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Articolo
13 gennaio 2021 - Copertina - Italia - Panorama |
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Vaccini indietro tutta |
Per arrivare all’immunità di gregge entro il 2021 con almeno il 70 per cento della popolazione vaccinata bisognerebbe somministrare ogni giorno, compresi i festivi, e tutto l’anno, almeno 151.098 dosi (altre stime parlano di 225 mila). Dal V-day del 27 dicembre alla mattina del 7 gennaio sono state iniettati 321.077 vaccini anti Covid. Se calcoliamo solo la prima settimana del nuovo anno la media giornaliera è di poco più di 45mila dosi. L’annuncio del super commissario Domenico Arcuri di 21,5 milioni di italiani vaccinati entro fine maggio (143mila al giorno) sembra una chimera. Per non parlare della lotteria dei vaccini non ancora approvati e delle consegne a singhiozzo o in ritardo dei primi due (Pfizer e Moderna). La «più grande campagna vaccinale della storia», come l’ha battezzata il governo, rischia di avanzare nella totale incertezza. «Appena partiti siamo già indietro. C’è un grosso punto di domanda su quando arriverà effettivamente il grosso delle dosi. E di fatto manca la road map, un piano preciso della vaccinazione di massa» spiega una fonte militare di Panorama coinvolta nell’operazione Eos per l’immunità di gregge. La spada di Damocle sono i ritardi nelle autorizzazioni e sperimentazioni di alcuni vaccini, che costituiscono l’ossatura delle forniture italiane con 134 milioni di dosi su un totale di 202. La Difesa, anche se non lo ammette ufficialmente, è preoccupata delle gestione della madre di tutte le battaglie contro il virus di Arcuri, che ha annunciato: «Se immunizzeremo meno di 65 mila persone al giorno sarà un fallimento».
PARTENZA INCERTA (ho tagliato il primo capoverso) Il piano italiano di vaccinazione è «un aereo fatto di cartone, che non riesce a decollare» denuncia Antonio De Palma, presidente del Sindacato nazionale infermieri Nursing Up. All’esordio le Regioni sono partite al rallentatore e in ordine sparso. Alla scadenza della prima settimana il Veneto era oltre l’86% di somministrazioni rispetto alle dosi consegnate, la Toscana quasi all’80%, la Lombardia al palo con il 21,5% e fanalino di coda la Sardegna con il 18,5%. (ho tagliato un capoverso) Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, ha dichiarato: «Griderò allo scandalo se il 6 gennaio le 469.950 dosi della prima settimana non saranno state usate tutte». Alla mattina del 7 gennaio le dosi utilizzate erano 321.077, ben 148.873 in meno. E stava arrivando il secondo lotto settimanale di 470 mila vaccini della Pfizer-BioNtech. In realtà sono state consegnate meno della metà. Nonostante le assicurazioni della società il timore è che Pfizer stia dirottando forniture su paesi extra europei che pagano di più. (ho tagliato un capoverso) La partenza al rallentatore dei primi giorni è migliorata un po’ portandoci al secondo posto in Europa per somministrazione. L’incertezza, però, rimane e si concentra sui ritardi nelle sperimentazioni e autorizzazioni dei vaccini ordinati dalla Commissione europea per l’Italia. Secondo il «piano strategico» del governo del 12 dicembre, AstraZeneca dovrebbe consegnare da gennaio, nei primi sei mesi, 40,38 milioni di dosi. Il vaccino, però, è ancora in fase di approvazione da parte dell’Ema, l’ente europeo del farmaco. Si spera nel via libera a fine mese. Piero Di Lorenzo, amministratore delegato della società Irbm di Pomezia, che partecipa al progetto, assicura a Panorama: «Per ora il ritardo nell’autorizzazione non inficia la produzione di tre miliardi di dosi annunciate da AstraZeneca per il 2021». E aggiunge: «Ho promesso al ministro della Sanità che siamo disponibili a produrre a Pomezia, nonostante il nostro sia un centro di ricerca, 10 milioni di dosi in più». Il problema è che anche gli altri pezzi forti nelle forniture sono in ritardo: Johnson & Johnson, che dovrebbe fornire 53,8 milioni di fiale, ha concluso i test clinici di fase tre solo il 2 gennaio e adesso seguirà l’iter dell’approvazione. La Sanofi ha già annunciato lo slittamento del vaccino (40,38 milioni per l’Italia) al 2022. E non si hanno notizie certe di quello Curevac (30,28 milioni di dosi), che doveva venire consegnato dal primo trimestre. Nella lotteria dei vaccini l’approvazione ottenuta da Moderna il 6 gennaio servirà a poco. Per il primo trimestre le forniture previste sono di 1.3 milioni di dosi rispetto ai 16,1 milioni di AstraZeneca, che il 7 gennaio non aveva ancora la luce verde. L’Ue ha prenotato oltre un miliardo di dosi da sei diverse case farmaceutiche, ma al via del piano vaccinale poteva contare solo su 300 milioni di fiale garantite dalla Pfizer. Ugur Sahin, a capo della consociata BioNTech, ha lanciato l’allarme: «Si è creato un gap perché non sono stati approvati altri prodotti e noi dobbiamo coprire il buco con i nostri». Bruxelles è corsa ai ripari con nuovi ordini, ma nonostante l’impegno formale dei 27 Paesi Ue a non acquistare vaccini in maniera autonoma, la Germania ha comprato 30 milioni di dosi dalla Pfizer al di fuori delle quote assegnate dalla Commissione europea. «La scienza ha prodotto un miracolo che nessuno poteva immaginare: un vaccino sicuro ed efficace in 11 mesi. Non si può neppure immaginare che questo sforzo venga vanificato da ritardi organizzativi. Aspettiamo ancora a giudicare, ma nessun ritardo può essere tollerato, ogni giorno che passa significa gente che muore» dice a Panorama il virologo Roberto Burioni.
UNA SPERANZA REMOTA Nella prima fase partita a gennaio devono essere immunizzati gli operatori sanitari, il personale e gli ospiti delle Rsa. Il commissario Arcuri ha spiegato che «a febbraio partiremo con chi ha più di 80 anni, oltre 4 milioni. Poi saranno vaccinati gli anziani dai 60 agli 80 (13.423.005, ndr), forze dell’ordine, insegnanti e personale scolastico». Entro fine marzo 5,9 milioni di italiani dovrebbero essere immunizzati salendo a 13,7 a fine aprile. Quando ci saranno 120 milioni di dosi «sarà avviata la campagna di massa» dice Arcuri «che speriamo di concludere in autunno». Speranza remota se andiamo avanti così. All’inizio di gennaio Israele aveva già vaccinato 1.244.000 persone e in percentuale alla popolazione siamo stati surclassati pure da Bahrein, Emirati arabi e Islanda. Per ora i punti di somministrazione sono 300 rispetto ai 1.500, uno ogni 40 mila abitanti, che serviranno a pieno regime, e Arcuri già scarica le responsabilità sulle Regioni. Il governatore della Liguria Giovanni Toti non ci sta e denuncia i «pasticci sulle siringhe. Ci hanno mandato quelle sbagliate e stiamo usando le nostre. Non si sa quanto personale hanno arruolato e il sistema informatico per il censimento dei vaccinati lo stanno studiando ora». Altre siringhe sbagliate sono state inviate in Lombardia e nelle Marche. (ho tagliato un capoverso) Per le fasi due e tre della vaccinazione di massa il vicepresidente del Friuli-Venezia Giulia con delega alla Salute, Riccardo Riccardi, sottolinea le incognite: «La domanda è quanti accetteranno di farlo e quante dosi saranno realmente a disposizione. E come verrà convocata la popolazione. Per non parlare del personale addetto alla somministrazione, che dovrebbe arrivare. Per ora usiamo il nostro distraendolo dagli ospedali, il vero fronte contro il virus». Un concorso per 15 mila medici, infermieri e specializzandi, da impiegare nella campagna vaccinale, è stato bandito due settimane prima del V-day. In 22 mila hanno risposto e Arcuri garantisce che i primi 1500 assunti con contratto precario saranno operativi il 20 gennaio.
NO ALLA PROTEZIONE CIVILE «Arcuri ha tagliato fuori la Protezione civile, che è fatta apposta per emergenze come la pandemia» conferma un militare impegnato nel piano Eos della Difesa in appoggio alla campagna di vaccinazione. Il super commissario è riuscito a relegare in un angolo Angelo Borrelli, capo della Protezione civile dal 2017, che all’inizio della pandemia sciorinava in televisione le cifre quotidiane delle vittime del virus. «Faceva ombra ad Arcuri ed è stato messo da parte, ma la Protezione civile dovrà essere coinvolta nella fase di vaccinazione di massa a cominciare dal livello logistico in collaborazione con l’esercito» sottolinea la fonte di Panorama. La Difesa ha scelto come hub nazionale, per la distribuzione di vaccini, la base aerea di Pratica di mare. «È un grande spot: gli aerei della Dhl con le dosi sono atterrati a Roma-Ciampino e distribuiti via terra dai furgoni della Pfizer che garantiscono la catena del freddo» fa notare la fonte militare. Il grosso delle forniture iniziali sta arrivando via terra dallo stabilimento Pfizer in Belgio. «Oltre al fatto che non ci occupiamo del mantenimento dei vaccini ultrafreddi - continua - facendoli passare tutti per Roma, si allunga la catena logistica». Non a caso il 27 dicembre, il V-day, è stata organizzata una dispendiosa sceneggiata mediatica. Il giorno prima era arrivato il primo furgone della Pfizer dal Brennero scortato fino alla capitale. Lo smistamento di poche scatole con le dosi (sei per volo con 7.200 fiale in totale) è stato organizzato con ben cinque aerei (due C-27J dell’Aeronautica, due Dornier Do. 228 dell’Esercito e un P-180 della Marina). Il C-27J può trasportare 11 tonnellate e mezza di materiale e costa 11 mila euro l’ora. Per gli altri velivoli più piccoli utilizzati, da parte della marina e dell’esercito, la spesa si aggira sui 5 mila euro all’ora. Se calcoliamo personale e manutenzione, il grande spot è costato mezzo milione di euro. Peccato che subito dopo abbiamo dovuto fare i conti con la realtà delle somministrazioni a rilento e delle mancate consegne dei vaccini ancora non autorizzati.
TRA NO-VAX E TERZA ONDATA Il dato più incerto della campagna vaccinale è quanti italiani accetteranno di iniettarsi la dose per l’immunità. Diversi sondaggi delle ultime settimane indicano che fra il 25 e il 35 per cento della popolazione non si fida ancora del vaccino. Swg rivela come il 34 per cento sia contrario a immunizzarsi, anche se il 21 per cento alla fine lo farebbe se fosse obbligatorio. In Friuli-Venezia Giulia, sulle 56 mila persone previste nella fase iniziale della vaccinazione, 15 mila non hanno aderito nell’arco della prima settimana. La concentrazione dei no-vax risulta maggiore fra i giovani e fra gli elettori del movimento grillino. «Negli spogliatoi scoppiano vere e proprie baruffe fra infermieri su chi si vaccina e chi lo considera insicuro e non vuole farlo» racconta un medico di un grande ospedale del Nord Est. Situazione preoccupante, che non sembra tener conto del pericolo di una terza ondata considerata ormai certa da virologi come Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano. Se, o meglio quando arriverà, la nuova mazzata del virus rischia di essere un ulteriore ostacolo alla vaccinazione di massa. n © riproduzione riservata |
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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.
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14 maggio 2020 | Tg5 | reportage
Trieste, Lampedusa del Nord Est
Fausto Biloslavo
TRIESTE - Il gruppetto è seduto sul bordo della strada asfaltata. Tutti maschi dai vent’anni in su, laceri, sporchi e inzuppati di pioggia sembrano sfiniti, ma chiedono subito “dov’è Trieste?”. Un chilometro più indietro passa il confine con la Slovenia. I migranti illegali sono appena arrivati, dopo giorni di marcia lungo la rotta balcanica. Non sembra il Carso triestino, ma la Bosnia nord occidentale da dove partono per arrivare a piedi in Italia. Scarpe di ginnastica, tute e qualche piumino non hanno neanche uno zainetto. Il più giovane è il capetto della decina di afghani, che abbiamo intercettato prima della polizia. Uno indossa una divisa mimetica probabilmente bosniaca, un altro ha un barbone e sguardo da talebano e la principale preoccupazione è “di non venire deportati” ovvero rimandati indietro. Non sanno che la Slovenia, causa virus, ha sospeso i respingimenti dall’Italia. Di nuovo in marcia i migranti tirano un sospiro di sollievo quando vedono un cartello stradale che indica Trieste. Il capetto alza la mano in segno di vittoria urlando da dove viene: “Afghanistan, Baghlan”, una provincia a nord di Kabul.
Il 12 maggio sono arrivati in 160 in poche ore, in gran parte afghani e pachistani, il picco giornaliero dall’inizio dell’anno. La riapertura della rotta balcanica sul fronte del Nord Est è iniziata a fine aprile, in vista della fase 2 dell’emergenza virus. A Trieste sono stati rintracciati una media di 40 migranti al giorno. In Bosnia sarebbero in 7500 pronti a partire verso l’Italia.
Il gruppetto di afghani viene preso in carico dai militari del reggimento Piemonte Cavalleria schierato sul confine con un centinaio di uomini per l’emergenza virus. Più avanti sullo stradone di ingresso in città, da dove si vede il capoluogo giuliano, la polizia sta intercettando altri migranti. Le volanti con il lampeggiante acceso “scortano” la colonna che si sta ingrossando con decine di giovani stanchi e affamati. Grazie ad un altoparlante viene spiegato in inglese di stare calmi e dirigersi verso il punto di raccolta sul ciglio della strada in attesa degli autobus per portarli via. Gli agenti con le mascherine controllano per prima cosa con i termometri a distanza la temperatura dei clandestini. Poi li perquisiscono uno ad uno e alla fine distribuiscono le mascherine ai migranti. Alla fine li fanno salire sugli autobus dell’azienda comunale dei trasporti cercando di non riempirli troppo per evitare focolai di contagio. “No virus, no virus” sostiene Rahibullah Sadiqi alzando i pollici verso l’alto in segno di vittoria. L’afghano è partito un anno fa dal suo paese e ha camminato per “dodici giorni dalla Bosnia, attraverso la Croazia e la Slovenia fino all’Italia”. Seduto per terra si è levato le scarpe e mostra i piedi doloranti. “I croati mi hanno rimandato indietro nove volte, ma adesso non c’era polizia e siamo passati tutti” spiega sorridendo dopo aver concluso “il gioco”, come i clandestini chiamano l’ultimo tratto della rotta balcanica.
“Abbiamo registrato un crollo degli arrivi in marzo e per gran parte di aprile. Poi un’impennata alla fine dello scorso mese fino a metà maggio. L’impressione è che per i paesi della rotta balcanica nello stesso periodo sia avvenuta la fine del lockdown migratorio. In pratica hanno aperto i rubinetti per scaricare il peso dei flussi sull’Italia e sul Friuli-Venezia Giulia in particolare creando una situazione ingestibile anche dal punto di vista sanitario. E’ inaccettabile” spiega l'assessore regionale alla Sicurezza Pierpaolo Roberti, che punta il dito contro la Slovenia.
Lorenzo Tamaro, responsabile provinciale del Sindacato autonomo di polizia, denuncia “la carenza d’organico davanti all’emergenza dell’arrivo in massa di immigrati clandestini. Rinnoviamo l’appello per l’invio di uomini in rinforzo alla Polizia di frontiera”.
In aprile circa il 30% dei migranti che stazionavano in Serbia è entrato in Bosnia grazie alla crisi pandemica, che ha distolto uomini ed energie dal controllo dei confini. Nella Bosnia occidentale non ci sono più i campi di raccolta, ma i migranti bivaccano nei boschi e passano più facilmente in Croazia dove la polizia ha dovuto gestire l’emergenza virus e pure un terremoto.
Sul Carso anche l’esercito impegnato nell’operazione Strade sicure fa il possibile per tamponare l’arrivo dei migranti intercettai pure con i droni. A Fernetti sul valico con la Slovenia hanno montato un grosso tendone mimetico dove vengono portati i nuovi arrivati per i controlli sanitari. Il personale del 118 entra con le protezioni anti virus proprio per controllare che nessuno mostri i sintomi, come febbre e tosse, di un possibile contagio. Il Sap è preoccupato per l’emergenza sanitaria: “Non abbiamo strutture idonee ad accogliere un numero così elevato di persone. Servono più ambienti per poter isolare “casi sospetti” e non mettere a rischio contagio gli operatori di Polizia. Non siamo nemmeno adeguatamente muniti di mezzi per il trasporto dei migranti con le separazioni previste dall’emergenza virus”.
Gli agenti impegnati sul terreno non sono autorizzati a parlare, ma a denti stretti ammettono: “Se va avanti così, in vista della bella stagione, la rotta balcanica rischia di esplodere. Saremo travolti dai migranti”. E Trieste potrebbe trasformarsi nella Lampedusa del Nord Est.
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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
Foibe, conflitto sulla storia
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento |
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo
I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti.
“Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale.
I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa.
In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo.
“In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani.
Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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