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Reportage
21 aprile 2020 - Sito - Italia - Il giornale.it
Quella ricetta contro il virus: solo così si fermano i contagi
Fausto Biloslavo
CIVIDALE - “Mai avrei immaginato di trovarmi in questa emergenza. Il mio compito è di rendere innocuo il virus spruzzando vapore a 160 gradi” spiega il caporal maggiore degli alpini Antonino Bagnasco. Sul ponte del Diavolo di Cividale del Friuli, in tutta bianca, visiera e maschera di protezione scompare nella nuvola di vapore sollevata dalla sanificazione nel centro città. Il getto è provocato da una specie di “lanciafiamme” anti virus, che scava in ogni angolo di strada per debellare il contagio.
Il Friuli-Venezia Giulia si è mosso per primo nella lotta alla pandemia con misure draconiane, che sono servite a resistere alla pandemia. Il 21 aprile i contagiati sono 2792, i guariti 1036 ed i morti 241, il numero più basso nel Nord, dopo il Veneto, in rapporto agli infetti.  “Il 25 gennaio sono stata convocata, assieme ai miei colleghi delle altre regioni italiane, a Roma dal ministro Speranza. Il governo sapeva perfettamente che andavamo incontro a un’emergenza sanitaria, anche se non c’era ancora alcun contagio di italiani. Ho capito subito che sarebbe stata una “guerra”” rivela Gianna Zamaro, direttore centrale per la Salute del Friuli-Venezia Giulia.
Al fianco degli alpini del 3° reggimento artiglieria di montagna della brigata Julia, che stanno santificando le città friulane, sono schierati i volontari della protezione civile. Un giovane riccioluto con la paletta devia il traffico e un veterano con la tenuta gialla e blu aiuta gli alpini facendo scorrere il tubo del vapore collegato all’apparecchiatura che lo produce a bordo di un camion militare. Un mini esercito di 8mila civili mobilitato contro il virus anche per distribuire mascherine e farmaci alla popolazione.
Ingressi delle farmacie, supermercati, case di risposo e qualsiasi luogo di assembramento compresi i tavolini inutilizzati dei bar e le panchine vuote sono l’obiettivo delle squadre di “sanificatori” militari addestrati per intervenire in caso di attacco nucleare, batteriologico o chimico. “L’esperienza nelle missioni all’estero ci consente di far fronte a questa minaccia invisibile con efficienza e prontezza” ribadisce il colonnello Romeo Tomassetti. Il comandante del 3° reggimento alpini in mimetica, mascherina verde e armato di radio coordina le operazioni a Cividale. Nella cittadina friulana i volontari della protezione civile girano per le strade semi deserte con i megafoni invitando la popolazione a restare in casa. “Sono vietati gli spostamenti dalla residenza salvo che per motivi di lavoro, salute o necessità (…) Si raccomanda l’utilizzo di protezione a copertura di naso e bocca quando si esce dalla propria abitazione” sono i messaggi da coprifuoco. Alfonso Masotti, classe 1938, porta orgoglioso sul petto le ali con le stella in mezzo dei paracadutisti militari: “Ho fatto il servizio militare nella Folgore e adesso sono con la protezione civile a dare una mano”.
A Palmanova, il centro operativo regionale è soprannominato il “cubo” per la forma architettonica. All’ingresso i termo scanner registrano la temperatura a tutti. Nel “bunker” anti virus Riccardo Riccardi, vicegovernatore con la delega sulla Salute guida da due mesi la lotta al contagio in Friuli-Venezia Giulia collegato in videoconferenza con sindaci, prefetti ed ospedali. “Siamo stati colpiti dal virus una settimana dopo le altre regioni del Nord, ma se non chiudevamo subito le scuole insistendo sulle misure restrittive, anche in assenza di contagio, sarebbe stato un disastro” spiega Riccardi che viene sottoposto come lo staff a controlli continui per evitare l’infezione nel quartier generale.
“Adesso il punto più critico sono le case di riposo. La nostra è la seconda regione italiana in termini di anzianità” spiega il numero due del Friuli-Venezia Giulia. Soprattutto a Trieste una ventina di residenze per anziani sono contagiate e le più a rischio risultano quelle promiscue ricavate nei palazzi dove sono stati contagiati anche i condomini. Circa 150 anziani positivi potrebbero venire trasferiti su una nave trasformata in ospedale del gruppo Msc, come a Genova, oppure in alberghi da attrezzare per l’emergenza.
La fase 2 non è lontana, ma bisogna essere cauti: “Non possiamo permetterci una nuova ondata di contagio che ci travolgerebbe - sottolinea Riccardi - Dobbiamo tenere conto delle limitazioni agli stili di vita delle persone e rispondere alle esigenze delle imprese, ma facendo attenzione. Non è finita”.
Il colosso Fincantieri a Monfalcone ha riaperto i battenti con 700 addetti su 8mila, per ora. Prima del 4 maggio potrebbe ripartire l’export, anche se il 60% delle attività produttive non ha mai chiuso del tutto. E dovrebbero ottenere il via libera anche la filiera del mobile e dell’artigianato.
Dopo due mesi di emergenza “il grande problema di questo dramma è stato fin dall’inizio l’insufficienza di dispostivi di protezione per gli operatori in prima linea” racconta Riccardi. Il fabbisogno mensile di mascherine, guanti, tute, occhiali, visiere, camici, calzari, tamponi, sistemi di aspirazione è di oltre 14 milioni di pezzi. La Regione ha garantito l’83% delle acquisizioni. Il 10 aprile sono arrivate due milioni  smezzo di mascherine di produzione tedesca dopo salti ad ostacoli. “Ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori. Gente che spacciava disponibilità inesistenti, un grossista cinese che vendeva apparecchi di ventilazione (per le terapie intensive nda) cinque volte il prezzo di mercato. E russi arrivati con la valigetta piena di contanti per accaparrarsi forniture ordinate dal nostro governo”  denuncia Mauro Asaro direttore regionale del servizio tecnologie e investimenti. Sei ventilatori, che sono vitali per i pazienti più gravi, non sono mai arrivati ad Udine perché intercettati nei paesi vicini. Da Kiev sono state spedite mail con offerte di milioni di mascherine inesistenti o che si rivelavano di carta. I prezzi sono aumentai anche di dieci volte rispetto a prima dell’emergenza. I ventilatori cinesi offerti a 28mila dollari l’uno, in realtà costavano sul mercato dai 5mila ai 9mila dollari al massimo. Per non parlare delle richieste di pagamento anticipato o delle forniture giunte solo in parte. Nonostante l’emergenza la protezione civile sta riuscendo a rifornire di mascherine 526mila nuclei familiari del Friuli-Venezia Giulia.
Zamaro, responsabile centrale della Salute in Friuli-Venezia Giulia, ha convinto la figlia di 19 anni, ribelle alla chiusura in casa, a leggere il diario di Anna Frank “così capisce cos’è una guerra”. E sulla fine dell’incubo è convinta che “vedremo la luce in fondo al tunnel quando ci sarà un vaccino, che permetterà l’immunità di gregge”.
[continua]

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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