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Esclusivo
11 luglio 2012 - Esteri - Afghanistan - Il Giornale
Ora pure l’Italia bombarda (e nessuno lo sa)
«Per un attimo vedo il bagliore della bomba che esplode sul­l’obiettivo. Poi si alza subito una co­lonna di fumo e polvere color sab­bia di qualche decina di metri che avvolge tutto» racconta per la pri­ma volta al Giornale un pilota dei nostri caccia Amx in Afghanistan, che colpisce i talebani dal cielo. Per timore di rappresaglie non pos­siamo fare il suo nome, ma si tratta di un ufficiale dell’aeronautica che ha partecipato anche ai bom­bardamenti della Libia. «La nostra missioneègarantirel’appoggioae­reo ravvicinato alle truppe che so­no impegnate sul terreno con l’im­perativo di non colpire abitazioni o causare vittime fra i civili» sottoli­nea il pilota parlando al telefono da Herat.
In Afghanistan i nostri 4 caccia bombardano i talebani da sei me­si, ma lo scopriamo solo adesso. Magia della disattenzione dei me­dia e del governo tecnico, che può tutto dalle tasse alla guerra. L’Ita­lia, a differenza degli alleati ameri­cani, inglesi e francesi non aveva mai sganciato una bomba in testa ai talebani per i pruriti della sini­stra estrema e l’infingimento della missione di pace. La decisione di armare i quattro caccia bombar­dieri
 Amx del 51esimo stormo di­spiegati ad Herat è stata presa dal ministro della Difesa, Giampaolo di Paola. Il 28 gennaio aveva infor­mato la Commissione Difesa che voleva usare «ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza li­mitazione ». Compresi i caccia che sorvolavano l’Afghanistan senza bombe.
L’avesse fatto il suo predecesso­re, Ignazio La Russa, si sarebbero mobilitati i marciatori pacifisti con­tr­o il guerrafondaio governo Berlu­sconi. Per sei mesi nessuno si è po­sto il problema, fino a quando non sono trapelate le prime notizie sui bombardamenti. Dal 27 giugno
 3000 militari italiani e afghani so­no impegnati nella strategica ope­razione Shrimp net ( Rete per gam­beri), sul fronte più ostico nella zo­na meridionale della provincia di Farah. L’appoggio dal cielo non è garantito solo dagli elicotteri d’at­tacco Mangusta e dai velivoli sen­za piloti Predator, ma dai caccia bombardieri Amx che decollano dall’aeroporto di Herat.
«Siamo uno strumento delle truppe a terra. Gran parte delle vol­te basta farci vedere volando bas­so. Lo chiamiamo show the force ­spiega il pilota - Il controllore ( Fac) con le unità sul terreno ci in­via le coordinate di possibili minac­ce.
Con i nostri sensori siamo in gra­do di rimandare sul suo computer portatile le immagini degli even­tuali obiettivi. Poi sarà lui a decide­re se farci sganciare oppure no». Sul numero dei bombardamenti negli ultimi sei mesi i militari sono evasivi. «Diciamo più di 1 e meno di tanti» risponde il colonnello An­drea Fazzi, che comanda la task for­ce integrata dell’aeronautica. I quattro Amx compongono la TF Black cats, i gatti neri, che da genna­io hanno volato per un migliaio di ore.
Gli obiettivi sono antenne di co­municazione o pannelli solari che servono a caricare i telefoni satelli­tari utilizzati dai comandanti tale­bani per organizzare la guerriglia. Nel mirino dei bombardamenti ita­liani sono finiti anche arsenali de­gli insorti e postazioni di comando e controllo. I caccia operano in si­nergia con i velivoli a pilotaggio re­moto. «I Predator hanno individua­to e filmato dall’alto, in tempo rea­le, degli insorti che scavavano sul bordo del tragitto dove sarebbe passato un nostro convoglio per piazzarci delle trappole esplosive. Possiamo colpirli o come è capita­to cambiare semplicemente stra­da » racconta il colonnello.
Il generale Luigi Chiapperini, co­mandantedellamissioneinAfgha­nistan, conferma che i bombarda­menti «sono iniziati subito dopo il 28 gennaio» con il via libera del mi­nistro Di Paola «ma sempre nel pie­no rispetto delle regole d’ingag­gio »che prevedono«il divieto asso­luto di colpire abitazioni» e civili.
Gli Amx hanno bombe a guida la­ser e satellitare Gbu­ 16, Gbu-32 ol­tre a ordigni con sistemi ad alta pre­cisione come il Lizard. I caccia ita­liani sono intervenuti anche fuori dall’Afghanistan occidentale su ri­chiesta di Trinity, il comando ae­reo integrato con gli alleati.
«L’aver dato piena operatività ai cacciabombardieri italiani - ha spiegato il generale all’Adnkronos - ci ha permesso di colpire obiettivi altrimenti impossibili da raggiun­gere, come le postazioni radio piaz­zate in aree inaccessibili in cima a montagne. Gli Amx sono riusciti a rilevare le antenne, identificarne la posizione e a distruggerle, cosa che non sarebbe riuscita con raffi­che di cannoncino».

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20 novembre 2001 | Studio Aperto | reportage
Strage di giornalisti. Uccisa Maria Grazia Cutuli del Corriere della Sera
Il 19 novembre 2001 quattro giornalisti vengono massacrati da una banda di talebani sulla strada che dal Pakistan porta a Kabul. Fra le vittime Maria Grazia Cutuli, del Corriere della Sera, che avevo conosciuto ad Epoca.

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20 maggio 2007 | Terra! | reportage
I due che non tornarono
Due “fantasmi” resteranno legati per sempre alla brutta storia del sequestro e della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. I fantasmi degli ostaggi afghani, gli ostaggi di serie B, il cui sangue pesa meno di quello di un giornalista italiano, come ci hanno detto fra le lacrime i loro familiari ed in tanti a Kabul (…) Gente comune, interpreti ed autisti del circo mediatico che ha invaso per qualche settimana l’Afghanistan e si è dissolto quando il giornalista di Repubblica è tornato a casa sano e salvo. I due fantasmi di questa brutta storia si chiamano Sayed Agha e Adjmal Naskhbandi, i compagni di sventura afghani di Mastrogiacomo che non sono più tornati a casa. I tagliagole talebani non hanno avuto un briciolo di pietà a tagliare loro la testa in nome del Jihad, la guerra santa. (…) Non si capisce cosa aveva da esultare il giornalista italiano, il 20 marzo, quando è sceso dalla scaletta dell’aereo che lo aveva riportato in patria, alzando le braccia al cielo come se avesse vinto un incontro di pugilato all’ultimo round. Alle spalle, sul campo di battaglia, aveva lasciato sia i vivi che i morti: Sayed il suo autista decapitato quattro giorni prima e Adjmal l’interprete rimasto vivo, ma ancora nelle grinfie dei talebani. (…) Purtroppo con il destino già segnato di una condanna a morte che servirà solo a seminare ulteriore zizzania politica in Italia ed in Afghanistan. Fin dal 5 marzo, quando sono stati inghiottiti in tre nella palude talebana della provincia di Helmand, i riflettori erano puntati solo sull’ostaggio eccellente, Daniele Mastrogiacomo. (…) Una prassi nei casi di sequestro dove chi ha il tuo stesso passaporto vale di più dei disgraziati locali che si trascina dietro. Loro se la cavano, si pensa spesso, ma in questo caso non è stato così. Il miraggio di guadagnare un pugno di dollari accompagnando un giornalista straniero a caccia dello scoop l’hanno pagato con la vita. Sayed aveva 25 anni e quattro figli, di cui il più grande Atifah ha solo sei anni. L’ultimo, il quinto che la moglie rischiava di perdere quando ha saputo del sequestro del marito, è nato un giorno prima del funerale del padre. Sayed faceva l’autista e pensava che non fosse tanto rischioso portare in giro Mastrogiacomo in una zona che conosceva come le sue tasche, perché c’era nato e ci viveva. Invece non aveva fatto i conti giusti con i talebani che per vecchie ruggini familiari e con l’accusa di spionaggio l’hanno processato secondo la legge islamica e condannato a morte. (…) Il 16 marzo i tagliagole hanno detto ai tre ostaggi che andavano a fare un giro, ma Sayed doveva sentire che era arrivata la sua ultima ora. Quando l’hanno fatto inginocchiare, a fianco di Mastrogiacomo, nella sabbia, in tunica bianca e con una benda rossa sugli occhi, non si agitava, sembrava rassegnato. Il giudice islamico ha letto una sbrigativa sentenza in nome di Allah ed il boia al suo fianco ha buttato il poveretto nella polvere, di traverso, per decapitarlo meglio. Nella mano destra del boia è apparso un coltellaccio ricurvo per segargli il collo. Sul corpo inanimato della vittima, come se fosse un burattino sena fili i tagliagole solitamente appoggiano la testa e si fanno riprendere soddisfatti. Ci sono voluti 11 giorni ai familiari per recuperare la salma, senza testa, perché nessuno gli ha dato una mano. (…) “Tutto il mondo ci ha dimenticato e si è occupato solo del rilascio del giornalista italiano in cambio di cinque criminali. Sayed e Adjmal lavoravano con lo straniero. Lui è stato liberato e per gli afgani cosa si è fatto?” ci ha detto amaramente Mohammed Dawood il fratello dell’autista ucciso. Adjmal aveva 23 anni e si era sposato da poco. Faceva il giornalista, non solo l’interprete e nelle zone talebane c’era già stato. Non abbastanza per salvarsi la pelle ed evitare di finire in una trappola assieme all’inviato di Repubblica. Con Mastrogiacomo ha diviso le catene ed i dolori del sequestro. (…) Nello scambio con cinque prigionieri talebani detenuti nelle carceri afghane era previsto sia Mastrogiacomo che Adjmal. A tutti e due il capobastone dei tagliagole che li tenevano prigionieri aveva detto “siete liberi”. Invece qualcosa è andato storto e Adjmal non è più tornato a casa. Quando la sua anziana madre ha capito che era ancora ostaggio dei talebani ha avuto un infarto. (…) Per non turbare il successo a metà della liberazione di Mastrogiacomo la grancassa di Repubblica aveva annunciato anche la liberazione di Adjmal e gran parte dei media hanno abboccato all’amo, ma non era vero. Qualche giorno dopo, quando Adjmal mancava tristemente all’appello, sempre Repubblica ha cercato di accreditare la teoria che era stata la sicurezza afghana a farlo sparire per interrogarlo. Anche questa volta non era così. (…) I talebani volevano sfruttare ancora un po’ il povero interprete per tenere sulla graticola il governo di Kabul e quello di Roma, che a parole ha chiesto la liberazione di tutti, ma nei fatti si è portato a casa solo il giornalista italiano. “Sono felice per la liberazione di Daniele, perché la vita di un uomo è stata salvata da un pericolo mortale. Allo stesso tempo sono arrabbiato, perché non ci si è occupati con la stessa attenzione di mio fratello” ci diceva Munir Naskhbandi assieme ad amici e cugini quando il giovane interprete era ancora vivo. Tutti, però, sapevano che il governo del presidente afghano Hamid Karzai non avrebbe più liberato un solo talebano in cambio dell’ostaggio. Per non lasciarsi testimoni afgani alle spalle a dare un’ultima scossa i tagliagole hanno condannato a morte anche Adjmal. La decapitazione di rito è avvenuto un giorno qualsiasi per loro, ma ancora più amaro per noi, la domenica di Pasqua e resurrezione. Attorno ai fantasmi e all’unico sopravissuto di questa storia non mancano le zone d’ombra, che prima o poi andranno chiarite. Rahmattulah Hanefi, l’uomo di fiducia di Emergency, che ha fatto da mediatore è stato arrestato dai servizi segreti afghani il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo. (…) Il fratello di Sayed Agha, l’autista decapitato, aveva puntato subito il dito contro di lui. Amrullah Saleh il capo dei servizi di Kabul è ancora più duro e dice: “Abbiamo le prove che Hanefi è un facilitatore dei talebani, se non addirittura un loro militante travestito da operatore umanitario”. (…) L’uomo di Emergency avrebbe fatto cadere in una trappola Mastrogiacomo, sarebbe stato una quinta colonna dei tagliagole e avrebbe abbandonato Adjmal al suo destino. Le prove, però, non si vedono e fino a quando non verranno rese note non sapremo se si tratta di una ritorsione contro Emergency troppo blanda con i talebani, oppure un’innominabile verità che schizzerebbe fango su tutti, compreso il governo italiano. Un’altra ombra di questa vicenda è il canale parallelo di mediazione ingaggiato da Repubblica fin dalle prime ore del sequestro. Uno strano free lance italo inglese, Claudio Franco e la sua spalla afgana, hanno mediato per la liberazione. (…) Gino Strada, fondatore di Emergency, sente puzza di servizi segreti e non vuole averne a che fare. La strana coppia rispunta nell’area riservata dell’aeroporto militare di Kabul, quando arriva Mastrogiacomo appena liberato ed in viaggio verso l’Italia. Qualcuno della Nato li ha appena “estratti” dal sud dell’Afghanistan. Franco scatta foto esclusive di Mastrogiacomo mentre sale sul Falcon della presidenza del Consiglio, che lo riporterà a casa. Le immagini non vengono mai pubblicate e sul canale parallelo di mediazione viene steso un velo di silenzio. C‘è voluto un negoziato per avere questa fotografia di Sayed Agha con tre dei suoi cinque bambini. Nell’immagine c’era pure la moglie, ma i familiari, da buoni pasthun, non potevano farla vedere a degli stranieri (…) per di più infedeli. Alla fine hanno tagliato via la moglie e sono rimasti i bambini. Non vedranno più loro padre, morto nella provincia di Helmand, in Afghanistan, (…) per fare l’autista ad un giornalista italiano, Noi preferiamo ricordarlo così, (…) da vivo, con i suoi figli.

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25 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 e Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Il futuro governo dell'Afghanistan
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04 gennaio 2012 | Radio24 | intervento
Afghanistan
Parlano le armi sussurrano le diplomazie


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