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Reportage
18 aprile 2020 - Il Fatto - Italia - Il Giornale
Carezze, maschere strappate e foto dei nipoti Tra i nonni in isolamento dell’Itis di Trieste
Fausto Biloslavo
Trieste «Xe la fine del mondo», sbotta Bruna spinta su una sedie a rotelle da un\'infermiera in tuta bianca da marziana per proteggersi dal virus. Non contagiata e pimpante ha voluto a tutti i costi restare nella sua stanza della struttura per anziani, anche se l\'intera ala è «zona rossa» con gli ospiti tutti positivi. Non è riuscito a convincerla neppure il figlio medico. «Iero già prima con le donne infettade, che gaveva la febbre - racconta nel cantalenante dialetto triestino -. Il virus? Non ho paura per me, che sono anziana, ma per i giovani come mio nipote che deve sposarsi il 30 maggio».
L\'Itis è la storica e più grande struttura per anziani di Trieste fin dai tempi dell\'impero austro-ungarico con 350 ospiti isolati dal mondo esterno. I contagiati sono 26 nelle residenze Ciclamino, Stella alpina e Bucaneve trasformate in zone rosse nettamente separate dagli altri anziani. L\'emergenza case di riposo riguarda anche il Friuli-Venezia Giulia: oltre 170 strutture per 10.930 anziani. Almeno in 24 sono stati registrati 270 casi positivi al virus e 90 decessi. Quasi la metà dei posti letto sono concentrati fra Gorizia, Monfalcone e Trieste, la città più «vecchia» d\'Italia. Ben 17 residenze per anziani piccole e grandi, sono contagiate dal virus solo nel capoluogo giuliano e nell\'isontino. Al punto che a Trieste si sta pensando di «impiegare una nave per trasferire dalle case di riposo a rischio ricavate nei condomini circa 150 anziani positivi», secondo il vicepresidente della Regione, Riccardo Riccardi, assessore alla Sanità, che guida l\'emergenza dal «bunker» della Protezione civile di Palmanova.
Gli ampi corridoi dell\'Itis sono desolatamente vuoti. «Non esistono solo gli eroi negli ospedali. Anche nelle strutture protette per anziani come la nostra ci sono uomini e donne in prima linea nell\'assistenza contro il virus per 1200 euro al mese», sottolinea il presidente dell\'ente, Aldo Pahor. Una trentina di operatori ha contratto il Covid-19, altri sono in malattia, pochi hanno dato le dimissioni per paura, ma trovare personale non è facile. Il 75 per cento è straniero e gli operatori vivono e dormono dentro la struttura.
La coordinatrice infermieristica, Silvia Abate, è coperta dalla testa ai piedi dalla tuta bianca antivirus, da guanti e mascherina e pure da una visiera. Fa una certa impressione vederla dall\'altra parte della porta a vetri, dietro un cartello di area invalicabile con scritto «zona rossa Covid-19». Parte degli anziani contagiati sono affetti da demenza senile e aiutarli non è facile. «Non comprendono la gravità della situazione - spiega Silvia -. Si strappano via le mascherine e se lasciamo il gel disinfettante in giro se lo bevono».
L\'Azienda sanitaria ha mobilitato delle mini task force per le case di riposo. Matteo Picerno è uno dei medici sul fronte del virus, si infila con scrupolosa attenzione la tuta blu protettiva. Nella residenza Larice, usata come filtro, «salviamo gli anziani isolandoli e controllando eventuali sintomi», spiega. Nella stanza di Claudio esegue il tampone all\'ospite, che lo considera una specie di angelo custode. Il giovane medico ammette l\'impatto emotivo: «Dobbiamo assistere fino all\'ultimo chi non ha senso far morire in ospedale. Tenere una mano, una carezza o parlare dei figli e dei nipoti vuol dire tanto per chi se ne sta andando». All\'Itis i morti accertati per la pandemia sono solo quattro, ma quelli presunti molto di più.
Il presidente Pahor racconta che «una delle difficoltà più grandi in questa emergenza è stato reperire le protezioni individuali per operatori e ospiti. Le mascherine chirurgiche, le più banali, che pagavamo 4 centesimi adesso le vendono a 1 euro». L\'Itis è in attesa di un grosso carico di 40mila mascherine dalla Cina saldato in anticipo sperando che «non vengano fermate in qualche paese di transito», spiega Pahor. La struttura perde 160mila euro al mese e ha intaccato il patrimonio per sborsare 250mila euro solo per protezioni e prestazioni speciali dettate dall\'emergenza.
Da oltre un mese i parenti non possono visitare i familiari, ma ricevono informazioni quotidiane. Qualcuno protesta e chiede visite protette o contatti in videochiamata ma per ora è possibile solo mandare messaggi. Dean, un gioviale operatore, è l\'addetto alla consegna e mostra le foto stampate della nipotina riccioluta e della famiglia di un ospite mandate via posta elettronica. Il testo è scritto a caratteri cubitali: «Cara mamma ti mando queste foto con un grande abbraccio da tutti noi. Ti vogliamo tanto bene».
Tullio, ex medico di 97 anni, fa da «portavoce» degli anziani non contagiati ma isolati per la loro sicurezza, che si intravedono in attesa del pranzo. «Questo virus non è solo un nemico invisibile, ma subdolo - dichiara con sorprendete lucidità -. L\'isolamento è uno dei principi cardine della prevenzione. È dura per tutti, ma solo così sconfiggeremo il contagio».
[continua]

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05 febbraio 2015 | Porta a Porta | reportage
IN RICORDO DELLE FOIBE E L'ESODO LA PUNTATA DI PORTA A PORTA


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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.

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radio

27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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