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30 dicembre 2015 - Attualità - Italia - Il Giornale
“Gli occhi della guerra” ha vinto la sua battaglia
Dalla guerra alle bandiere nere in Iraq, ai cristiani perseguitati in Siria fino al caos in Libia, «Gli occhi della guerra», il sito dei reportage lanciato dal Giornale.it vi racconta i conflitti da due anni. Quando abbiamo proposto in rete, nel dicembre 2013, la prima raccolta fondi (crowdfunding) per sostenere servizi audaci in giro per il mondo pochi ci credevano. Crowdfunding sembrava un termine inglese troppo complicato e lontano da noi, ma il Giornale, i suoi lettori e sostenitori che non leggevano il nostro quotidiano sono stati i primi a crederci. E a puntare sui reportage, antico fiore all'occhiello del giornalismo, in un mondo che stava diventando sempre più minaccioso. L'idea vincente è stata quella di non realizzare solo il classico pezzo, ma un servizio multimediale con video, foto e audio anche in diretta. Nell'asfittico sistema mediatico italiano si è rivelato un esperimento rivoluzionario.Due anni dopo «Gli occhi della guerra» hanno realizzato una ventina di reportage: più della metà con i soldi raccolti in rete. «Continueremo ad utilizzare il crowdfunding, che ci ha permesso di partire, decollare e soprattutto di stabilire un filo diretto con i lettori che sostengono i reportage» spiega Andrea Pontini, amministratore delegato del sito del Giornale, che per primo ha creduto nell'idea innovativa. «Ma ci sono anche altri progetti - sostiene Pontini - Stiamo pensando di realizzare gli occhi della guerra in inglese per un pubblico più vasto, internazionale. Sbarcare all'estero ci permetterà di ampliare il bacino della raccolta fondi, ma anche di proporre servizi a testate internazionali, che già adesso chiedono contributi dai nostri reportage».Grazie allo slancio iniziale di lettori e sostenitori abbiamo raccontato il conflitto ucraino, nel cuore dell'Europa, la minaccia libica alle porte di casa e la guerra dimenticata in Afghanistan. Il crowdfunding di grande successo per denunciare il dramma dei «cristiani perseguitati» ci ha portato in Siria e Iraq.Non solo: la squadra di reporter si è allargata, al di fuori del Giornale, con servizi dal Kurdistan, dalla Birmania, dalla Repubblica Centrafricana e sulle sacche fondamentaliste in Europa. Gli inviati del Giornale.it hanno contribuito seguendo passo dopo passo l'esodo dei migranti lungo la rotta balcanica. In Bosnia abbiamo trovato le bandiere nere, in Libia scoperto gli ex di Gheddafi alla riscossa e nel nord dell'Iraq raccontato per primi la missione dei parà italiani che addestrano i curdi.In occasione del secondo compleanno il portale www.gliocchidellaguerra.it è stato completamento rinnovato. Un video di tre minuti racconta la nostra storia e pubblica gli ultimi reportage dalla Somalia, la Siria e l'Afghanistan. Dal 2016 gli occhi della guerra diventeranno un sito di servizi dalla prima linea e approfondimento, non solo di raccolta fondi. E punteremo a sinergie con associazioni che credono nel giornalismo di qualità.Due anni dopo e per il futuro valgono sempre le parole di Toni Capuozzo, veterano dei reportage: «É un'ottima idea quella degli Occhi della guerra. Un'idea buona per chi non si accontenta del copia e incolla al computer, delle opinioni rimasticate a tavolino, dei pregiudizi espressi da lontano. Ed è anche un modo per diventare protagonisti dell'informazione. Non dico la verità, parola troppo grossa per il giornalismo, ma un pezzetto di onestà, di lealtà, di realtà raccontata a tu per tu». I NOSTRI DUE ANNI VISSUTI PERICOLOSAMENTE Somalia 2015. Superato il primo check-point si materializzano i fotogrammi della storiografia somala, che sembra aver arrestato l'incedere del tempo con i suoi miliziani, le case sventrate e i pick-up con installate le mitragliatrici. Vent'anni di conflitto civile, attori sconfitti, comparse divenute protagonisti, signori della guerra e jihadisti. La tragedia sul palcoscenico della realtà: Mogadi-show.Libia 2015. Le bocche s'aprono in un urlo «tayara, tayara» Aereo, aereo. Alì e gli altri ex gheddafiani alzano gli occhi al cielo, ma è troppo tardi. I due missili sono già qui. Passano con un sibilo sinistro, s'infilano nella fattoria, esplodono con un boato devastante mentre una pioggia di schegge invade l'aria. Ora siamo a terra, la faccia schiacciata nel terreno. Alì alza il pugno al cielo. «Sono quelli di Fajr Libia, gli islamisti che governano Tripoli e bombardano ogni giorno perché vogliono impedirci di tornare alle nostre case». Siamo alle porte di Azizya, 35 chilometri a sud di Tripoli. Qui passa il nuovo fronte della guerra civile libica...Kurdistan 2015. «Questa è la direzione d'attacco contro l'Isis. Ok?», urla un paracadutista del 187° reggimento Folgore tracciando frecce e posizioni sulla sabbia. Le reclute curde in mimetica verde attorno a lui rispondono come un sol uomo: «Ok». E scattano a prendere posizione per l'addestramento a fuoco organizzato dai soldati italiani, in prima linea nel nord dell'Irak per arginare il Califfato. Colpo in canna e sdraiati a terra i curdi cominciano a sparare verso delle sagome. Poi rotolano e si alzano avanzando di corsa, come un vero assalto contro le bandiere nere. Alle spalle di ogni combattente curdo, i leggendari peshmerga, un basco amaranto della Folgore li incita e indica la direzione di tiro.Turchia 2015. I trafficanti stipano quaranta persone su un gommone che potrebbe portarne sì e no sette. Si vede dalla linea del galleggiamento che raggiunge quasi il bordo superiore del canotto. A pochi metri dalla riva, un uomo l'ultimo scafista salta in acqua e torna a terra. Ci muoviamo per avvicinarci ancora un po', quando sentiamo dei passi. Tre metri dietro di noi c'è un uomo in camicia, che fuma. È uno degli scafisti. Altri due gommoni partiranno da questa spiaggia. Sulla battigia lavora una ventina di persone caricando i profughi e lanciando a bordo i bagagli. Non parlano inglese, ma ci dicono solo di essere «amici del popolo siriano».Iraq 2014. «A mio padre hanno chiesto due volte di convertirsi all'islam e lui si è rifiutato. Siamo cristiani da sempre. Allora gli hanno tagliato il naso e la lingua» racconta Almas Elias Polos, una ragazzona vestita di nero scappata da Karakosh, la città occupata dal Califfato nel Nord dell'Irak. Davanti ad una statuina della madonna di Lourdes, nell'ex seminario di Baghdad, che ospita i cristiani in fuga dallo Stato islamico, descrive la persecuzione. «Poi hanno cominciato a spezzargli le ossa delle braccia e delle gambe - racconta Almas - È stato lasciato in vita per un giorno ad agonizzare con indicibili dolori. Alla fine lo hanno ammazzato scaricandogli addosso sette proiettili». Il martire cristiano si chiamava Elias e aveva 52 anni.Afghanistan 2014. A vederli i soldati afghani ricordano un po' l'armata Brancaleone. La colonna avanza lungo una pista sabbiosa, che si insinua in una valle ferma al passato con case piatte di fango e paglia attorniate da montagne brulle e selvagge. Il giovane con una cicatrice sulla guancia, che vuole vedere la fine della guerra è un pasthun, l'etnia maggioritaria in Afghanistan, serbatoio dei talebani. Altri sono tajiki, la seconda etnia del paese, con i nastri di proiettili attorno al collo e occhiali da sole alla Rambo. Per darci il benvenuto i militari sparano un razzo a spalla Rpg e quando fa il botto gridano «welcome».Siria 2014. Ai colpi di mortaio si è aggiunta la voce roca delle mitragliatrici pesanti e il ticchettio delle armi automatiche. Il tutto in un coacervo di echi ed esplosioni che rende impossibile comprendere da dove arrivino i colpi. E chi spari a chi. I palazzi crivellati di colpi sono ruderi abbandonati. Il governatore di Aleppo, Abu Abdu, te ne indica uno. «Era la Camera dell'Industria, hanno costruito un tunnel e l'hanno fatta saltare». www.gliocchidellaguerra.it
[continua]

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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06 giugno 2017 | Sky TG 24 | reportage
Terrorismo da Bologna a Londra
Fausto Biloslavo "Vado a fare il terrorista” è l’incredibile affermazione di Youssef Zaghba, il terzo killer jihadista del ponte di Londra, quando era stato fermato il 15 marzo dello scorso anno all’aeroporto Marconi di Bologna. Il ragazzo nato nel 1995 a Fez, in Marocco, ma con il passaporto italiano grazie alla madre Khadija (Valeria) Collina, aveva in tasca un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto come bagaglio. Il futuro terrorista voleva raggiungere la Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Gli agenti di polizia in servizio allo scalo Marconi lo hanno fermato proprio perché destava sospetti. Nonostante sul cellulare avesse materiale islamico di stampo integralista è stato lasciato andare ed il tribunale del riesame gli ha restituito il telefonino ed il computer sequestrato in casa, prima di un esame approfondito dei contenuti. Le autorità inglesi hanno rivelato ieri il nome del terzo uomo sostenendo che non “era di interesse” né da parte di Scotland Yard, né per l’MI5, il servizio segreto interno. Il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, ha dichiarato a Radio 24, che "venne segnalato a Londra come possibile sospetto”. E sarebbero state informate anche le autorità marocchine, ma una fonte del Giornale, che ha accesso alle banche dati rivela “che non era inserito nella lista dei sospetti foreign fighter, unica per tutta Europa”. Non solo: Il Giornale è a conoscenza che Zaghba, ancora minorenne, era stato fermato nel 2013 da solo, a Bologna per un controllo delle forze dell’ordine senza esiti particolari. Il procuratore capo ha confermato che l’italo marocchino "in un anno e mezzo, è venuto 10 giorni in Italia ed è stato sempre seguito dalla Digos di Bologna. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare, ma non c'erano gli elementi di prova che lui fosse un terrorista. Era un soggetto sospettato per alcune modalità di comportamento". Presentarsi come aspirante terrorista all’imbarco a Bologna per Istanbul non è poco, soprattutto se, come aveva rivelato la madre alla Digos “mi aveva detto che voleva andare a Roma”. Il 15 marzo dello scorso anno il procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini, che allora dirigeva il pool anti terrorismo si è occupato del caso disponendo un fermo per identificazione al fine di accertare l’identità del giovane. La Digos ha contattato la madre, che è venuta a prenderlo allo scalo ammettendo: "Non lo riconosco più, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer per vedere cose strane” ovvero filmati jihadisti. La procura ha ordinato la perquisizione in casa e sequestrato oltre al cellulare, alcune sim ed il pc. La madre si era convertita all’Islam quando ha sposato Mohammed il padre marocchino del terrorista che risiede a Casablanca. Prima del divorzio hanno vissuto a lungo in Marocco. Poi la donna è tornata casa nella frazione di Fagnano di Castello di Serravalle, in provincia di Bologna. Il figlio jihadista aveva trovato lavoro a Londra, ma nella capitale inglese era entrato in contatto con la cellula di radicali islamici, che faceva riferimento all’imam, oggi in carcere, Anjem Choudary. Il timore è che il giovane italo-marocchino possa essere stato convinto a partire per la Siria da Sajeel Shahid, luogotenente di Choudary, nella lista nera dell’ Fbi e sospettato di aver addestrato in Pakistan i terroristi dell’attacco alla metro di Londra del 2005. "Prima di conoscere quelle persone non si era mai comportato in maniera così strana” aveva detto la madre alla Digos. Il paradosso è che nessuna legge permetteva di trattenere a Bologna il sospetto foreign fighter ed il tribunale del riesame ha accolto l’istanza del suo avvocato di restituirgli il materiale elettronico sequestrato. “Nove su dieci, in questi casi, la richiesta non viene respinte” spiega una fonte del Giornale, che conosce bene la vicenda. Non esiste copia del materiale trovato, che secondo alcune fonti erano veri e propri proclami delle bandiere nere. E non è stato possibile fare un esame più approfondito per individuare i contatti del giovane. Il risultato è che l’italo-marocchino ha potuto partecipare alla mattanza del ponte di Londra. Parenti e vicini cadono dalle nuvole. La zia acquisita della madre, Franca Lambertini, non ha dubbi: “Era un bravo ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto mi ha detto “ciao zia”. Non avrei mai pensato a una cosa del genere".

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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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