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13 dicembre 2019 - Il fatto - Italia - Il Giornale
il “gretino” Fioramonti ne spara un’altra: “Eni abbandoni il petrolio e diventi green”
Fausto Biloslavo
Lorenzo Fioramonti, ministro dell\'Istruzione, ne spara un\'altra delle sue, intimando all\'Eni, fiore all\'occhiello nazionale nel campo energetico, «la riconversione totale» verso un futuro verde e felice, ma al di fuori della realtà. Fioramonti, che non è il ministro dello Sviluppo economico e dovrebbe occuparsi solo di scuola ha pontificato: «Vorrei sentirmi dire che nel 2025 il petrolio sarà un centesimo nelle attività di Eni, nel 2030 saremo completamente green. Non c\'è tempo».
La Federpetroli e tutto il centro destra hanno sparato a palle incatenate contro le estrose dichiarazioni del ministro, che non da oggi è un «gretino», nel senso di fan della Giovanna d\'Arco ambientale, Greta Thunberg, che va tanto di moda. Fin dal 2017 Fioramonti scriveva: «Possiamo - e dobbiamo - prevedere un futuro alimentato da energia rinnovabile al 100%, che potrebbe contribuire a spezzare il legame tra attività economica e cambiamento climatico». Teorie imbarazzanti che hanno provocato altre gaffe ministeriali come le tasse sui voli passeggeri.
L\'ultima sparata arriva da Madrid con un\'intervista rilasciata mercoledì al portale della finanza etica Valori.it, al Cop25. La conferenza sui cambiamenti climatici dell\'Onu, dove Greta ha fatto la sua puntuale sceneggiata. Forse estasiato dalla ragazzina svedese finita sulla copertina di Time, il ministro ha dichiarato che «l\'Eni è una grande risorsa per il Paese ma a patto che non si faccia più nessuna esplorazione e si investa in maniera radicale nella riconversione totale verso le rinnovabili, l\'idrogeno e le nuove frontiere della decarbonizzazione». Una crociata contro l\'azienda nazionale, che ha scatenato dure reazioni. «Le parole del ministro Fioramonti sono una grande mancanza di rispetto e una vergogna per le aziende del Mondo dell\'Oil & Gas internazionale ed in particolar modo per migliaia di lavoratori che fanno grande la nostra Eni e l\'indotto che vive grazie al petrolio» ha risposto il presidente di FederPetroli Italia, Michele Marsiglia. Tutto il centro destra si è mobilitato al suo fianco e Salvini ha sottolineato: «Alè, altre migliaia di lavoratori rischiano il posto. Roba da matti». Marsiglia ha paventato possibili riflessi in Borsa puntando il dito contro il grillino: «Un ministro, che rappresenta uno Stato è totalmente irresponsabile nel pronunciare dichiarazioni del genere. Questa è la nostra Pubblica Istruzione? Fioramonti non ha forse pensato ai migliaia di azionisti, a piccoli e medi risparmiatori, alle migliaia di aziende, alle famiglie che hanno investito i loro risparmi da anni nel titolo Eni».
Il ministro «gretino» aveva già sollevato dure critiche per la proposta di tassare i voli, che inquinano, con l\'obiettivo di finanziare la ricerca. In realtà è un altro tassello ideologico della folle teoria del «superamento del prodotto interno lordo», che ha trovato in Greta la nuova Messia ecologista. Non è un caso che Fioramonti, in settembre, abbia pubblicamente appoggiato i venerdì di sciopero «ambientale» lanciati dall\'attivista svedese definendoli «una bellissima iniziativa». E invitando di fatto gli studenti a marinare la scuola per andare in piazza con queste parole: «La lezione più importante che possano frequentare».
Poi ha annunciato che nel 2020 sarà obbligatorio «lo studio dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile». Un\'altra «gretinata» se verranno utilizzati testi apocalittici propagandati dagli attivisti del clima, che vedono la fine del mondo dietro l\'angolo.
[continua]

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul. Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia. Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica. “Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia. Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”. In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto. Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”. Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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