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08 dicembre 2020 - Prima - Italia - Il Giornale
Troppi processi e i magistrati cancellano i clandestini
Fausto Biloslavo
Trieste «Il reato di clandestinità è totalmente inutile. Se lo cancellassero brinderei» è la frase choc di Antonio De Nicolo, il nuovo Procuratore capo della Repubblica di Trieste. Il capoluogo giuliano è il terminale della rotta balcanica e quest\\\'anno sono stati rintracciati in Friuli-Venezia Giulia 5.032 immigrati illegali. Per questo le parole di De Nicolo sono destinate a fare rumore e renderanno felici Ong e sinistra pro accoglienza. «Non ho ancora capito perché, se non per questioni di bandiera politica, non riusciamo a liberarci del reato di clandestinità» ha dichiarato il Procuratore capo durante un\\\'intervista a Tele4, emittente privata triestina, venerdì scorso. Una punzecchiatura, ma in realtà la risposta di De Nicolo pone un problema serio. «Già quando dirigevo la Procura di Udine - ha aggiunto - me ne rendevo conto, ma ora che sono a Trieste, dove il numero (dei migranti illegali, nda) è molto più elevato, ci troviamo subissati da queste denunce di clandestinità per un sacco di pakistani, afghani, siriani, che vengono portati a giudizio per un reato che prevede la sola pena pecuniaria. Anche quando la condanna verrà emessa non sarà mai eseguita perché non li troviamo più sul territorio». O in alternativa se «li trovassimo la condanna è platonica perché non verrebbe mai eseguita. Sono comunque persone non in grado di pagare i 5-6-7mila euro a cui vengono condannati». De Nicolo giura di «non avere mai visto eseguire una condanna. Lo Stato muove carte e basta».
L\\\'assessore regionale alla Sicurezza e immigrazione, il leghista Pierpaolo Roberti, non ci sta: «Se il tema è che non si riesce a fare rispettare la norma essendoci troppi clandestini il discorso diventa pericoloso. Anche il piccolo spaccio è punito con poco più di nulla, ma non vuol dire che bisogna arrendersi alla droga». E poi sottolinea che «il problema va risolto andando a vedere dove c\\\'è l\\\'impiccio, come si può migliorare la norma riuscendo ad applicare le pene. Il reato di clandestinità deve rimanere».
In tv il procuratore capo è andato giù duro: «È totalmente inutile. Intasa gli uffici e rende più difficile la lotta contro i trafficanti. Nel momento in cui abbiamo un clandestino disposto a dirci chi ha pagato e come l\\\'hanno fatto entrare non possiamo sentirlo in qualità di testimone essendo indagato del reato di clandestinità». Un bravo avvocato riuscirebbe facilmente a mettere i bastoni fra le ruote. Una fonte del Giornale in prima linea nel contratto alla rotta balcanica ammette «che vengono accumulati migliaia di fascicoli. La denuncia è obbligata, ma cozza con la domanda di asilo o protezione che i clandestini presentano subito. E adesso queste maglie sono state di nuovo allargate».
De Nicolo ha lanciato il sasso nello stagno. Per Francesco Russo, vicepresidente del Consiglio regionale del Pd, «gli operatori della sicurezza sottolineano da molti anni il problema. Non è quella attuale la modalità per essere efficienti nei confronti del fenomeno dell\\\'immigrazione, ma ancora non abbiamo trovata una risposta».
Paolo Melis, consigliere comunale grillino, non ha dubbi: «Sono d\\\'accordo con il procuratore capo, la previsione del reato non risolve il problema dell\\\'immigrazione clandestina e appesantisce l\\\'amministrazione della giustizia». Non la pensa così Walter Rizzetto deputato di FdI del Friuli-Venezia Giulia: «Soprattutto in questo momento di impennata degli arrivi via terra e via mare sarebbe un errore».
[continua]

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21 settembre 2012 | La Vita in Diretta | reportage
Islam in Italia e non solo. Preconcetti, paure e pericoli


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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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