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30 ottobre 2020 - Sito - Italia - Il giornale.it
Trento, l’impunità degli squadristi rossi
Fausto Biloslavo
Violenza, intolleranza, insulti, cagnara in nome della negazione della libertà di parola, ma un anno dopo l’ateneo di Trento non è stato in grado neppure di tirare le orecchie a un solo studente, che la prima volta ha impedito e la seconda reso paradossale, in un clima di prevaricazione inaccettabile, una mia conferenza sulla Libia alla facoltà di Sociologia. L’università dell’ “impunità” ha spiegato che “per gli eventi che ci hanno coinvolto un anno fa, l\'ateneo non ha avuto bisogno di prendere provvedimenti. Visionati i filmati e raccolte le testimonianze di Rettore, Direttore Generale e Prof. Sciortino, è risultato che gli atti deprecabili non erano stati commessi da nostri studenti, ma da personaggi in parte già conosciuti dalla polizia”.
Peccato che non sia così, come ha confermato la corposa informativa della Digos inviata in procura, ma rimasta lettera morta. E gli stessi filmati in possesso del Giornale che pubblichiamo sul sito. Altri studenti, contrari al colpo di spugna, hanno facilmente riconosciuto diversi “colleghi” fra gli squadristi rossi che hanno reso paradossale la conferenza, dopo avermi impedito una prima volta di parlare, con un picchetto, qualche settimana prima. Il rettore, Paolo Collini, spiega che l’università aveva depositato una denuncia, ma la Digos non ha mai fornito l’elenco delle persone identificate. Alla fine deve ammettere “che non ci siamo prodigati quanto si poteva, non siamo stati abbastanza efficaci. Potrebbe essere stato giusto sospenderli, ma dopo pochi mesi siamo entrati nel lockdown e non li abbiamo individuati”.
Il 30 ottobre del 2019 gli squadristi rossi hanno inscenato un caos allucinante e violento, dentro la facoltà di Sociologia, battendo sulle porte per ore e rompendone una. Non solo: i facinorosi hanno cercato di entrare per non farmi parlare con la sicurezza all’università che faceva barriera fisica e tirato un ombrello che ha sfiorato la testa del rettore. Tutto documentato da filmati, che pubblichiamo sul sito del Giornale e che la Digos ha in quantità industriale. Su circa quaranta facinorosi giunti anche dai circoli anarchici e centri sociali esterni c’erano 10-15 studenti, alcuni fuori corso, compresi 4 o 5 di sociologia. Il Giornale ne ha facilmente individuato con nome e cognome 8 compreso un membro del Collettivo Universitario Refresh, laureato a Trento, che ha spintonato il rettore. Lo scorso anno erano quasi tutti regolarmente iscritti e avevano pure postato le loro foto su Facebook, ma l’università dell’ “impunità” non ha fatto nulla.
La presenza di studenti mi era stata confermata dallo stesso Giuseppe Scortino, docente storico del dipartimento di sociologia, che ne aveva subito individuati alcuni. L’addetta stampa dell’università ha riconosciuto una studentessa particolarmente esagitata. Adesso Sciortino getta acqua sul fuoco confermando “che gli studenti, almeno quelli di sociologia, erano un\'infima minoranza” e “che mi riferivo al gruppo fuori dal palazzo e nell’atrio (…), che fischiavano e facevano caciara verbalmente”. Nessuno “tra i violenti”, da punire con un minimo di provvedimento disciplinare, anche se i filmati dimostrano il contrario. Il rettore, oggi alla fine del suo mandato, dichiara al Giornale che “non mi sarebbe dispiaciuto sospenderli”, ma non è andata così.
Una settimana dopo gli sconcertanti fatti si era riunito il Senato accademico condannando “le azioni aggressive e violente che si sono registrate, in molteplici forme, in occasione della conferenza” e invitando gli studenti “alla massima vigilanza contro qualunque prepotenza volta a negare la libertà di parola”. La beffa è che non sia stata spesa neppure una parola per invitare l’università a prendere provvedimenti contro gli studenti del manipolo di squadristi rossi, che volevano tapparmi la bocca garantendone, di fatto, l’impunità.
Non tutti, però, erano d’accordo come aveva scritto un docente: “Mi sarei aspettato un capoverso sulle misure concrete che l’ateneo intende adottare per perseguire i responsabili delle violenze e dei danneggiamenti, e su quelle per evitarne il ripetersi. Altrimenti non ci si può, poi, lamentare delle ”strumentalizzazioni””. Negli stessi giorni il collettivo responsabile della violenta gazzarra e del picchetto che aveva impedito il primo appuntamento per la conferenza organizzata, tra l’altro, da un gruppo studentesco di centro sinistra, aveva nuovamente piazzato uno striscione all’entrata di Sociologia per annunciare un incontro non autorizzato nel dipartimento sul tema “fuori i fascisti dall’università”. Ovviamente dopo la “vittoria” che mi ha di fatto impedito di parlare serenamente della Libia.
Nessuno ha mai chiesto di sbattere in galera gli studenti facinorosi, ma neanche di insabbiare l’informativa della Digos sugli squadristi rossi esterni, vecchie conoscenze dell’estremismo di sinistra trentino. Per gli universitari bastava anche solo una tirata d’orecchi con il provvedimento disciplinare più blando, ma che avrebbe evitato di macchiare un grande ateneo con il marchio dell’ “impunità” per gli studenti violenti che negano la libertà di parola.
[continua]

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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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