalzato il totale dei bilanci delle nazioni Ue a 240 miliardi, l’anno dell’invasione, rispetto ai 214 del 2021. In media i paesi europei investono l’1,5 % del prodotto interno lordo, ma sono al di sotto del 2% richiesto dalla Nato. La Grecia è in testa con il 3,9% e l’Irlanda risulta fanalino di coda con lo 0,2%. L’Europa utilizzerà 1,5 miliardi di euro per la Difesa nel budget 2025-2027. Una goccia nell’oceano, ma Ursula von Der Leyen, se fosse riconfermata alla presidenza, vuole nominare un commissario Ue per la Difesa. L’ex generale Carlo Jean ha scritto su Forniche.net, che “la “trovata” di istituire un commissario europeo alla Difesa è ridicola senza che, contemporaneamente, venga finanziato un aumento delle “capacità”, che sono quelle che mancano all’Europa. Ci vorranno decenni e molte centinaia di miliardi per realizzare qualcosa di serio”.
I passi in avanti non sono da gigante, come la Cooperazione strutturale permanente (Pesco) istituita nel 2017 e rifiutata solo da Malta. In pratica si tratta di 47 progetti di collaborazione che vanno da un comando medico europeo, al sistema di sorveglianza marittima, l’assistenza reciproca sulla cyber sicurezza e una scuola di intelligence Ue.
La guerra in Ucraina ha portato, lo scorso luglio, all’adozione del regolamento Asap per finanziare con 500 milioni di euro la produzione di missili e munizioni. E’ la prima volta che il budget comune viene impiegato direttamente nella produzione bellica. L’Unione europea, però, non è stata in grado di mantenere l’impegno di garantire a Kiev un milione di munizioni entro questa primavera. La Repubblica Ceca è riuscita a tamponare l’emergenza fornendo all’Ucraina 300mila proiettili di artiglieria.
Adesso l’Europa vorrebbe battere cassa per Kiev con un esborso di 100 miliardi in cinque anni per sostenere gli ucraini in difficoltà sui 900 chilometri di fronte. Le presidenziali americane saranno un giro di boa cruciale. Se Trump tornasse alla Casa Bianca chiederebbe il “conto” del 2% di Pil per la Difesa a tutti i paesi Nato, come ha più volte ripetuto, fin dal precedente mandato e annunciato in maniera rude in un comizio dello scorso febbraio.
“Da parte degli Stati Uniti c’è una specie di disimpegno dall’Ucraina dettato dalla campagna elettorale - osserva Bertolini - La Nato si è spinta molto in avanti, soprattutto con il segretario Jens Stoltenberg, ma dipende comunque dagli americani. Per questo l’Europa, che ha la guerra in casa, rischia di rimanere con il cerino acceso in mano non sapendo bene cosa fare per uscire dall’impasse”.
Fausto Biloslavo
[continua]

video
21 novembre 2015 | Tele 4 | reportage
Ring - Speciale terrorismo
Intervista a tutto campo sugli attacchi di Parigi ed il pericolo delle bandiere nere

play
[altri video]
radio

23 settembre 2010 | Nuova Spazio Radio | intervento
Europa
L'estrema destra in Europa avanza
Tutti euroscettici fanno leva sulle paure dell’immigrazione galoppante, delle minoranze scomode come i Rom e della moltiplicazione dei minareti. L’ingresso nel parlamento svedese dei “Democratici” di Jimmie Akesson, che a 31 anni viene bollato esageratamente come il nuovo Hitler, è solo l’ultimo dei successi della destra dura e pura nel vecchio continente. In realtà si tratta di movimenti con diversi gradi di estremismo e populismo, che stanno crescendo soprattuto nell’est Europa e nel freddo nord.

play

05 ottobre 2010 | Radio 24 | intervento
Europa
Allarme terrorismo
Anche Italia e Spagna, oltre a Gran Bretagna, Francia e Germania, erano possibili obiettivi dell'attacco multiplo dei terroristi in Europa, sti­le Mumbai. Lo rivela al quotidiano in­glese Daily Telegraph una fonte dell' intelligence Usa. Il piano dei terrori­sti studiato nelle aree tribali pachista­ne, a ridosso del confine afghano, prevedeva attacchi nei centri della capitali europee o delle principali cit­tà. Commando suicidi, come a Mum­bai, avrebbero cominciato a sparare per strada, in mezzo ai passanti, o si sarebbero fatti saltare in aria per compiere un massacro. GIULIETTO CHIESA PENSA CHE SIA "DISTRAZIONE DI MASSA". UN GRANDE COMPLOTTO INVENTATO O POCO VIA, COME L'11 SETTEMBRE.

play

[altri collegamenti radio]