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Reportage
06 novembre 2012 - Esclusivo - Afghanistan - Il Foglio
I nostri morti in Afghanistan, l’ultimo scontro, gli infiltrati giù nel sud

Bakwa, Afghanistan. “Ho visto arrivare la raffica, un proiettile dietro l’altro. E’ passata in mezzo fra me e un poliziotto afghano, colpendolo alla gamba destra. Poi sento, via radio, ‘uomini a terra, uomini a terra’”. Il capitano Francesco Lamura, 31 anni di Taranto, “orgoglioso di essere pugliese e alpino” racconta così i primi drammatici momenti dello scontro che il 25 ottobre è costato la vita al suo radiofonista, Tiziano Chierotti. Indica la collinetta con l’avamposto dell’esercito afghano a Siav, dove tutto è cominciato, nel distretto di Bakwa, il fronte più a sud e duro dello schieramento italiano in Afghanistan. Gli alpini del 2° reggimento di Cuneo sono tornati in forze in questo deserto di pietre e montagne. 

La vera storia di quanto accaduto il 25 ottobre – ben diversa dagli scarni comunicati ufficiali – è una pagina di guerra nell’inferno di Bakwa. Una storia di tradimenti e atti valorosi che va raccontata fino in fondo. Il caporal maggiore Chierotti, 24 anni, alla sua prima missione in Afghanistan, è caduto sotto i colpi di due soldati afghani infiltrati dai talebani nell’esercito di Kabul. Allo scontro feroce e intenso durato una quindicina di minuti devono aver partecipato anche altri gruppi di fuoco degli insorti, forse annidati sulle montagne. 

Gli italiani non parlano a causa delle solite e inutili inchieste, ma i poliziotti afghani – che erano presenti – parlano volentieri. “I talebani hanno attivato due soldati per uccidere degli italiani”, rivela candidamente il maggiore Gul Ahmad, capo della polizia di Bakwa. La pugnalata alle spalle scatta alle 13.20 del 25 ottobre, quando la colonna degli alpini arriva a Siav e come sempre si ferma all’avamposto dell’esercito di Kabul composto da una trentina di uomini. Due soldati afghani sono all’esterno accanto alla carcassa di un camion, dove hanno nascosto le armi. 

“Quello che ha cominciato a tirare razzi Rpg (bazooka russo) si chiamava Wahid Shah era originario della provincia orientale di Nangarhar e la sua famiglia vive in Pakistan”, racconta il maggiore Gul Ahmad. Per i talebani è la nuova e vincente tattica che semina caos fra le truppe afghane e internazionali nella fase di transizione. La Nato la chiama in gergo “green on blue” e nel 2012 le vittime fra le forze alleate sono già una sessantina. 

A Siav il primo infiltrato conficca un razzo nella portiera del blindato Lince da dove sono appena scesi Chierotti e il caporal maggiore scelto Luca Locci. I due alpini cadono a terra feriti gravemente, ma vivi. L’altra quinta colonna talebana, Bakmali, imbraccia una mitragliatrice pesante e spara. Il volume di fuoco, le traiettorie di tiro e i proiettili che hanno colpito anche i mezzi del 32° genio guastatori di Torino, a 200 metri di distanza, fanno pensare ad altri talebani appostati che sparano contro gli italiani.

Il 2° plotone, detto Bronx, investito dal fuoco, risponde rabbiosamente, mentre altri due alpini restano feriti, Gabriele Lippi e Fabrizio Iannuzzi. Il primo infiltrato dell’esercito afghano viene eliminato, ma lo scontro continua. Il tenente colonnello Nicola Piasente piomba sul campo di battaglia. Scende dal Lince sparando, e con un altro alpino trascina Chierotti e Locci – i feriti più gravi – al riparo dietro il loro blindato. “Guardate prima Tiziano, guardate prima lui”, sussurra Locci sanguinante ai soccorritori. Il giovane radiofonista con una grossa ferita sulla coscia è lucido e morde il braccio di un alpino per resistere. Morirà poche ore dopo nonostante l’evacuazione record in elicottero. 

“Quando è arrivata la sventagliata di colpi non si capiva da dove fosse partita. Poi è scoppiato il primo Rpg e subito il secondo. Ho sentito Fabio (Iannuzzi) che diceva ‘Sono stato colpito’. Con Gabriele (Lippi), pure lui ferito alla mano sinistra, lo abbiamo tirato dentro il blindato”, racconta al Foglio il caporal maggiore Giuseppe Becciu. Solo dopo si rende conto del dolore. Nello sforzo di issare il ferito si è lussato una spalla, ma continua a combattere come il caporale Lippi, il quarto alpino colpito. Il secondo infiltrato dei talebani nell’esercito afghano viene visto mentre scappa, zoppicante, per una ferita alla gamba. Gli insorti lo portano via e il portavoce del movimento integralista, Qari Yousef, rivendica l’attacco. 

Al di là della montagnola 

“Vedi quella montagnola? Là sotto è caduto Chierotti. I nostri ragazzi hanno fatto il loro dovere distinguendo chi era il nemico e chi no”, sottolinea il colonnello Cristiano Chiti, comandante della Task force italiana di Bakwa. Secondo la polizia afghana, due attentatori sarebbero partiti dal Pakistan con l’obiettivo di ucciderlo. Il distretto di Bakwa, 32 mila anime, può contare su esperti ceceni della guerra santa internazionale arruolati fra gli insorti. Non solo: i signori della droga la fanno da padroni in posti come Gaizabad, dove avrebbero dei laboratori per la raffinazione dell’oppio in eroina. 

Bakwa è uno dei pochi distretti afghani dove non funzionano i telefonini. L’ultimo imprenditore che ha tirato su un ponte per i cellulari è stato ammazzato. Così il lucroso giro delle telefonate a pagamento via satellite può continuare. A Bakwa la misera popolazione paga un pedaggio per tutto, a cominciare dall’accesso a Juma, bazar superfornito. La gabella intascata da talebani e signori della droga è di 500 afghani a persona, circa 8 euro, una cifra considerevole da queste parti. 

Da base Lavaredo gli alpini si stanno preparando al ritiro entro Natale, ma il vero problema è che le forze di sicurezza afghane sono poche e mal equipaggiate. L’esercito ha soltanto cento uomini, al comando del giovane tenente Nuri, un tagico. I suoi uomini, però, sono per metà tagico, serbatoio etnico dei talebani. L’incubo peggiore sono le trappole esplosive disseminate lungo le piste. In settembre erano 31, ma le sortite degli alpini hanno diminuito a un quarto gli ordigni improvvisati. 

Domenica notte i talebani ne hanno piazzate due sulla famigerata statale 515. Non è bastato tirare bombe di mortaio illuminanti per farli desistere. Per tutta la giornata i guastatori hanno lavorato attorno a una delle trappole di Bakwa, che avrebbe provocato un macello, facendola brillare poco prima del tramonto. 

Fausto Biloslavo 

[continua]

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