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22 aprile 2018 - Atttualità - Italia - Il Giornale
Matrimonio, istruzione e lavoro Così l’Islam soggioga le donne

«Per quanto io sia nata qui, per quanto un altro arabo di seconda generazione possa essere nato qui, se i genitori sono chiusi mentalmente, ciao!», spiegava N., una ragazza italo-tunisina intervistata per una ricerca su «Integrazione ed estremismo» in Italia. E la giovane di seconda generazione aggiungeva: «Mi fanno tenerezza le ragazze o i ragazzi che non riescono a vivere la loro italianità o il loro essere occidentali perché hanno i genitori alle spalle molto più legati alla cultura di origine e quindi pretendono che questa sia trasmessa ai loro figli». E se non ci riescono, i padri-padroni, assieme ai figli maschi, si macchiano di delitti orribili come la tragica fine di Sana Cheema.

In Italia sarebbero addirittura 2mila ogni anno le minorenni costrette a sposarsi con uomini più grandi nei paesi di origine. La piaga dei matrimoni imposti, secondo stime governative, riguarderebbe il 20 per cento delle unioni accertate nelle comunità islamiche in Italia. Il fenomeno è «normale» soprattutto fra pakistani, indiani (in gran parte non musulmani), marocchini ed egiziani. Per alcune comunità, come quella pakistana, potrebbero sfiorare l\'80 per cento delle unioni, anche se non esistono dati precisi. L\'Università cattolica di Milano rivela che ogni anno si registra una media di 150 denunce di violenze legate ai matrimoni combinati per le giovani di seconda generazione.

Un altro terreno di scontro fra la società italiana e le tradizioni familiari è la scuola. Oggi in Italia i figli di immigrati sono più di un milione e tre su quattro sono nati nel nostro paese. Sui banchi di scuola gli alunni di origine straniera sono 814mila. «Gli studi - scrivono i ricercatori dell\'Istat - attribuiscono ai ragazzi con background migratorio una condizione di sospensione tra la cultura di origine e quella del paese di accoglienza». Sono soprattutto le ragazze a lasciare strada facendo i banchi. Secondo un\'indagine del Miur del 2016 dei nove gruppi non comunitari a maggiore dispersione scolastica, sei sono islamici: Egitto, Bangladesh, Senegal, Pakistan, Tunisia e Marocco. E sono quelli in cui le studentesse quasi scompaiono con il passare degli anni. Solo il 33 per cento delle ragazze egiziane frequenta le scuole secondarie. Il risultato è che sette su dieci tra le donne islamiche tra i 15 e i 29 anni che vivono da noi sono «neet», ovvero non studiano né lavorano, ma fanno le mogli le mamme.

S., una ragazza italo-egiziana, intervistata per la ricerca «Integrazione ed estremismo» ammette che «a volte mio padre se ne esce con delle frasi veramente maschiliste. E mi viene da pensare: Questo è il classico, stupido pensiero arabo, che mette la donna a livello inferiore. Tipo quando gli chiedo una cosa e mi fa: Ah quando avrai i baffi potrai farlo. E queste cose mi irritano». L\'aspetto curioso è che i figli spesso fanno da ponte fra i genitori poco integrati con la realtà italiana, pure a scuola quando traducono i colloqui del papà, che parla male la nostra lingua, con i professori.

E proprio a scuola i docenti si accorgono dei matrimoni imposti. «Le ragazze in estate sostengono di andare in vacanza nel loro Paese e poi non tornano più», spiega un\'insegnante. Il terreno di scontro riguarda anche lo sport, potente fattore aggregante fra gli adolescenti. Per genitori integralisti alcune pratiche sportive sono oltraggiose.  

Il vero terreno di scontro, però, è il vivere quotidiano nella nostra società, che preoccupa anche le famiglie italiane doc. E non mancano le ragazze di seconda generazione molto pragmatiche. Una giovane marocchina di Milano ammette: «Ho accettato la richiesta di papà. Sposerò un uomo del mio Paese. Ma ho chiesto di poter scegliere, di vederne almeno tre o quattro».

[continua]

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30 aprile 2020 | Tg5 | reportage
L'anticamera dell'inferno
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Per noi in prima linea c’è il timore che il ritorno alla vita normale auspicata da tutti possa portare a un aumento di contagi e dei ricoveri di persone in condizioni critiche” ammette Gianfranco, veterano degli infermieri bardato come un marziano per proteggersi dal virus. Dopo anni in pronto soccorso e terapia intensiva lavorava come ricercatore universitario, ma si è offerto volontario per combattere la pandemia. Lunedì si riapre, ma non dimentichiamo che registriamo ancora oltre 250 morti al giorno e quasi duemila nuovi positivi. I guariti aumentano e il contagio diminuisce, però 17.569 pazienti erano ricoverati con sintomi fino al primo maggio e 1578 in rianimazione. Per entrare nel reparto di pneumologia semi intensiva respiratoria dell’ospedale di Cattinara a Trieste bisogna seguire una minuziosa procedura di vestizione. Mascherina di massima protezione, tuta bianca, copri scarpe, doppi guanti e visiera per evitare il contagio. Andrea Valenti, responsabile infermieristico, è la guida nel reparto dove si continua a combattere, giorno e notte, per strappare i contagiati alla morte. Un grande open space con i pazienti più gravi collegati a scafandri o maschere che li aiutano a respirare e un nugolo di tute bianche che si spostano da un letto all’altro per monitorare o somministrare le terapie e dare conforto. Un contagiato con i capelli grigi tagliati a spazzola sembra quasi addormentato sotto il casco da marziano che pompa ossigeno. Davanti alla finestra sigillata un altro paziente che non riesce a parlare gesticola per indicare agli infermieri dove sente una fitta di dolore. Un signore cosciente, ma sfinito, con i tubi dell’ossigeno nel naso è collegato, come gli altri, a un monitor che segnala di continuo i parametri vitali. “Mi ha colpito un paziente che descriveva la sensazione terribile, più brutta del dolore, di non riuscire a respirare. Diceva che “è come se mi venisse incontro la morte”” racconta Marco Confalonieri direttore della struttura complessa di pneumologia e terapia intensiva respiratoria al dodicesimo piano della torre medica di Cattinara. La ventilazione non invasiva lascia cosciente il paziente che a Confalonieri ha raccontato come “bisogna diventare amico con la macchina, mettersi d’accordo con il ventilatore per uscire dal tunnel” e tornare alla vita. Una “resuscitata” è Vasilica, 67 anni, operatrice di origine romena di una casa di risposo di Trieste dove ha contratto il virus. “Ho passato un inferno collegata a questi tubi, sotto il casco, ma la voglia di vivere e di rivedere i miei nipoti, compreso l’ultimo che sta per nascere, ti fa sopportare tutto” spiega la donna occhialuta con una coperta sulle spalle, mascherina e tubo per l’ossigeno. La sopravvissuta ancora ansima quando parla del personale: “Sono angeli. Senza questi infermieri, medici, operatori sanitari sarei morta. Lottano ogni momento al nostro fianco”. Il rumore di fondo del reparto è il ronzio continuo delle macchine per l’ossigeno. L’ambiente è a pressione negativa per aspirare il virus e diminuire il pericolo, ma la ventilazione ai pazienti aumenta la dispersione di particelle infette. In 6 fra infermieri ed un medico sono stati contagiati. “Mi ha colpito la telefonata di Alessandra che piangendo ripeteva “non è colpa mia, non è colpa mia” - racconta Confalonieri con il volto coperto da occhialoni e maschera di protezione - Non aveva nessuna colpa, neppure sapeva come si è contagiata, ma si struggeva per dover lasciare soli i colleghi a fronteggiare il virus”. Nicol Vusio, operatrice sanitaria triestina di 29 anni, ha spiegato a suo figlio che “la mamma è in “guerra” per combattere un nemico invisibile e bisogna vincere”. Da dietro la visiera ammette: “Me l’aspettavo fin dalla prime notizie dalla Cina. Secondo me avremmo dovuto reagire molto prima”. Nicol racconta come bagna le labbra dei pazienti “che con gli occhi ti ringraziano”. I contagiati più gravi non riescono a parlare, ma gli operatori trovano il modo di comunicare. “Uno sguardo, la rotazione del capo, il movimento di una mano ti fa capire se il paziente vuole essere sollevato oppure girato su un fianco o se respira male” spiega Gianfranco, infermiere da 30 anni. Il direttore sottolinea che “il covid “cuoce” tutti gli organi, non solo il polmone e li fa collassare”, ma il reparto applica un protocollo basato sul cortisone che ha salvato una novantina di contagiati. Annamaria è una delle sopravvissute, ancora debole. Finalmente mangia da sola un piattino di pasta in bianco e con un mezzo sorriso annuncia la vittoria: “Il 7 maggio compio 79 anni”.

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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26 settembre 2012 | Uno Mattina | reportage
I lati oscuri (e assurdi) delle adozioni
Con mia moglie, prima di affrontare l’odissea dell’adozione, ci chiedevamo come mai gran parte delle coppie che sentono questa spinta d’amore andavano a cercare bambini all’estero e non in Italia. Dopo quattro anni di esperienza sulla nostra pelle siamo arrivati ad una prima, parziale e triste risposta. La burocratica e farraginosa gestione delle adozioni nazionali, grazie a leggi e cavilli da azzeccagarbugli, non aiutano le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria, ma le ostacolano.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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