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21 maggio 2019 - Prima - Italia - Il Giornale
Quelle inchieste sulle Ong finite in nulla
di Fausto Biloslavo
Le procure aprono inchieste sulle Ong e sequestrano navi dei talebani dell\\\'accoglienza, ma quasi sempre finisce tutto in una bolla di sapone e gli umanitari ad oltranza tornano a fare quello che vogliono davanti alla Libia. Non solo: il sequestro di ieri di Sea watch 3 ha permesso, in punta di diritto, lo sbarco de 47 immigrarti illegali rimasti a bordo. E le Ong ringraziano con tanto di video beffardo.
I talebani tedeschi dell\\\'accoglienza hanno filmato il trasbordo dei clandestini su una motovedetta della Guardia costiera postandolo su twitter con la seguente frase: «La nostra missione umanitaria è finalmente compiuta. Grazie al Comandante e a tutto l\\\'equipaggio». E alla procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio, che ha permesso lo sbarco grazie al sequestro della nave. 
La Sea watch 3 il 28 gennaio era stata già graziata dal pubblico ministero di Siracusa, Fabio Scavone, sostenendo che il comandante nel decidere di sbarcare l\\\'ennesimo carico di migranti in Italia e non in Tunisia, il porto sicuro più vicino alla Libia, «non ha commesso alcun reato». La stessa nave dell\\\'omonima Ong tedesca, recidiva, era rimasta sotto sequestro lo scorso anno a Malta per mesi, ma poi è riuscita a riprendere il mare.
La Guardia costiera italiana invia ogni volta alle procure un dettagliato rapporto, che sottolinea come le navi delle organizzazioni non governative continuino a violare le regole, ma non sembra mai sufficiente. Una fonte de il Giornale sostiene «che questa volta è diverso. Non posso fornire dettagli, ma la procura ha ricevuto informazioni che renderebbero stupefacente un finale a tarallucci e vino».
I precedenti non sono incoraggianti a cominciare dai due sequestri di file della Mare Jonio dell\\\'Ong Mediterranea messa in piedi da estremisti no global come Alessandro Metz e Luca Casarini. La nave è bloccata per avere fatto sbarcare 30 clandestini a Lampedusa, ma la procura di Agrigento non ha convalidato il sequestro preventivo della Guardia di Finanza, ma solo quello probatorio. Nonostante la Mare Jonio fosse già stata sequestrata per la stessa ipotesi di reato il 20 marzo, sempre dagli uffici di Patronaggio. Poi il 13 aprile la Ong era tranquillamente salpata, grazie al dissequestro, mentre rimangono indagati il comandante, Pietro Marrone e Casarini. 
Uno schema rodato, che ha riguardato anche nave Open arms dell\\\'omonima Ong spagnola. Un provvedimento del gip di Ragusa, Giovanni Giampiccolo, ha disposto il dissequestro dopo che era stata bloccata al porto di Pozzallo dal 18 marzo scorso in seguito al recupero in mare di 218 migranti. Adesso si sta avvicinando dall\\\'Egeo.
Un altro aspetto è che non scatta mai un solo arresto per i talebani dell\\\'accoglienza. Al massimo vengono indagati a piede libero il comandante e il capo missione. Lo stesso copione con Sea watch 3 arrivata ieri a Licata. L\\\'unico indagato è il capitano, Arturo Centore, ma i membri dell\\\'Ong a bordo sono liberi di muoversi senza restrizioni e per ora non rischiano nulla. Anche le grandi indagini sui tempi d\\\'oro, quando arrivavano diecimila migranti dalla Libia in una settimana, sono state chiuse o segnano il passo. 
La madre di tutte le inchieste del procuratore capo Carmelo Zuccaro di Catania è stata archiviata dal gip sostenendo che «non ci sono prove di contatti tra Ong e scafisti». L\\\'unico procedimento ancora in piedi è quello della procura di Trapani contro l\\\'Ong estremista tedesca Jugend Rettet e la nave Juventa con tanto di foto e prove raccolte da un agente infiltrato. Però l\\\'inchiesta sta andando avanti da oltre due anni. Le bolle di sapone giudiziarie saranno anche dettate dalla rigorosa interpretazione delle norme, ma le procure non riescono mai ad andare a fondo sulle prove. L\\\'assurdo è che gran parte di intercettazioni e informazioni d\\\'intelligence sui trafficanti di uomini raccolti dalla flotta europea della missione Sophia o dal dispiegamento Mare sicuro sono coperte da segreto militare e non utilizzabili dalla magistratura.

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07 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Parla il sopravvissuto al virus
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il sopravvissuto sta sbucciando un’arancia seduto sul letto di ospedale, come se non fosse rispuntato da poco dall’anticamera dell’inferno. Maglietta grigia, speranza dipinta negli occhi, Giovanni Ziliani è stato dimesso mercoledì, per tornare a casa. Quarantadue anni, atleta e istruttore di arti marziali ai bambini, il 10 marzo ha iniziato a stare male nella sua città, Cremona. Cinque giorni dopo è finito in terapia intensiva. Dalla Lombardia l’hanno trasferito a Trieste, dove un tubo in gola gli pompava aria nei polmoni devastati dall’infezione. Dopo 17 giorni di calvario è tornato a vivere, non più contagioso. Cosa ricorda di questa discesa all’inferno? “Non volevo dormire perchè avevo paura di smettere di respirare. Ricordo il tubo in gola, come dovevo convivere con il dolore, gli sforzi di vomito ogni volta che cercavo di deglutire. E gli occhi arrossati che bruciavano. Quando mi sono svegliato, ancora intubato, ero spaventato, disorientato. La sensazione è di impotenza sul proprio corpo. Ti rendi conto che dipendi da fili, tubi, macchine. E che la cosa più naturale del mondo, respirare, non lo è più”. Dove ha trovato la forza? “Mi sono aggrappato alla famiglia, ai valori veri. Al ricordo di mia moglie, in cinta da otto mesi e di nostra figlia di 7 anni. Ti aggrappi a quello che conta nella vita. E poi c’erano gli angeli in tuta bianca che mi hanno fatto rinascere”. Gli operatori sanitari dell’ospedale? “Sì, medici ed infermieri che ti aiutano e confortano in ogni modo. Volevo comunicare, ma non ci riuscivo perchè avevo un tubo in gola. Hanno provato a farmi scrivere, ma ero talmente debole che non ero in grado. Allora mi hanno portato un foglio plastificato con l’alfabeto e digitavo le lettere per comporre le parole”. Il momento che non dimenticherà mai? “Quando mi hanno estubato. E’ stata una festa. E quando ero in grado di parlare la prima cosa che hanno fatto è una chiamata in viva voce con mia moglie. Dopo tanti giorni fra la vita e la morte è stato un momento bellissimo”. Come ha recuperato le forze? “Sono stato svezzato come si fa con i vitellini. Dopo tanto tempo con il sondino per l’alimentazione mi hanno somministrato in bocca del tè caldo con una piccola siringa. Non ero solo un paziente che dovevano curare. Mi sono sentito accudito”. Come è stato infettato? “Abbiamo preso il virus da papà, che purtroppo non ce l’ha fatta. Mio fratello è intubato a Varese non ancora fuori pericolo”. E la sua famiglia? “Moglie e figlia di 7 anni per fortuna sono negative. La mia signora è in attesa di Gabriele che nascerà fra un mese. Ed io sono rinato a Trieste”. Ha pensato di non farcela? “Ero stanco di stare male con la febbre sempre a 39,6. Speravo di addormentarmi in terapia intensiva e di risvegliarmi guarito. Non è andata proprio in questo modo, ma è finita così: una vittoria per tutti”.

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni. Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra. Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti. Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti. Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata». Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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