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30 luglio 2015 - Prima - Afghanistan - Il Giornale
Morto il mulah Omar, killer di italiani
«Mullah Omar, il capo dei talebani, è morto nel 2013» rivela il governo di Kabul, ma sulla sua fine aleggia il mistero. Il leader guercio dei tagliagole afghani, dato per morto tante volte, è sempre «resuscitato». Questa volta, per Omar il fantasma, potrebbe essere diverso. Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dell'Nds, l'intelligence di Kabul, ha sostenuto in un'intervista al New York Times che l'imprendibile mullah «è morto due anni fa in un ospedale alla periferia di Karachi, città pachistana». Sicuramente l'Isi, il potente servizio segreto militare di Islamabad, aveva idea di dove fosse. Non è escluso che il capo dei talebani sia stato un sorvegliato speciale, praticamente agli arresti domiciliari, a Qetta, capoluogo della provincia pachistana del Baluchistan al confine con l'Afghanistan. Un ex ministro dei talebani ha dichiarato ieri, in cambio dell'anonimato, che il mullah «è morto due anni e 4 mesi fa di tubercolosi e poi sepolto in Afghanistan» in gran segreto.
Dopo ore di voci incontrollabili, un comunicato del governo afghano conferma «sulla base di informazioni credibili, che mullah Mohammad Omar è morto ad aprile 2013 in Pakistan». E agita il ramoscello d'ulivo: «Il governo afghano ritiene che ora ci sia più spazio di prima per i colloqui di pace e quindi chiede a tutti i gruppi dell'opposizione armata di cogliere l'opportunità di unirsi al processo di pace». Un portavoce dei talebani, raggiunto al telefono dalla radio Voice of America, ovviamente smentisce sostenendo che il mullah «è assolutamente vivo». La Casa Bianca definisce invece «credibile» la notizia.
Non è un caso che la clamorosa notizia sia saltata fuori due giorni prima del secondo round negoziale per la pace in Afghanistan. Venerdì ad Islamabad devono incontrarsi i rappresentanti del governo di Kabul e dei talebani. Il 15 luglio, in occasione della fine del Ramadan, era stato reso noto un comunicato attribuito ad Omar il fantasma, che apriva alle trattative di pace. E si scagliava contro i talebani che sono passati della parte del Califfato. Le bandiere nere stanno aumentando in Afghanistan, dove si registrano scontri sempre più sanguinosi fra i nuovi seguaci dello Stato islamico e la vecchia guardia talebana. In realtà il gruppo armato è diviso già da tempo, in almeno tre fazioni. Secondo una delle tante voci, il capo supremo non sarebbe morto di malattia, ma ammazzato da mullah Akhtar Muhammad Mansoor, il suo braccio destro.
L'unica certezza è che sul sito dei talebani non c'è più la biografia agiografica dell' «Ameer-ul-momineen», il «comandante di tutti i fedeli» pubblicata in aprile. Classe 1959, mullah Omar è un figlio di contadini, che non sapeva né leggere, né scrivere. E per sua stessa ammissione non era mai salito su un aereo. Gli studi in una scuola coranica della provincia di Uruzgan si interrompono con l'invasione sovietica degli anni Ottanta. Il giovane Omar combatte brandendo l'Rpg, il bazooka del patto di Varsavia, sua arma preferita. In battaglia perde l'occhio destro. La carriera di capo talebano inizia nella leggenda con una settantina di seguaci, che durante la guerra civile degli anni Novanta avrebbero vendicato un gruppo di giovani fanciulle violentate dai miliziani di un signore della guerra afghano. Alto quasi due metri, barbone nero, si fa vedere raramente in pubblico. A parte quando i talebani conquistano Kabul nel 1996 e lui si presenta in piazza a Kandahar sventolando il mantello del profeta Maometto. La reliquia, vero o falsa che sia, alimenta l'alone leggendario attorno al misterioso mullah. I pochi che riescono ad incontrarlo notano una certa timidezza, soprattutto nei confronti degli occidentali. Parla sottovoce e ama coprirsi la testa con il patò, la coperta di Linus degli afghani.
Nel 1998 chi scrive entra nell'ex palazzo reale di Kandahar dove vive mullah Omar. L'edificio ottocentesco è trasformato in un caravanserraglio con decine di jihadisti pachistani, ma tifosi del calcio italiano, accampati nel giardino, che attendono la «benedizione» del capo di tutti i credenti per andare a combattere.
Mullah Omar guida il paese da emiro fino al 2001 imponendo la dura legge del Corano e del moschetto. Ne fanno le spese non solo le donne, ma pure le antiche statue di Buddha di Bamyan prese a cannonate. Genero di Bin Laden, gli permette di portare avanti i piani per l'11 settembre dalle basi afghane. Nel 2001 i B52 americani mandano in polvere l'Emirato di Omar, che nell'ennesimo capitolo della leggenda fugge rocambolescamente alla cattura in sella ad una motocicletta attraversando il deserto. Il capo talebano con 10 milioni di dollari di taglia sulla testa sparisce riparando in Pakistan, ma la guerriglia dei suoi uomini continua. Le truppe italiane in 12 anni di missione contano 54 caduti e oltre 600 feriti. Non compare mai in video, ma negli ultimi messaggi audio esorta «la nazione musulmana dell'Afghanistan a non scoraggiarsi, a unirsi alla guerra santa contro gli invasori».
[continua]

video
27 novembre 2001 | TG5 - Canale 5 | reportage
La caduta di Kunduz
La caduta di Kunduz

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19 novembre 2001 | Studio Aperto - Italia 1 | reportage
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti
Uccisa Maria grazia Cutuli e altri tre giornalisti

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21 settembre 2009 | RaiUno - Uno Mattina | reportage
Il giorno dei funerali dei caduti di Kabul
Dai talebani alla situazione in Afghanistan ricordando che l'ultimo saluto ai paracadutisti caduti non può che essere il loro grido di battaglia: "Folgore".

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[altri video]
radio

14 novembre 2001 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Kabul liberata il giorno dopo
Torna a splendere il sole sulla capitale afghana. Gli esuli cacciati dai talebani rientrano nelle loro case.

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23 maggio 2005 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
Clementina è viva
Ritorniamo in apertura sul sequestro in Afghanistan di Clementina Cantoni con l'intervento in diretta da Kabul di Fausto Biloslavo, inviato de "Il Giornale".

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14 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Trappola esplosiva per i parà
SHEWAN - Il fumo nero e lugubre si alza in un istante per una quindicina di metri. “Attenzione Ied alla testa del convoglio” lanciano subito l’allarme per radio i paracadutisti della Folgore in uno dei blindati più vicini all’esplosione. La tensione è alle stelle. La trappola esplosiva, chiamata in gergo Ied, era nascosta sulla strada. I parà che spuntano della botola dei mezzi puntano le mitragliatrice pesanti verso le casupole di Shewan, roccaforte dei talebani. La striscia d’asfalto che stiamo percorrendo è la famigerata 517, soprannominata l’autostrada per l’inferno. Il convoglio composto da soldati italiani, americani e poliziotti afghani scorta due camion con il materiale elettorale per le presidenziali del 20 agosto. I talebani di Shewan da giorni annunciano con gli altoparlanti delle moschee che i veri fedeli dell’Islam non devono andare alle urne. Chi sgarra rischia di venir sgozzato o quantomeno di vedersi tagliare il dito, che sarà segnato con l’inchiostro indelebile per evitare che lo stesso elettore voti più volte. La colonna è partita alle 13.30 da Farah (Afghanistan sud occidentale) per portare urne, schede e altro materiale elettorale nel distretto a rischio di Bala Baluk. Novanta chilometri di paura, con i talebani che attendono i convogli come avvoltoi. Prima ancora di arrivare nell’area “calda” di Shewan giungevano segnalazioni di insorti in avvicinamento verso il convoglio. Li hanno visti i piloti degli elicotteri d’attacco Mangusta giunti in appoggio dal cielo. Ad un certo punto la strada si infila fra quattro casupole in fango e paglia, dove i civili afghani sembrano scomparsi da un momento all’altro. I talebani avevano già colpito e dato alle fiamme due cisterne afghane ed un camion che trasportava un’ambulanza. Le carcasse fumanti che superiamo sono la prima avvisaglia che ci aspettano. Nel blindato Lince del tenente Alessandro Capone, 30 anni, romano, comandante del primo plotone Nembo, i parà sono pronti al peggio. La trappola esplosiva ha colpito un Coguar americano, all’inizio della colonna con l’obiettivo di immobilizzarlo e bloccare tutto il convoglio. Invece il mezzo anti mina resiste e prosegue senza registrare feriti a bordo. Sui tetti delle casupole stanno cercando riparo alcuni soldati dell’esercito afghano. “L’Ana (le forze armate di Kabul nda) ha visto qualcosa” urla il parà che spunta dalla botola del Lince. Tutti hanno il dito sul grilletto e ci si aspetta un’imboscata in piena regola dopo lo scoppio dell’Ied. Invece la coppia di elicotteri Mangusta che svolazzano bassi su Shewan consigliano i talebani di tenere giù la testa. L’attacco è fallito. Il materiale elettorale un’ora dopo arriva destinazione, ma la battaglia per le elezioni in Afghanistan continua.

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20 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ La "battaglia" per il voto
L’Afghanistan ha vinto la “battaglia” per il voto” .Anche nelle zone più minacciate, come la provincia di Farah, i talebani non sono riusciti a far saltare le elezioni presidenziali e provinciali. L’aiuto dei paracadutisti della Folgore è stato determinante. I baschi amaranto della 6° compagnia Grifi sono partiti all’alba da Tobruk, la base avanzata italiana nel turbolento distretto di Bala Baluk. L’obiettivo del plotone Nembo è di garantire la sicurezza del seggio più a sud nel villaggio di Chakab. Non un paesino qualunque, ma il villaggio dove è nato Said Ayub il governatore ombra dei talebani nella provincia di Farah. Centoventicinque elettori hanno sfidato le minacce talebane andando a votare per il nuovo presidente nella piccola moschea di Chakab. Invece tre razzi sono stati lanciati contro base Tobruk. Il più vicino è esploso a 150 metri da una torretta di controllo del campo italiano. La battaglia più dura è scoppiata alle 11.30 ora afghana con un bombardamento di mortai su una colonna di bersaglieri partiti da Farh, il capoluogo provinciale. I fanti piumati hanno dovuto ripiegare, ma gli scontri sono continuati con i talebani che sparavano del villaggio di Pust i Rod. Il giorno delle elezioni e la notte precedente sono stati registrati 22 attacchi nel settore occidentale dell’Afghanistan comandato dal generale Rosario Castellano. Fausto Biloslavo da base Tobruk, provincia di Farah per Gr24 il sole 24 ore

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16 giugno 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Afghanistan
Il "tesoro" nascosto
L’Afghanistan è un paese disgraziato, povero e senza risorse, a parte l’oppio? Assolutamente no. Il sottosuolo afghano nasconde un forziere di minerali che vale 1 trilione di dollari. In cifre europee stiamo parlando di 810 miliardi di euro. Oro, gemme, rame, ferro ed il prezioso litio sono presenti in quantità tali da poter trasformare l’Afghanistan in una delle maggiori “potenze” minerarie al mondo. Lo hanno scoperto i geologi assoldati dal Pentagono studiando vecchie carte tracciate dai sovietici, che invasero il paese negli anni ottanta. Una ricchezza naturale capace di risollevare economicamente l’Afganistan e magari farlo uscire dal tunnel delle guerra.

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