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Articolo
13 gennaio 2012 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale |
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Marines scandalo: orinano sui nemici morti |
Il video dei marines che pisciano sui corpi insanguinati di sospetti talebani crivellati di colpi è osceno. Anche nei reparti più gloriosi che hanno sputato sangue in mille battaglie trovi la mela marcia. Pirla o criminale di guerra che dissacra i resti del nemico ed infanga il nome dei marines, un corpo d'acciaio che si fonda su ben altri valori per non aver mai mollato dal Pacifico in mano ai giapponesi, al Vietnam comunista fino all'inferno dell'Iraq e dell'Afghanistan. Un video shock girato in Afghanistan è «esploso» ieri su YouTube come una bomba simile allo scandalo di Abu Ghraib sui maltrattamenti dei prigionieri iracheni e altre nefandezze dei «nostri», che purtroppo segnano tutte le guerre. Le sequenze durano solo una quarantina di secondi, ma sono sufficienti. Quattro soldati americani con uniformi da combattimento e armi da cecchini dei marines si sbottonano i pantaloni per liberarsi dopo l'azione. Peccato che urinino sui corpi senza vita di tre afghani con i vestiti stracciati e insanguinati. Un quinto soldato filma la scena. Mentre fanno la pipì sui cadaveri un militare dice «oh sì», un altro ride. Poi scatta la cinica battuta sulla pisciata: «Dorata come una doccia». Prima di andarsene augurano agli afghani senza vita «buona giornata». Un altro aspetto da indagare è che attorno ai presunti talebani non sembra ci siano armi e tantomeno bossoli di una battaglia, ma solo una carriola abbandonata. La firma su YouTube è della «quarta squadra dei cecchini scout del terzo battaglione del secondo marines di Camp Lejeune, mentre piscia su dei talebani morti » in Afghanistan dal marzo 2011. Camp Lejeune è una base nel Nord Carolina dove sono di stanza le grandi unità di spedizione dei marines, comeil 24˚ Meu. Nel 2008 ero embedded al loro seguito nella campagna di Helmand, la provincia meridionale afghana infestata dai talebani. Quando il caporale William Cooper, uno dei cecchini dei marines, è stato colpito in pieno dagli insorti, il giovane sergente Joseph Buonpastore, con lo zio Rocco che vive a Milano, ha preso d'assalto i bunker talebani. A cinque metri dal nemico combatteva come un leone a sventagliate di mitra e lanciando bombe a mano. Dopo la battaglia ha riconosciuto il coraggio del nemico. Per snidare i talebani i marines facevano sparare una dietro l'altra da chilometri di distanza venti granate di artiglieria da 155 millimetri, che radono al suolo qualsiasi cosa. Se dovevano beccare un comandante degli insorti lanciavano un missile Hellfire (fuoco d'inferno) da un silenzioso velivolo senza pilota a 1000 metri di quota. Poi montavano il filmato del bersaglio centrato con la scritta «abbiamo preso il bastardo». Ma erano anche capaci di rimanere per ore immobili nel fango e fra le zanzare per un'imboscata corpo a corpo. Alla fine si trovavano a pochi metri dal nemico e uccidevano per cadere colpiti dall'ultima raffica del talebano di fronte. Il sergente Jeffrey Shuh si è salvato per miracolo grazie al giubbotto antiproiettile. In pattuglia molti marines si infilavano una piastrina di riconoscimento nello stivale, oltre a quella che hanno al collo. E poi spiegavano: «Se saltiamo su una trappola esplosiva vogliamo che nel sacco nero mettano il tronco e la gamba giusti ». Nell'inferno dell'Helmand, dopo aver combattuto, risarcivano i danni. Una finestra distrutta dallo spostamento d'aria di una bomba viene pagata circa 20 dollari. Il valore di una casa in terra e paglia, non più agibile, è di 2000 dollari, una fortuna nei villaggi afghani. Per i civili morti durante gli scontri esiste un prezzo del sangue deciso di volta in volta dal comandante del battaglione. Questi sono i veri marines ed è tragicomico che i talebani parlino di «barbarie» riferendosi al video. La predica arriva dal pulpito di chi ha trasformato bambini in kamikaze, sfregiato con l'acido le giovani afghane solo perchè andavano a scuola, usato interi villaggi come scudi umani e tagliato la gola a schiere di ostaggi. L'immagine americana in Afghanistan subisce un duro colpo con questo video, soprattutto nel momento in cui il presidente Obama pensa solo al ritiro. Non è escluso che scoppino proteste e violenze anti Usa, come per Abu Ghraib, ma lo stesso portavoce talebano, Zabibullah Mujahid, non si scompone più di tanto. Secondo lui la storia del video «non avrà ripercussioni negative sui negoziati» con gli Usa, che vertono per lo più sullo scambio di prigionieri. Il corpo dei marines ha identificato chi urinava sui cadaveri. La condanna più dura non solo sarà inevitabile, ma doverosa per ripulirsi dal fango di soldataglia senza onore. www.faustobiloslavo.eu |
[continua] |
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14 novembre 2001 | Studio Aperto | reportage
I talebani fuggono da Kabul
Dopo una battaglia durata 24 ore i mujaheddin dell'Alleanza del nord sono entrati vittoriosi a Kabul il 13 novembre 2001. I talebani hanno abbandonato la capitale.
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17 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia1 | reportage
Aperto La caccia ai terroristi Kunduz circondata
Aperto La caccia ai terroristi Kunduz circondata
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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo.
I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo.
I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan.
Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita.
Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre.
Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…)
Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti.
Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso.
Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…)
Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano.
“Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo.
Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio.
Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione.
Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano.
Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio.
C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.
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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento |
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie
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