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06 marzo 2019 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Una trattativa con i tagliagole

Vedete questi tre personaggi nelle foto? Fino a ieri erano dei tagliagole, responsabili di crimini di guerra, che avevano falcidiato le truppe della Nato in Afghanistan o ispirato i più sanguinosi attentati. Oggi sono i corteggiati rappresentanti delle trattative con gli americani o il governo afghano nella speranza di pacificare il paese travolto da una guerra che dura dall’invasione sovietica del 1979. E con loro al tavolo di pace siedono ex prigionieri di Guantanamo considerati per anni dei terroristi e figure di spicco quando i talebani erano al potere a Kabul.

Il 25 febbraio l’inviato speciale americano, Zalmay Khalilzad, afghano di origine ed ex ambasciatore Usa a Kabul ha dato il via al quinto giro di colloqui diretti con i talebani. Gli estremisti islamici, che i soldati italiani hanno combattuto per 17 anni, sono presenti con un ufficio di rappresentanza a Doha, capitale del Qatar, dove si tengono i negoziati. Le linee guida dell’accordo prevedono il ritiro dei 14mila soldati Usa ancora in Afghanistan seguiti da tutte le altre truppe Nato. In cambio i talebani si impegnano a non usare il paese come base di lancio per nuovi attacchi del terrore in stile 11 settembre. Khalilzad ha twittato che i colloqui “sono più produttivi che in passato”, dopo avere incontrato il numero due dei talebani, mullah Abdul Ghani Baradar.

Non un comandante qualunque, ma il fondatore del movimento integralista assieme a mullah Mohammed Omar morto di tubercolosi nel 2013. Baradar iniziò a combattere la guerra santa proprio con il leader guercio degli studenti guerrieri durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan negli anni ottanta. Quando l’Emirato talebano si insediò a Kabul venne nominato vice ministro della Difesa. La leggenda vuole che fu Baradar a salvare Omar dalla cattura a Kandahar, all’arrivo degli americani nel 2001, fuggendo con lui in moto nel deserto.

Sicuramente il comandate talebano ha guidato la resistenza talebana dopo il crollo del regime contro i contingenti della Nato ordinando e pagando uno stillicidio di attacchi. Reza Khan era uno degli assassini reo confessi dell’inviata del Corriere della sera, Maria Grazia Cutuli, uccisa a raffiche di mitra assieme ad altri tre giornalisti il 19 novembre 2001 sulla strada per Kabul. Prima di venire giustiziato a Kabul aveva raccontato come i suoi capi locali, che avevano ordinato la strage per dare un segnale di insicurezza dopo la sconfitta dei talebani, rispondevano a mullah Baradar.

Nel 2010 l’Isi, i servizi segreti militari del Pakistan, arrestavano il capo dei tagliagole a Karachi. Gli americani lo hanno fatto liberare lo scorso ottobre. “Khalilzad a nome del presidente Usa ci ha chiesto di facilitare l’accesso dei talebani al tavolo del negoziato” ha ammesso senza peli sulla cinghia il generale Asif Ghafoor, portavoce delle Forze armate di Islamabad.

I talebani hanno nominato una squadra di 14 negoziatori per trattare con gli Stati Uniti. Fra questi c’è Abdul Manan Omari, uno dei figli del fondatore del movimento. Oltre ad ex diplomatici ed esponenti del governo dell’Emirato quando era al potere ci sono anche tre detenuti di Guantanamo rilasciati nel 2014 in cambio della liberazione del soldato americano Bowe Bergdahl ostaggio dei talebani. Mullah Norullah Noori ha passato 12 anni nel carcere americano a Cuba. Khairullah Khairkhwa, ex ministro dell’Interno talebano, è stato associato direttamente ad Osama bin Laden, lo sceicco del terrore fondatore di Al Qaida. Abdul Haq Wasiq era il numero due dell’apparato di intelligence dei talebani e adesso tratta la “pace” con gli americani.

Ryan Crocker, ex ambasciatore Usa a Kabul, è convinto che si stia ripetendo il disastroso negoziato per la fine della guerra in Vietnam diventata una fuga: “Una volta seduti al tavolo è come dire “ci arrendiamo””.

I talebani lo sanno e alzano il tiro. Nella squadra dei negoziatori hanno inserito anche Muhammad Anas Haqqani. Il fratello minore di Sirajuddin, che guida la famigerata “rete” che prende il nome del padre, Jalaludin mitico comandante dei mujaheddin dai tempi dell’Armata rossa fino al periodo talebano. La “rete Haqqani” è responsabile dei più sanguinosi attentati suicidi, soprattutto a Kabul. Il 31 maggio 2017 un camion carico di esplosivo lanciato sulla folla vicino all’ambasciata tedesca ha provocato 150 morti e 413 feriti. Il più grave attacco terroristico dal crollo del regime talebano. Anas Haqqani, responsabile della raccolta fondi, è stato catturato nel 2014 e condannato a morte due anni dopo. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, sostiene che “era uno studente al momento dell’arresto non coinvolto in attività militari”. Il suo sanguinario fratello vuole utilizzarlo nei negoziati con gli Usa per mantenere la linea dei falchi, che puntano ad un ritiro delle truppe straniere in cambio di poche concessioni.

Il presidente afghano, Ashraf Ghani, per ora tagliato fuori da negoziati diretti con i talebani punta i piedi e non intende liberarlo. Però non ha avuto remore a perdonare Gulbuddin Hekmatyar, un signore della guerra con le mani che grondano sangue. Fondatore del partito integralista Hezb i Islami fu responsabile, fin dai tempi dell’occupazione sovietica, di terribili faide interne alla stessa resistenza. Hekmatyar dopo aver rapito lo stato maggiore del rivale, Ahmad Sta Massoud, rimandò i suoi uomini tagliati a pezzi in sacchi di iuta al leggendario leone del Panjsher. Durante la guerra civile scoppiata dopo la ritirata dei sovietici era soprannominato il “macellaio di Kabul” per il bombardamento quotidiano e indiscriminato della capitale che ha provocato la morte di migliaia di civili. I suoi uomini decapitavano i prigionieri e poi versavano dell’olio bollente nel collo mozzato per far muovere il corpo come un manichino negli ultimi spasmi. Hekmatyar fronteggiò le truppe alleate assieme ai talebani e per anni è stato il primo della lista dei ricercati della Nato. L’Onu lo ha ripetutamente sanzionato come terrorista. Il 4 maggio 2017 è tornato con tutti gli onori a Kabul accolto nel palazzo presidenziale per la firma di una pace effimera con il governo. Amnistiato per i suoi crimini sostiene di essere in grado di facilitare i negoziati con i talebani. Inviati speciali europei e ambasciatori occidentali hanno fatto a gara per incontrarlo per sancirne la riabilitazione. Lo stesso potrebbe capitare con i tagliagole talebani. Il presidente uscente Ghani riferendosi ai negoziati di Doha ha dichiarato: “La pace è un imperativo. Dopo 17 anni la guerra deve finire”.  

Fausto Biloslavo


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Liberati i tre operatori di Emergency
Svolta nella ultime ore dopo una settimana di passione.

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IAfghanistan,un'estate in trincea. In prima linea con i marines

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