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Reportage
04 marzo 2015 - Esteri - Kosovo - Panorama
Anche in Kosovo già sventola la bandiera Isis

“Se in Ucraina vanno a combattere serbi e croati, i musulmani hanno lo stesso diritto di proteggere la loro gente e le nostre terre in Siria». A fare l’apologia della jihad è uno dei barbuti di Restelica, un villaggio kosovaro di 10 mila anime dove tutti parlano italiano: un terzo del paese vive e lavora a casa nostra. Eppure, secondo l’intelligence italiana, Restelica (assieme a Gornja Maoca, in Bosnia, dove hanno sventolato agli inizi di febbraio le bandiere nere dello Stato islamico) è uno dei gangli di «un network per il reclutamento di combattenti da inviare in Siria, coinvolgendo connazionali stanziati in Europa occidentale». Italia compresa.

Le bandiere nere, dunque, sventolano già nel cuore dei Balcani, a poco più di 400 chilometri dalla costa adriatica italiana. Un pericolo non sottovalutato dal nostro ambasciatore a Pristina. Andreas Ferrarese lancia un ulteriore allarme: «Da parte italiana c’è grande attenzione verso il mai interrotto canale del traffico di esseri umani, che passa attraverso i Balcani con un ruolo preminente del crimine organizzato kosovaro. Abbiamo subito preso in considerazione l’ipotesi che questa rotta terrestre fosse sfruttata dai volontari che vanno a combattere in Siria e Iraq. Rotta peraltro può essere usata anche da quelli che tornano in Europa». Fonti riservate, che operano in Kosovo, confermano a Panorama: «Sono già stati individuati dei combattenti, alcune unità, che dai fronti di guerra hanno fatto rientro in Italia lungo le rotte dell’immigrazione clandestina dei Balcani». Il punto d’ingresso più utilizzato dai migranti è Trieste. 

Secondo l’antiterrorismo di Pristina sono 200 i kosovari partiti per la Siria. Un centinaio è rientrato e 34 sarebbero stati uccisi in combattimento. Dall’Italia otto «mujahiddin dei Balcani» hanno raggiunto la Siria e quattro sono morti, ma la filiera è in espansione. E adesso il rischio è il ritorno «clandestino» dei veterani, non solo balcanici, per creare delle cellule dormienti. 

«Il fenomeno dei barconi dalla Libia non deve distogliere l’attenzione dalle possibili infiltrazioni di elementi legati al terrorismo, che arrivano in Europa attraverso le più consolidate rotte terrestri dell’immigrazione illegale nei Balcani»  sottolinea l’ambasciatore Ferrarese. «Rotte mai interrotte, che hanno conosciuto nelle ultime settimane un’impennata con migliaia di richieste di asilo soprattutto in Germania, Austria e Francia». 

A Restelica tre minareti scintillanti, che sembrano nuovi di zecca, si innalzano fra le case con i tetti rossi, in mezzo alla neve. I giovani che si aggirano per il paese con la barba lunga, la tunica bianca o i calzoni a mezz’asta da salafiti giurano nella nostra lingua di non essere «una minaccia per l’Italia, dove viviamo da anni». Niente nomi. Solo alla fine, uno dei kosovari che fa il pizzaiolo nel nostro Nord Est ammette, stando attento a non farsi sentire dagli altri: «Ci sono ragazzi che partono per la Siria, ma noi che lavoriamo non vogliamo avere problemi».

Il leader integralista di Restelica è l’imam Sead Bajraktar, che vive in provincia di Siena dove ha fondato un centro islamico a Monteroni d’Arbia. Secondo i servizi segreti, torna spesso in Kosovo «per rilanciare il proprio impegno ideologico militante e partecipare ad attività addestrative di tipo militare». Nel 2012 è stato fermato fra le montagne di Dragash assieme ad altri kosovari della moschea senese. La polizia locale parla solo di un «campeggio islamico», dove non sono state trovate armi.

Bajraktar, tuttavia, avrebbe influenzato la radicalizzazione di molti giovani kosovari, come Eldin Hodza, 25 anni, residente a Bolzano, che è andato ad addestrarsi in Turchia per fare la guerra in Siria. Poi sarebbe stato riportato a casa da un familiare che avrebbe pagato per «riscattarlo». Un altro «cattivo maestro» è Idriz Idrizovic, cognato di Bajraktar, un predicatore conosciuto nei circuiti salafiti lombardi.  Mazllam Mazzlami, imam di Prizren, arrestato lo scorso settembre per sermoni estremisti e poi rilasciato, è sempre sotto inchiesta per incitamento alla guerra santa. Ha predicato in posti insospettabili in Italia, come il Centro islamico macedone di Casaloldo, in provincia di Mantova. E avrebbe influenzato il kosovaro Resim Kastrati, 22 anni, che viveva in Italia, espulso il 19 gennaio per aver abbracciato «l’ideologia jihadista». Kastrati ha accettato di parlare con Panorama (vedi riquadro qui a fianco). 

Shefqet Krasniqi, imam della grande moschea di Pristina, è uno dei dieci imam kosovari finiti sotto inchiesta per le loro prediche estremiste a favore della guerra santa. Sadiki Zeinulla, giovane imam della moschea di Grosseto, lo aveva invitato, nel dicembre 2013, a tenere un sermone. Quando Krasniqi è stato arrestato, ha postato sulla pagina Facebook del centro islamico la frase in albanese «siamo con te», poi cancellata. Il maggiore Fatos Makolli, che comanda l’antiterrorismo di Pristina, colloca personaggi legati all’Italia come Bajraktar, Idrizovic, Mazzlami e Krasniqi nella «categoria degli imam che propugnano un Islam radicale e fanno il lavaggio del cervello ai giovani». E segnala un altro predicatore sotto inchiesta, Idriz Billibani, arrestato la prima volta nel 2010, «che potrebbe essere collegato ad una rete italo-kosovara di radicalizzazione e reclutamento». 

Un video del 2012 riprende Billibani e il predicatori bosniaco, Husein Bosnic, sotto processo a Sarajevo per l’invio di jihadisti in Siria e aver aderito al Califfato, ospiti al Centro islamico Restelica vicino a Siena. Il titolo del video non lascia dubbi: «Con chi stai?».

In Kosovo il contingente della Nato (Kfor), che comprende 600 soldati italiani, è comandato dal generale Francesco Paolo Figliuolo. La missione dell’Unione europea, Eulex, con una quarantina di connazionali, compresi 13 poliziotti italiani, è guidata dall’ambasciatore Gabriele Meucci. «In virtù della vicinanza geografica, il nostro governo ha registrato per tempo il fenomeno di radicalizzazione islamica in Kosovo e il reclutamento di combattenti per il Califfato in Siria ed Iraq» spiega l’ambasciatore Ferrarese. «E ha innalzato il livello di attenzione, anche grazie alla guida delle missioni Kfor ed Eulex».

Secondo fonti occidentali a Pristina, «esiste il rischio che le bandiere nere sventolino ancora più vicino della Libia in Kosovo o Bosnia». Nel corso degli 80 arresti di sospetti jihadisti dello scorso anno, l’antiterrorismo ne ha sequestrate diverse nelle loro abitazioni. In settembre un kosovaro con passaporto del Belgio è stato fermato all’aeroporto di Pristina con una bandiera del Califfo in valigia, mentre si imbarcava per Istanbul, con l’intenzione di raggiungere i mujaheddin in Siria. Gli aspiranti tagliagole partono anche dagli aeroporti di Skopje, capitale della Macedonia e Podgorica in Montenegro.

Dalla fine della guerra con i serbi del 1999, i minareti sono spuntati come funghi. Il revival islamico è finanziato da fondi provenienti dal Qatar, dall’Arabia Saudita e in parte dalla Turchia. Organizzazioni caritatevoli musulmane garantiscono 100 euro al mese ai giovani che si fanno crescere la barba e pregano cinque volte al giorno vestendosi come i talebani in Afghanistan. Un’offerta allettante, in un paese dove lo stipendio medio è di 170 euro e la disoccupazione tocca il 50 per cento. 

«Non possiamo escludere che alcune organizzazioni di assistenza cerchino di manipolare le menti dei nostri ragazzi. Non tollereremo quest’influenza e neppure la chiamata alle armi per la cosiddetta guerra santa. Per questo motivo stiamo approvando una legge che punisca chi va a combattere in Siria o su altri fronti» spiega a Panorama Kadri Veseli, presidente del parlameno kosovaro ed ex capo dei servizi segreti del disciolto Uck, i guerriglieri indipendentisti albanesi.

Non solo volontari jihadisti, ma anche soldi transiterebbero per Pristina a favore della rivolta armata contro Assad. Si stanno monitorando flussi finanziari per la causa siriana generati da società di comodo, che partono dall’Italia e attraverso il Kosovo arrivano in Giordania. Le antenne occidentali a Pristina hanno pure trovato aree che sembrano di addestramento, con scritte inneggianti ad «Allah», in zone remote sulle montagne Sharri, nel sud del paese, al confine con Macedonia e Albania.

All’inizio di febbraio un servizio di intelligence europea ha segnalato che «cellule del califfo potrebbero organizzare rapimenti di personale occidentale in Kosovo, come atto terroristico e dimostrativo in Europa». All’antiterrorismo di Roma, la filiera balcanica legata all’Italia e al Califfato «desta preoccupazione». Motivo: «l’ipotizzabile “ritorno” sul nostro territorio» di veterani della guerra santa, che «abbiano sviluppato capacità offensive e la motivazione a proseguire il loro impegno militante, dall’azione di reclutamento e sostegno logistico per formazioni operanti all’estero, sino all’eventuale pianificazione di attacchi in Occidente».

Fausto Biloslavo  

© riproduzione riservata

 

PARLA UN ESPULSO PER JIHADISMO

«Non dico di averlo fatto, ma anche se avessi appoggiato i ribelli, come l’Esercito libero siriano, perché avrei dovuto essere espulso? L’America li sta aiutando e anche l’Unione europea». Resim Kastrati, 22 anni, è un kosovaro che ha vissuto per sei anni in Italia a Pozzaglio, vicino a Cremona. Il Viminale l’ha espulso il 19 gennaio perché «ha abbracciato l’ideologia jihadista ed è inserito in un contesto relazionale con persone che condividono le sue stesse posizioni estremiste». 

Per la prima volta, un espulso dal nostro Paese per legami con la jihad parla, via Skype, con Panorama. E respinge le accuse: «Ogni tanto predicavo nelle moschee. Ho video di giovani italiani convertiti. Vogliono arrestarmi per questo?». A parole condanna l’Isis, ma non il simbolo della bandiera nera che rappresenta il sigillo del Profeta. Per Maometto, aveva scritto su Facebook, è pronto a sacrificare la vita. 

Alle accuse di aver finanziato la causa jihadista risponde che ha solo «dato una mano al’Ong Islamic relief Italia a raccogliere aiuti umanitari per i rifugiati siriani». Sulla strage di Charlie Hebdo è ambiguo: crede sia una messinscena. Il suo obiettivo? Tornare a casa nostra. «E sposare la mia compagna italiana, non musulmana». 

 

(F.B.)


radio

16 dicembre 2010 | RaiRadio | intervento
Kosovo
La faccia sporca della guerra in Kosovo
Quando organizzava la guerriglia indipendentista fra i monti dell’Albania lo chiamavano “il serpente”, per la freddezza ed i modi spietati. Oggi che è primo ministro del Kosovo un rapporto del Consiglio d’Europa lo accusa di essere il capo di una potente mafia coinvolta nel traffico di droga, armi e di organi strappati ai prigionieri serbi. Hashim Thaqi respinge con sdegno le accuse, ma questa volta lo inchioderebbero testimonianze, rapporti di intelligence e notizie raccolte dall’Fbi. Comprese le relazioni del Sismi, il nostro servizio segreto, che nel 1999, indicava il futuro premier “come uno dei boss criminali più pericolosi dell’Esercito di liberazione del Kosovo”.

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