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07 ottobre 2019 - Interni - Italia - Il Giornale
Il gip: “Il killer sapeva sparare E non risulta malato di mente”
Trieste Il killer dominicano, Alejandro Augusto Stephan Meran, che ha ucciso due poliziotti nella Questura di Trieste e ferito un terzo agente non è un Rambo improvvisato da video games, ma «aveva familiarità con le armi».
Il gip, Massimo Tomassini, lo scrive a chiare lettere nell\'ordinanza di convalida della custodia cautelare. Le telecamere interne inquadrano l\'assassino mentre spara con le due pistole strappate alle vittime. La seconda era ancora nella fondina anti estrazione, ma l\'hanno sentito mettere il colpo in canna. 
All\'esterno della Questura, intercettato da tre agenti della Squadra mobile, ha aperto il fuoco contro la loro auto senza insegne colpendo il montante ad altezza d\'uomo. «Dati oggettivi che dimostrano dimestichezza o almeno scioltezza nell\'uso dell\'arma» spiega al Giornale un investigatore che si occupa del caso. Il Gip sottolinea che poteva essere «una mattanza». 
Stephan Meran, imputato di omicidio plurimo e tentato omicidio ha sparato ad 8 poliziotti dentro e fuori la Questura ferendone uno alla mano sinistra. Il capo della Mobile, Giovanni Cuciti, ha dichiarato che sono stati esplosi in tutto 22 colpi. Il killer dominicano ha tirato il grilletto 15 volte con la prima pistola portata via all\'agente Pierluigi Rotta e uno o due con la seconda della vittima Matteo Demenego. «Hanno sentito che metteva il colpo in canna della calibro nove strappata con tutta la fondina all\'agente Demenego dopo avergli sparato» spiega un investigatore.
Il gip sostiene che l\'assassino ha dimostrato «lucidità» portando avanti senza indugi «un\'azione aggressiva». Sulla malattia mentale denunciata dai familiari il pubblico ministero, Federica Riolino, non ha trovato alcun riscontro a parte alcuni «farmaci rinvenuti all\'esito della perquisizione domiciliare». Il questore di Trieste, Giuseppe Petronzi, alla domanda se è stata evitata una strage ha risposto in maniera lapidaria: «E\' un dato di fatto: i video mostrano fasi concitate e drammatiche».
Da dove spunta il killer immigrato da 7-8 anni in Italia, che sembra avere «familiarità con le armi»? Stephan Meran ha vissuto con il fratello Carlysle dal 2017, almeno per un anno, a Ponte delle Alpi, comune di appena 8.194 anime. E faceva il magazziniere a Belluno. Il futuro assassino, fermato una volta ad un posto di blocco, risulta incensurato. Il fratello era stato trovato con una scimitarra in macchina e segnalato per porto abusivo di arma da taglio.
E proprio da Ponte delle Alpi sono partiti due jihadisti balcanici per la Siria legati all\'imam dell\'Isis Bilal Bosnic, oggi in carcere in Bosnia. «Al momento non risulta alcuna contaminazione con ambienti jihadisti. Al contrario i due fratelli, come la famiglia, sono molto legati alla religione cristiana» spiega al Giornale una fonte dell\'antiterrorismo.
I fratelli Stephan Meran erano arrivati nel bellunese dall\'Aquila e prima ancora da Udine, dopo la Germania, grazie ad un ricongiungimento familiare. Si sta indagando sul passato europeo del killer. Oggi dovrebbero arrivare i primi riscontri dalla Germania anche sulla supposta patologia psichiatrica e le cure in territorio tedesco. Non è chiaro da quanto tempo si trovasse nello spazio Schengen, ma era in possesso di un regolare permesso di soggiorno in Italia.
Il pluriomicida di 29 anni dove ha imparato ad usare le armi? Difficile che abbia potuto farlo attraverso i video games, ma forse ha fatto il militare oppure è stato affiliato a bande latino americane, che solitamente sono sanguinose e ben armate. Intanto l\'uomo si trova ricoverato al sesto piano dell\'ospedale di Cattinara a Trieste, nel reparto di Medicina d\'Urgenza. Il killer è sorvegliato a vista da un agente della penitenziaria, che staziona con lui nella stessa stanza, e da altri tre poliziotti che controllano dall\'esterno. Nessuno può avvicinarlo soltanto il personale medico.

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29 dicembre 2011 | SkyTG24 | reportage
Almerigo ricordato 25 anni dopo
Con un bel gesto, che sana tante pelose dimenticanze, il presidente del nostro Ordine,Enzo Iacopino, ricorda davanti al premier Mario Monti, Almerigo Grilz primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine della seconda guerra mondiale, il 19 maggio 1987 in Mozambico.

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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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