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Articolo
24 gennaio 2017 - Prima - Italia - Il Giornale |
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Il gigante alpino Mattia “Così ho salvato Rachele portandola sulle spalle” |
«R achele aveva paura e freddo. Le ho tolto le scarpe bagnate dalla neve e infilato i piedini nei miei guanti pesanti per riscaldarli. Poi me la sono caricata sulle spalle e sono partito con gli sci per portarla in salvo verso l\\\'elicottero» racconta Mattia Popesso. Il primo caporale maggiore degli alpini è il gigante buono immortalato nella foto simbolo scattata dalla madre di una bimba di 5 anni evacuata da valle Castellana, una delle zone isolate del centro Italia colpite dal terremoto e sepolte dalla neve. Nelle immagini l\\\'alpino dell\\\'8° reggimento della gloriosa brigata Julia, alto due metri, occhi azzurri e barbone rossiccio avanza nel manto bianco con gli sci e la piccola sulle spalle. «Venerdì siamo sbarcati da un elicottero sul campo sportivo di valle Castellana e poi con gli sci e le pelli di foca abbiamo raggiunto le frazioni più isolate, dove non era arrivato ancora nessuno» racconta a il Giornale il gigante buono di 25 anni, friulano doc. «La situazione era estrema: niente corrente e niente acqua. Tutti gli abitanti riparati nella caserma dei carabinieri, unico edificio agibile. Le case sono state sfregiate dal terremoto e poi sepolte dalla neve» spiega la penna nera. Popesso ha servito in Afghanistan nel 2013. «Siamo passati pochi minuti prima nel luogo dove hanno gettato una granata dentro un nostro blindato ed è morto il capitano dei bersaglieri Giuseppe La Rosa». La «guerra» contro le calamità naturali è diversa, ma l\\\'addestramento alla sopravvivenza e al soccorso rimane lo stesso. «Abbiamo approntato una Zae, l\\\'area di atterraggio per un elicottero e scavato un sentiero nella neve per far arrivare le 26 persone da evacuare» spiega Popesso. Un giovane disabile è stato trasportato con un toboga, una barella apposita trascinata con gli sci ai piedi. «Sono giunti altri civili compresa Rachele, che non si staccava dalla mamma ed era spaventata. Le ho scaldato le manine e usato dei moschettoni di alpinismo colorati per farla giocare. Poi le ho parlato di Babbo Natale e l\\\'ho presa in braccio. Per lei sarebbe stato impossibile marciare nella neve fino all\\\'elicottero» spiega l\\\'alpino. «Mamma e papà erano dietro - continua il soccorritore - Le ho dato una barretta di cioccolata per tranquillizzarla. Una volta caricata sulle spalle mi sono messo in marcia con gli sci. Dopo un po\\\' Rachele si è addormentata dalla stanchezza sul mio caschetto». Nel paio di chilometri fino all\\\'elicottero la madre, Marina Bianchini, ha scattato delle foto al gigante buono con la sua bambina. Una volta in salvo le ha pubblicate su Facebook per ringraziare l\\\'alpino e sono diventate virali. «In questo momento di caos per il nostro Paese è bello rappresentare un simbolo positivo - osserva Popesso - Ma l\\\'effetto speciale è Rachele, che rappresenta il futuro. Io sono solo alto due metri». Gli alpini negli ultimi giorni sono riusciti a portare in salvo 160 persone bloccate dalla neve. Le forze armate hanno schierato 3.300 uomini, oltre mille mezzi e 36 elicotteri. E dal fronte della neve spuntano le storie più belle scritte sotto forma di diario, come ha fatto il caporale maggiore scelto Cino Panarese, 133° compagnia del battaglione Susa, 3° reggimento alpini. «Un bacio frettoloso alla moglie (già in piedi) e uno ai figli Jacopo e Giulia mentre dormono ancora» scrive l\\\'alpino senza sapere ancora che in poche ore si ritroverà nell\\\'inferno bianco. La sua squadra di soccorso di sette uomini parte da Pinerolo e arriva in centro Italia dove regna il caos. «Sbarchiamo dall\\\'elicottero carichi di energia - scrive Panarese - L\\\'obiettivo è la ricognizione di una borgata raggiungibile solo con sci e pelli di foca. Le strade non esistono più. Da tre metri di neve spuntano ogni tanto solo le punte dei cartelli». La squadra di penne nere intravede il paese isolato «o meglio piccoli pezzi di case sotto la coltre bianca. Aumentiamo il passo e urliamo per rintracciare gli abitanti isolati». Oppure si usano i fischietti per attirare l\\\'attenzione. Ci sono due famiglie «senza corrente e linea telefonica, che hanno bisogno di medicine e carburante per il generatore». I video mostrano come gli abitanti tagliati fuori dal mondo vedano gli alpini come salvatori. Un uomo di mezza età con la faccia tirata dal freddo esclama: «Siamo stati abbandonati. Per fortuna che ci siete voi». |
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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul.
Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia.
Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica.
“Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia.
Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”.
In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto.
Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”.
Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.
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20 giugno 2017 | WDR | intervento |
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.
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