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25 agosto 2011 - Esteri - Libia - Il Giornale
Il premier ribelle da Berlusconi Sul tavolo della pace e ricostruzione
No a vendette sommarie: Muammar Gheddafi va consegna­to al tribunale internazionale de L’Aja.La Libia non deve diventare un protettorato di inglesi o france­si. L’Italia sarà in prima fila nella ri­costruzione e nella formazione delle nuove istituzioni. Non solo: il trattato di amicizia italo-libico, ora sospeso, potrebbe venir resu­scitato. Questo e altro verrà discus­so nell’incontro fra il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il premier provvisorio dei ribelli li­bici, Mahmoud Jibril. I due si ve­dranno oggi in prefettura a Mila­no alle 12.30. Sarà presente il mini­stro degli Esteri, Franco Frattini. Il vertice servirà per uno scambio di informazioni riservate sulla situa­zione dopo la conquista di Tripoli da parte dei ribelli, dove si combat­te ancora. Fin da una telefonata con Jibril del 22 agosto Berlusconi aveva invitato il Cnt «ad evitare qualsiasi vendetta». Non sarà faci­le, a cominciare dalla sorte del raìs, che ha una taglia sulla testa. La posizione ufficiale italiana è che il colonnello deve venir conse­gna­to al tribunale penale interna­zionale, che lo accusa di crimini contro l’umanità. «Sappiamo che non è l’intendimento del Consi­glio transitorio, che vorrebbe pro­cessarlo in patria. Però una spetta­colarizzazione in Libia, come Mu­­barak in Egitto, non farebbe che ri­tardare la transizione » spiega una fonte diplomatica che conosce i punti dell’incontro di Milano. Il faccia a faccia italiano con Jibril, dopo la sua visita a Parigi di ieri, dove ha incontrato il presidente Nicolas Sarkozy, è pure un segna­le per gli alleati europei che han­no partecipato alla guerra. L’In­ghilterra già medita di mandare truppe di«pacificazione»sul terre­no. «La Libia non deve diventare il protettorato di nessuno» spiega la fonte diplomatica del Giornale .
Berlusconi non imporrà propri candidati per la transizione, co­me Abdel Salam Jalloud, ex brac­c­io destro di Gheddafi e poi suo op­positore, giunto a Roma con l’aiu­t­o dei nostri servizi segreti. Nell’in­contro si discuterà, invece, del trattato di amicizia italo-libico. L’anniversario della firma con Gheddafi è il 30 agosto e l’Italia «vorrebbe che venisse riattivato con il nuovo governo libico, sia sul piano politico che economico». Frattini aveva già firmato, proprio con Jibril, l’impegno al contrasto dell’immigrazione clandestina e nella lotta al terrorismo previsti dal trattato. L’Italia è in prima li­nea nella rifondazione delle istitu­zioni, soprattutto nel campo della sicurezza dei porti, addestramen­to della guardia costiera e ricosti­tuzione delle dogane. Oltre alla formazione dei quadri sanitari e di giornalisti libici (una quindici­na ha già seguito dei corsi nel no­stro paese). Jibril dovrà impegnar­si al rispetto dei contratti che il re­gime di Gheddafi aveva firmato con l’Eni,compresi i futuri sfrutta­menti dei giacimenti nel bacino della Sirte. Il grande impianto di Mellita, da dove parte il gasdotto per l’Italia,deve tornare a pieno re­gime, appena finiranno i combat­ti­menti vicino al confine con la Tu­nisia.
Stesso discorso per il termi­nal orientale di Brega. L’Italia par­teciperà alla ricostruzione e ne di­scuterà alla conferenza di Parigi fissata il primo settembre. Nel ver­tice di Milano verrà ribadito che le imprese italiane devono tornare in Libia recuperando i contratti in­te­rrotti e magari ottenendo inden­nizzi per i danni subiti. Per la ca­mera di commercio Italafrica, 100 miliardi di euro. «Un punto focale dell’incontro riguarderà la rimo­zione delle sanzioni e lo scongela­mento dei beni libici» spiega la fonte diplomatica. Nel nostro pae­se sono bloccati 10 miliardi di eu­ro del regime. Jibril chiede lo sblocco di 2,5 miliardi entro fine mese «per pagare gli stipendi dei li­bici e sostenere l’onere delle cure ai feriti nei combattimenti».

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19 marzo 2011 | TG5 | reportage
Diario dalla Libia in fiamme
Diario dalla Libia in fiamme

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21 settembre 2017 | Matrix | reportage
Migranti in gabbia
Per i migranti la Libia è un inferno. In 7000 sono detenuti nei centri del ministero dell’Interno in condizioni impossibili. L’Onu e le Ong, che denunciano le condizioni miserevoli, dovrebbero parlare di meno e fare di più prendendo in mano i centri per alzarne il livello di umanità. E non utilizzare le condizioni di questi disgraziati come grimaldello per riaprire il flusso di migranti verso l’Italia. Non solo: Tutti i dannati che vedete vogliono tornare a casa, ma i rimpatri, organizzati da un’agenzia dell’Onu, vanno a rilento perché mancano soldi e uomini. E chi ce la fa esulta come si vede in questo video dei nigeriani che tornano in patria girato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dietro le sbarre a Tripoli un migrante ci mostra i segni di percosse e maltrattamenti. Nel centro di detenzione di Triq al-Siqqa, il più grande della capitale libica, ci sono anche le donne, intercettate prima di raggiungere l’Italia, con i loro bambini nati nei cameroni, che protestano con le guardie per il cibo pessimo ed insufficiente. Il responsabile del centro di Triq al-Siqqa si scaglia contro l’Europa e parla di “visite dei ministri degli esteri di Germania, Inghilterra, delegazioni italiane…. tanto inchiostro sui documenti, ma poi non cambia nulla, gli aiuti sono minimi”. Ogni giorno arrivano al centro nuovi migranti fermati in mare, che ci provano ancora a raggiungere l’Italia. In Libia sono bloccate fra mezzo milione e 800mila persone, in gran parte vessate dai trafficanti, che attraggono le donne come Gwasa dicendo che in Italia i migranti “hanno privilegi, rifugio e cibo”. In agosto le partenze sono crollate dell’86% grazie ad un accordo con le milizie che prima proteggevano i trafficanti. Nei capannoni-celle di Garyan i migranti mostrano i foglietti di registrazioni delle loro ambasciate per i rimpatri, ma devono attendere mesi o anche un anno mangiando improbabile maccheroni. E non sono solo musulmani. Nel centro di detenzione costruito dagli italiani ai tempi di Gheddafi i dannati dell’inferno libico invocano una sola parola: “Libertà, libertà”.

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02 aprile 2012 | Terra! | reportage
Italiano di ventura
TRIPOLI - “L’Italia, i figli, mi mancano, ma vorrei tornarci per difendermi in tribunale, non dietro le sbarre. La galera l’ho già fatta in Libia”. Parola di Giulio Lolli, 46 anni, latitante per la procura di Bologna e Rimini, che vive libero a Tripoli. Occhi azzurri, smilzo, barbetta e foulard con i colori della nuova Libia al collo parla per la prima volta della sua incredibile storia a cavallo fra la truffa e l’avventura. Fino al 2010 era uno dei più noti venditori di yacht italiani. Poi è finito in una serie di inchieste con una sfilza di reati finanziari, corruzione ed altre accuse da far tremare i polsi. Si è trasferito prima in Tunisia e poi in Libia rincorso non solo da un mandato di cattura internazionale, ma dalle rivolte arabe. “Non l’avrei mai immaginato, ma sono diventato un rivoluzionario e ho combattuto contro il regime di Gheddafi dopo essere stato trattato come un cane nelle sue galere” spiega Lolli, che incontriamo nel centro di Tripoli.

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26 agosto 2011 | Radio Città Futura | intervento
Libia
I giornalisti italiani rapiti a Tripoli


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22 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
IL vaso di pandora

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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli

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