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23 giugno 2021 - Copertina - Italia - Panorama
I segreti dei servizi segreti
Alle 7.20 del 14 giugno i primi 82 afghani sono atterrati in Italia con un volo militare. Interpreti al fianco dei soldati italiani da anni e loro stretti familiari che rischiano la rappresaglia talebana dopo il ritiro delle nostre truppe. L’operazione Aquila prevede di portare in salvo fra i 400 e 500 afghani, tutti sottoposti a “vetting”, il vaglio dei servizi segreti per evitare di portarci in patria serpi in seno. Un interprete è stato bloccato da un “rapporto negativo” e tempo fa l’intelligence, con l’aiuto americano, aveva scoperto un altro traduttore che faceva il doppio gioco informando i pachistani. Poi è arrivato in Italia come clandestino.
Il “vetting” in Afghanistan è solo un piccolo tassello del lavoro dei servizi segreti, che stanno vivendo grandi cambiamenti, soprattutto ai vertici. Panorama grazie a fonti interne ed esperti ha alzato il velo sui segreti, le luci e le ombre della nostra intelligence.
IL POKER D’ASSI DELL’INTELLIGENCE
“Per i servizi è un momento felice - conferma un addetto ai lavori - Nella partita dell’intelligence abbiamo in mano un poker d’assi”. Il riferimento è al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega alla sicurezza nazionale, Franco Gabrielli, al nuovo capo del Dis, Elisabetta Belloni e ai direttori delle agenzie esterna (Aise) e interna (Aisi). “Il primo aspetto importante è la nomina dell’autorità delegata da parte del presidente del Consiglio, che ha scelto Gabrielli, ex capo della polizia. I governi Gentiloni, Conte 1 e 2 non l’avevano fatto. Anche la scelta di Belloni al Dis, la prima donna, allude a un profondo cambiamento. I servizi hanno agilità informativa, ma sono come una grande portaerei. Per virare ci vuole tempo” spiega a Panorama, Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, dal 3 giugno presidente della Fondazione Med-Or del gruppo Leonardo.
Gabrielli è stato direttore per due volte del servizio segreto interno. “Un uomo di sistema, ma sempre favorito dal Pd” fa notare una fonte militare di Panorama. Un’amicizia di vecchia data lo lega ad Enrico Letta, segretario del Partito democratico.
Gabrielli è comunque un super tecnico chiamato per primo da Mario Draghi appena insediato a Palazzo Chigi.
L’obiettivo è rimettere ordine e premiare le capacità super partes. Panorama ha scoperto che esiste pure un progetto che viene da lontano e potrebbe trovare terreno fertile con Gabrielli: l’unificazione delle agenzie, un super servizio, per potenziare le capacità e utilizzare al meglio le risorse.  
La prima mossa di peso del nuovo corso è stata la nomina di Elisabetta Belloni a capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, organismo di coordinamento di Aisi e Aise. Segretaria generale della Farnesina si è diplomata come Draghi all’istituto dei gesuiti Massimiliano Massimo a Roma. “E’ una donna con le palle. Va rimessa in piedi una struttura a pezzi dopo il governo Conte” spiega chi ha a che fare con questi gangli dello Stato. Bionda e donna di mondo ha fatto carriera alla “Casa”, come viene soprannominata la Farnesina. Non è stata solo un ambasciatore, ma ha guidato l’Unità di crisi e la Cooperazione internazionale per poi arrivare alla poltrona interna più importante, segretario generale. Ex capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, quando era ministro degli Esteri, è benvoluta in maniera trasversale. Il suo lume tutelare è il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Nel 2017 proprio per iniziativa del presidente della Repubblica l’ambasciatrice è stata insignita della seconda onorificenza più alta del paese, cavaliere di Gran Croce.
“La sfida cruciale dell’intelligence è appropriarsi di nuovi equilibri nel settore della diplomazia parallela rispetto a quella tradizionale, che scricchiola. La nomina della Belloni è funzionale a questo disegno” spiega l’ex generale Leonardo Tricarico, presidente della fondazione Icsa.
Belloni sostituisce Gennaro Vecchione mandato a casa sei mesi prima della scadenza. Per farlo guidare il Dis il generale della Finanza era stato nominato prefetto, altrimenti avrebbe dovuto, con meno stelle, coordinare il generale Luciano Carta allora a capo dell’Aise poi rimosso non essendo in linea con i grillini filo cinesi. Fedelissimo di Conte “era stato soprannominato ministro dei rapporti con il Parlamento per le pressioni che puntavano a fare stare a galla il premier” racconta una fonte di Panorama. Vecchione non ha pagato solo la sua vicinanza a Conte, ma anche gli strascichi del Russiagate. Nel 2019 incontrò il ministro della Giustizia Usa, William Barr, sull’intricato caso Mifsud, docente dell’università Link campus, fucina di esponenti grillini come l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Mifsud, sparito nel nulla, aveva fatto credere di avere mail segrete acquisite dai russi che potevano mettere in difficoltà la candidata democratica alla presidenza, Hillary Clinton.
Anche il trappolone, forse non solo mediatico, del video dell’incontro all’autogrill fra una vecchia e discussa gloria dei servizi come Marco Mancini e Matteo Renzi, che tramava di abbattere Conte, non ha aiutato Vecchione. Mancini era uno dei suo sottoposti al Dis.
Al contrario, gli altri due assi dell’intelligence di Draghi sono stati ereditati dal governo precedente. Il generale Giovanni Caravelli è stato nominato nel maggio dello scorso anno direttore dell’Aise. Dal 2014 era il numero due dell’agenzia per la sicurezza esterna. Fra i migliori  del corso in accademia “Esempio” si è fatto le ossa sia sul terreno in Iraq e Afghanistan che nel Sigint, intelligence elettronica al comando della brigata Informazioni, Ricognizione e Guerra Elettronica dell’esercito ad Anzio. “Fra i militari è il più preparato. Grande conoscitore del dossier libico è l’interlocutore di diversi capi di Stato africani” rivela una fonte di Panorama. L’ultimo asso è Mario Parente al vertice dell’Aisi da oltre cinque anni, che veniva dato in uscita, ma è stato prorogato il 12 maggio dal governo Draghi.
IL CYBER ZAR
Al poker d’assi dell’intelligence si aggiungerà a breve il nuovo “cyber zar”, il responsabile della neonata Agenzia per la sicurezza cibernetica nazionale, che Conte voleva mezza privata. Una super squadra di 300-350 unità con un budget in crescita dai 41 milioni di euro del 2022 ai 122 per il 2027.  Il papabile al comando è Roberto Baldoni, professore universitario dell’università Sapienza di Roma, numero due del Dis con delega per il mondo cyber. Gabrielli ha ammesso che \"per mancanza di consapevolezza dei rischi, per un deficit di cultura su questi temi siamo molto in ritardo e dobbiamo camminare a passi svelti”. Vittorio Colao, ministro per l\'Innovazione tecnologica, ha lanciato l’allarme: \"Abbiamo il 93-95% dei server della Pubblica amministrazione non in condizioni di sicurezza”.
Il 10 giugno è stato approvato il decreto legge che fa nascere l’Agenzia per la cyber sicurezza nazionale, che “opererà sotto la responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri” e di Gabrielli “in stretto raccordo con il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”.
Minniti osserva che “Baldoni viene dall’università, dove nel 2013 abbiamo presentato agli studenti i servizi segreti chiedendo agli interessati di inviare i curriculum al Dis. Oggi un’intelligence  moderna deve tenere insieme l’esperienza, l’idea di patria attraverso forze armate e polizia e l’innovazione dei giovani. E in questo momento i vertici sono un giusto mix”.
LE OMBRE SUI SERVIZI
Marco Mancini è diventato il capro espiatorio del “vecchio stile” dei servizi. Lo 007 emiliano iniziò con il generale Dalla Chiesa nell’antiterrorismo e poi al Sismi, i servizi per l’estero, dove entrò nel 1988 da maresciallo dei carabinieri. Con otto diversi governi è stato coinvolto in tante operazioni delicate, come il sequestro di Abu Omar, finendo pure in carcere, ma uscendone sempre incensurato, anche grazie al segreto di Stato. “Era a capo di una lobby interna, ma non certo l’unica. La lotta fra fazioni nei servizi per motivi politici e di carriera ci sono state, ci sono e ci saranno anche in futuro” spiega una fonte interna di Panorama. “Mancini è uno capace, ma ha pestato i piedi a tanta gente - aggiunge - La storia all’incontro con Renzi è la classica buccia di banana che ha messo la parola fine alla sua epoca”.  Il 23 dicembre un video lo riprende con l’ex premier in un autogrill, quando il fondatore di Italia viva affilava i coltelli per far fuori Conte. Mesi dopo Report lo manda in onda sollevando una tempesta mediatica e politica. “Se in Parlamento chiedessero chi ha incontrato Mancini pochi non alzerebbero la mano” sottolinea con ironia la fonte di Panorama. Paolo Quercia, che insegna “Sistemi di intelligence” all’università di Perugia, sottolinea che “il caso Mancini  ha messo in evidenza la delicata questione del rapporto tra il mondo della politica ed i dirigenti delle agenzie. È un rapporto indispensabile, ma da regolare con attenzione”.
Lo 007 di lungo corso ha un incarico delicato di controllo delle spese dei servizi segreti al Dis. Il 2 giugno, con la nuova linea Gabrielli-Belloni, gli è stato imposto il prepensionamento a luglio.
Tricarico sostiene  che “una delle anomalie del sistema dei servizi è sempre stata quella di lasciare vivere le incrostazioni delle gestioni governative precedenti. Un brutto difetto che sembra sulla via del tramonto”.
LA SECONDA LINEA DEL GOVERNO CONTE
In realtà una parte della seconda linea è stata nominata dopo mesi di attesa da Conte in zona Cesarini il 21 gennaio, poco prima di cadere, ma se non significa che sia necessariamente legata ai grillini. L’ammiraglio Carlo Massagli è passato da consigliere militare a Palazzo Chigi con Gentiloni, Conte 1 e 2 a vicedirettore dell’Aise. L’altro vicedirettore nominato dal precedente governo è il generale della Guardia di Finanza Luigi Della Volpe, che potrebbe interessare a Draghi per avere seguito l’intelligence economica-finanziaria. Al servizio interno Conte ha scelto come vicedirettore il generale dei carabinieri Carlo De Donno, che viene dalla struttura.
Il nuovo corso dei servizi ha spostato anche altre caselle non sempre nella direzione giusta. Al posto di Elisabetta Belloni alla Farnesina è stato nominato segretario generale Ettore Sequi, il diplomatico più “cinesizzato” d’Italia, ex ambasciatore a Pechino, che ha aperto la Via della seta fin dai tempi del governo Gentiloni. Sequi era capo di gabinetto del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e la sua nomina ha sollevato malumori fra le feluche.
L’INTELLIGENCE ECONOMICA
Il premier Draghi vuole puntare sull’intelligence economica, che fino ad oggi è rimasta in secondo piano. “E’ cruciale. Alcuni paesi hanno agenzie ad hoc - spiega Minniti - Dobbiamo avere la capacità di leggere i movimenti dell’economia secondo il nostro interesse nazionale”. Tricarico è convinto che Draghi dovrebbe prendere in mano pure l’esportazione di armi, una fetta dell’economia, con l’aiuto dell’intelligence. “Adesso se ne occupa la Farnesina, che sta dando il peggio del peggio” spiega l’ex generale dell’Aeronautica. “Il futuro dell’intelligence è economica, finanziaria, industriale e biologica. Sono tutti settori ove occorre investire massicciamente - spiega Quercia - Basta pensare al confronto con la Cina, alle acquisizioni ostili, al contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo, alle sanzioni internazionali, ai traffici di esseri umani”. Per Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, \"la nascita dell’agenzia per la cyber sicurezza è collegata all’intelligence economica. Pensiamo ai danni che possono fare attacchi hacker a grandi aziende. Però dobbiamo essere in grado di rispondere con strumenti cibernetici offensivi, anche a scopo di deterrenza”.
SCENARI E SFIDE
Gli scenari e le sfide dei servizi sono anche alle porte di casa, nei Balcani, dove “la stabilità è un primario interesse nazionale - fa notare una fonte militare - Un corto circuito non si può escludere grazie alla longa manus russa e alle infiltrazioni turche e cinesi”. In Libia i servizi osservano con attenzione le mosse di Seif el Islam, il figlio erede del colonnello Gheddafi, che punta a scendere in campo per le presidenziali di dicembre. Sul fronte immigrazione l’intelligence ha collaborato alle allarmanti previsioni sugli sbarchi estivi. Una stima, per difetto, parla di 65mila migranti in arrivo quest’anno, quasi metà dalla Libia, altri 20 mila dal Mediterraneo orientale, 15mila dalla Tunisia e 2mila dall’Algeria. “La Cina è più penetrante e aggressiva che mai nello spionaggio industriale e nelle acquisizioni in Europa - avverte  una fonte dell’intelligence - E mentre stiamo ancora discutendo sul 5G sì o no, i cinesi già studiano il 7G”.
Il controspionaggio ha portato platealmente alla luce un’operazione del Gru, l’aggressivo servizio militare russo, a Roma, arrestando il capitano di fregata Walter Biot che vendeva segreti Nato. “E’ servito anche a dare un messaggio a tanti ufficiali che talvolta vanno a cena con russi e cinesi e pure se ne vantano” rivela la fonte di Panorama.
E dobbiamo guardarci le spalle non solo dai nemici. Un vecchio adagio dell’intelligence recita: “Non c’è nessun paese amico alleato per sempre e nessun paese alleato amico per sempre”. Minniti sottolinea che “siamo immersi in un mondo apolare, senza una reale guida. In una situazione globale del genere i servizi segreti possono fare la differenza. Chi ha capacità di influenza conta di più. Chi ha maggiori informazioni e in tempo reale conta di più”.
Fausto Biloslavo


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16 febbraio 2007 | Otto e Mezzo | reportage
Foibe, conflitto sulla storia
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26 agosto 2023 | Tgcom24 | reportage
Emergenza migranti
Idee chiare sulla crisi dagli sbarchi alla rotta balcanica.

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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