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Intervista
17 settembre 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
“Non nascondiamo i dati. Un quarto degli omicidi commessi dagli stranieri”
austo Biloslavo
Asher Colombo è sociologo delle migrazioni internazionali all\\\'università di Bologna, presidente dell\\\'Istituto Cattaneo e fa parte del comitato scientifico della fondazione Icsa, che si occupa di sicurezza, difesa e intelligence.
Cosa pensa dell\\\'omicidio di don Roberto Malgesini a Como?
«L\\\'omicidio di un sacerdote così impegnato nel sociale mi ha profondamente turbato. È stato ucciso da una persona per la quale aveva fatto solo del bene. Il grande tema che emerge è il contributo degli stranieri irregolari alla criminalità e reati gravi come l\\\'omicidio».
Non pensa che derubricare l\\\'omicidio compiuto dal tunisino irregolare ad un atto di follia e basta sia riduttivo?
«Il ruolo che hanno gli stranieri irregolari nei reati gravi si può evincere dai dati. Nonostante questo caso drammatico il totale degli omicidi compiuti anche dagli italiani è in forte calo (331 nel 2018 rispetto ai 627 del 2007). L\\\'Italia è il paese con uno dei tassi più bassi di omicidi al mondo. Agli inizi degli anni novanta la percentuale degli stranieri che si sono macchiati di questo reato era attorno all\\\'8%. Poi è cresciuta e dal 2007 al 2013 ha superato il 20% arrivando anche a punte del 30% per assestarsi al 25%. Vuole dire che fra 100 autori di omicidio identificati gli stranieri sono un quarto. Però la quota degli stranieri in Italia sulla popolazione è inferiore al 10%. Questo significa che la percentuale di stranieri che si sono macchiati di omicidio è superiore rispetto alla presenza totale in confronto alla popolazione. E più della metà degli omicidi perpetrati da stranieri sono compiuti da irregolari».
Gli irregolari sono soprattutto coinvolti nei reati minori come furto e spaccio?
«Degli stranieri coinvolti nella microcriminalità, il 70-80% sono irregolari. Questo significa che l\\\'argine più importante per i reati minori è l\\\'integrazione».
L\\\'omicida di Como aveva più ordini di espulsione sulla spalle. Come è possibile che in molti come lui rimangano ancora in Italia?
«È un problema strutturale che il nostro paese si porta dietro da molto tempo. Periodicamente l\\\'Italia accumula uno stock di irregolari, che dev\\\'essere sanato. Abbiamo regolarizzato dalla seconda metà degli anni settanta 2 milioni di stranieri. Ed espulso poco più di 300mila. Negli ultimi anni sul totale degli irregolari rintracciati vengono rimpatriati fra il 20 e 25%».
Perché espelliamo così pochi irregolari?
«Le difficoltà sono di natura burocratica legate all\\\'identificazione. E per identificarli è necessaria la collaborazione dei paesi di origine. Talvolta è difficile individuare il paese da dove arrivano realmente. Non hanno documenti e usano degli alias. E poi i rimpatri sono costosi. Per espellere una persona ci vogliono migliaia di euro. La Fondazione Moressa ha fatto un calcolo probabilmente sottostimato attorno ai 4-5mila euro».
Il caso del mancato espulso di Como è la punta dell\\\'iceberg. Come mai riusciamo a rimpatriare, se va bene, solo 80 tunisini a settimana?
«Pure gli accordi prevedono procedure di identificazione e trasferimento non indifferenti. Se per i tunisini stiamo parlando di 80 alla settimana figuriamoci per gli altri. Riusciamo ad espellere gli albanesi e abbiamo degli accordi con Nigeria, Costa D\\\'Avorio, anche Egitto e Marocco».
Quanti sono realmente gli irregolari in Italia?
«La stima più solida, che però risale ad un anno fa, è di mezzo milione di stranieri irregolari. Adesso vanno tolti un po\\\' più di 200mila dell\\\'ultima sanatoria».
E quali sono le nazionalità?
«Nell\\\'ultima sanatoria abbiamo registrato fra gli emersi un\\\'alta percentuale di persone che arriva dall\\\'Ucraina, il Bangladesh, ma anche dal Nord Africa, Sud America e Albania».

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12 maggio 2020 | Tg5 | reportage
L'infermiera sopravvissuta al virus
L’infermiera ha contratto il virus da un paziente anziano nell’ospedale Maggiore di Trieste A casa non riusciva più a respirare ed è stata trasportata d’urgenza in ospedale Il figlio, soldato della Nato, era rimasto bloccato sul fronte baltico dall’emergenza virus con l’appartamento pieno di medicine l’incubo del contagio non l’abbandonerà mai Due mesi dopo il contagio Svetlana è negativa al virus ma ancora debole e chiusa in casa

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04 luglio 2012 | Telefriuli | reportage
Conosciamoci
Giornalismo di guerra e altro.

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18 ottobre 2010 | La vita in diretta - Raiuno | reportage
L'Islam nelle carceri
Sono circa 10mila i detenuti musulmani nelle carceri italiane. Soprattutto marocchini, tunisini algerini, ma non manca qualche afghano o iracheno. Nella stragrande maggioranza delinquenti comuni che si aggrappano alla fede per sopravvivere dietro le sbarre. Ma il pericolo del radicalismo islamico è sempre in agguato. Circa 80 detenuti musulmani con reati di terrorismo sono stati concentrati in quattro carceri: Macomer, Asti, Benevento e Rossano. Queste immagini esclusive mostrano la preghiera verso la Mecca nella sezione di Alta sicurezza 2 del carcere sardo di Macomer. Dove sono isolati personaggi come il convertito francese Raphael Gendron arrestato a Bari nel 2008 e Adel Ben Mabrouk uno dei tre tunisini catturati in Afghanistan, internati a Guantanamo e mandati in Italia dalla Casa Bianca. “Ci insultano per provocare lo scontro dandoci dei fascisti, razzisti, servi degli americani. Una volta hanno esultato urlando Allah o Akbar, quando dei soldati italiani sono morti in un attentato in Afghanistan” denunciano gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere penale di Padova sono un centinaio i detenuti comuni musulmani che seguono le regole islamiche guidati dall’Imam fai da te Enhaji Abderrahman Fra i detenuti comuni non mancano storie drammatiche di guerra come quella di un giovane iracheno raccontata dall’educatrice del carcere Cinzia Sattin, che ha l’incubo di saltare in aria come la sua famiglia a causa di un attacco suicida. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione degli spazi per la preghiera e fornisce il vitto halal, secondo le regole musulmane. La fede nell’Islam serve a sopportare la detenzione. Molti condannano il terrorismo, ma c’è anche dell’altro....

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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