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07 aprile 2017 - Attualità - Libia - Il Giornale
La guerra per controllare Sabha la porta d’ingresso per l’Europa
Fausto Biloslavo
Nel profondo sud della Libia si combatte una guerra senza esclusione di colpi fra le formazioni armate più forti del paese. La posta in gioco non è solo militare e politica. Attraverso Sabha, capoluogo della regione desertica del Fezzan, si snoda la principale via del traffico di essere umani verso l\'Italia. Chi controllerà il territorio potrà aprire o chiudere il flusso verso il nostro paese. Per questo da Roma si guarda molto da vicino la battaglia per la porta d\'ingresso in Libia di migranti e clandestini. «Sabha è il cuore della rotta centrale africana che collega il Sahel e l\'Africa Occidentale alla costa. La città è divisa fra 17 milizie tribali, che controllano ognuna un pezzo del traffico e si combattono e si alleano con le mafie del Chad e, soprattutto della Nigeria, per conquistare quote di mercato» spiega Sergio Bianchi, direttore di Agenfor international, Ong italiana con sede a Tripoli specializzata in sicurezza.
Le forze dell\'autoproclamato esercito libico del generale Khalifa Haftar, che si muovono dalla Cirenaica, hanno conquistato l\'aeroporto militare a 28 chilometri da Sabha. Ieri sono riesplosi scontri molti duri con la cosiddetta «terza forza», la potente milizia di Misurata che controlla altre basi nella zona. Gli schieramenti sono alleati con le opposte fazioni dell\'area ed il governo di Tripoli del premier Fajaz Serraj appoggiato dall\'Onu e soprattutto dall\'Italia ha inviato rinforzi al fianco dei combattenti di Misurata.
Dal 5 aprile il parlamento di Tobruk, braccio politico di Haftar, ha deciso di riaprire il dialogo con i rivali di Tripoli. Non a caso l\'ambasciatore italiano Giuseppe Perrone ha incontrato due giorni fa il presidente del parlamento Aqilah Saleh e lo stesso generale Haftar in Cirenaica.
Attraverso Sabha lo scorso anno sono arrivati con i barconi oltre 170mila persone in Italia. «Le basi finanziarie sono in Italia e i pagamenti e le garanzie sul traffico sono fatte dall\'Italia, attraverso telefonini e pagamenti con il sistema hawala o via Western Union. - spiega Bianchi - Quando hanno il numero di transfer autorizzano il passaggio di merci come benzina, cocaina, armi e persone, attraverso Sabha, come un normale spedizioniere». I barconi sulle coste libiche sono l\'ultimo segmento del traffico di esseri umani. «Sabha è il principale corridoio di traffici illegali da sud a nord - ammette il sindaco della città, Hamid al-Hayali - Le nostre forze di polizia sono inadeguate. Ci manca tutto, i mezzi, l\'addestramento». Le milizie alleate delle mafie etniche la fanno da padroni. Lo stesso carcere di Sabha è stato chiuso per l\'impossibilità di difenderlo e le guardie costrette ad abbandonarlo.
Per stabilizzare la Libia e Sabha il ministro dell\'Interno, Marco Minniti, ha chiuso un accordo a Roma con i rappresentanti delle tribù del sud in particolare fra Abna Suleyman e i Tebu, con il supporto dei Tuareg. Il generale Paolo Serra, consigliere per la sicurezza dell\'inviato speciale dell\'Onu per la Libia e lo stesso governo italiano puntano ad una «politica dell\'appoggio a pioggia» a gran parte delle forze in campo. Bianchi è convinto che l\'unico modo per evitare l\'ennesima «invasione» via Libia prevista per quest\'estate «è di gestire i campi profughi, secondo modelli del sistema penitenziario italiano».
[continua]

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21 settembre 2017 | Matrix | reportage
Migranti in gabbia
Per i migranti la Libia è un inferno. In 7000 sono detenuti nei centri del ministero dell’Interno in condizioni impossibili. L’Onu e le Ong, che denunciano le condizioni miserevoli, dovrebbero parlare di meno e fare di più prendendo in mano i centri per alzarne il livello di umanità. E non utilizzare le condizioni di questi disgraziati come grimaldello per riaprire il flusso di migranti verso l’Italia. Non solo: Tutti i dannati che vedete vogliono tornare a casa, ma i rimpatri, organizzati da un’agenzia dell’Onu, vanno a rilento perché mancano soldi e uomini. E chi ce la fa esulta come si vede in questo video dei nigeriani che tornano in patria girato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dietro le sbarre a Tripoli un migrante ci mostra i segni di percosse e maltrattamenti. Nel centro di detenzione di Triq al-Siqqa, il più grande della capitale libica, ci sono anche le donne, intercettate prima di raggiungere l’Italia, con i loro bambini nati nei cameroni, che protestano con le guardie per il cibo pessimo ed insufficiente. Il responsabile del centro di Triq al-Siqqa si scaglia contro l’Europa e parla di “visite dei ministri degli esteri di Germania, Inghilterra, delegazioni italiane…. tanto inchiostro sui documenti, ma poi non cambia nulla, gli aiuti sono minimi”. Ogni giorno arrivano al centro nuovi migranti fermati in mare, che ci provano ancora a raggiungere l’Italia. In Libia sono bloccate fra mezzo milione e 800mila persone, in gran parte vessate dai trafficanti, che attraggono le donne come Gwasa dicendo che in Italia i migranti “hanno privilegi, rifugio e cibo”. In agosto le partenze sono crollate dell’86% grazie ad un accordo con le milizie che prima proteggevano i trafficanti. Nei capannoni-celle di Garyan i migranti mostrano i foglietti di registrazioni delle loro ambasciate per i rimpatri, ma devono attendere mesi o anche un anno mangiando improbabile maccheroni. E non sono solo musulmani. Nel centro di detenzione costruito dagli italiani ai tempi di Gheddafi i dannati dell’inferno libico invocano una sola parola: “Libertà, libertà”.

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11 marzo 2016 | Tg4 | reportage
Colpe e bugie per gli ostaggi italiani uccisi
La ricostruzione del governo sulla drammatica vicenda dei 4 ostaggi italiani fa acqua da tutte le parti. E non mancano gravi responsabilità taciute da gran parte dei media. La matrice jihadista legata alle bandiere nere nel rapimento per autofinanziarsi è sempre più evidente, nonostante le smentite ufficiali. La trattativa c’era eccome a tal punto che è stato pagato almeno una parte del riscatto, come rivela l’unica sopravvissuta tunisina all’agguato che è costato la vita a due ostaggi Salvatore Failla e Fausto Piano. L’aspetto più grave e silenziato è l’avallo dell’Italia al raid del 19 febbraio contro un campo di addestramento del Califfato a Sabrata. L’obiettivo era Noureddine Chouchane un jihadista tunisino dello Stato islamico, che ha vissuto a lungo in Italia ed è stato espulso dal Viminale per motivi di sicurezza nazionale. Il premier Renzi ha dichiarato testualmente che si trattava “di un'azione di cui era informato il presidente della Repubblica, noi, francesi ed inglesi”. Sapevamo che gli ostaggi italiani erano a Sabrata, ma non abbiamo fatto nulla. Le bombe americane hanno rotto l’equilibrio di forze scatenando una guerra fra bandiere nere e milizie islamiste locali. Di mezzo ci sono andati due ostaggi italiani uccisi perché scambiati per jihadisti o peggio eliminati per rapinare il riscatto, servito a liberare gli altri due sequestrati, senza lasciare testimoni.

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02 aprile 2012 | Terra! | reportage
Italiano di ventura
TRIPOLI - “L’Italia, i figli, mi mancano, ma vorrei tornarci per difendermi in tribunale, non dietro le sbarre. La galera l’ho già fatta in Libia”. Parola di Giulio Lolli, 46 anni, latitante per la procura di Bologna e Rimini, che vive libero a Tripoli. Occhi azzurri, smilzo, barbetta e foulard con i colori della nuova Libia al collo parla per la prima volta della sua incredibile storia a cavallo fra la truffa e l’avventura. Fino al 2010 era uno dei più noti venditori di yacht italiani. Poi è finito in una serie di inchieste con una sfilza di reati finanziari, corruzione ed altre accuse da far tremare i polsi. Si è trasferito prima in Tunisia e poi in Libia rincorso non solo da un mandato di cattura internazionale, ma dalle rivolte arabe. “Non l’avrei mai immaginato, ma sono diventato un rivoluzionario e ho combattuto contro il regime di Gheddafi dopo essere stato trattato come un cane nelle sue galere” spiega Lolli, che incontriamo nel centro di Tripoli.

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02 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Una nube nera su tutta Tripoli

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26 aprile 2011 | Radio 101 | intervento
Libia
Con Luxuria bomba e non bomba
Il governo italiano, dopo una telefonata fra il presidente americano Barack Obama ed il premier Silvio Berlusconi, annuncia che cominciamo a colpire nuovi obiettivi di Gheddafi. I giornali titolano: "Bombardiamo la Libia". E prima cosa facevamo? Scherzavamo con 160 missioni aeree dal 17 marzo?

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10 marzo 2011 | Panorama | intervento
Libia
Diario dalla Libia
Diario dalla Libia

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29 aprile 2011 | Spazio Radio | intervento
Libia
Piegare Gheddafi e preparare l'intervento terrestre
Gli americani spingono con insistenza per un maggiore coinvolgimento dell’Italia nel conflitto in Libia, non solo per passare il cerino politico agli europei. L’obiettivo finale è piegare il colonnello Gheddafi e far sbarcare una forza di interposizione in Libia, con ampia partecipazione italiana. Un modello stile ex Yugoslavia, dove il contingente occidentale è arrivato dopo l’offensiva aerea.

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18 marzo 2011 | Radio Capodistria | intervento
Libia
IL vaso di pandora
IL vaso di pandora

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