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Esclusivo
28 luglio 2021 - Esteri - Afghanistan - Panorama
Il dramma dei traduttori afghani traditi dall’Occidente
Fausto Biloslavo
“Il boato dell’esplosione è stato fortissimo. I bambini, il più piccolo ha soli 10 mesi, sono scoppiati a piangere. Mia moglie era nel panico. Cento metri più in là i talebani hanno fatto esplodere la prima bomba. Siamo scappati, ma un minuto dopo è saltata in aria la seconda nascosta in una bicicletta” racconta a Panorama Mohammad Ali Safdari, uno degli interpreti dei soldati italiani rimasto indietro in attesa di evacuazione in Italia. Il 20 luglio nel distretto di Jebreel, alla periferia di Herat, da dove ci siamo ritirati a fine giugno, i talebani che avanzano hanno voluto dare un segnale: “Assieme alle famiglie di altri due interpreti facevamo la spesa per la festa del Sacrificio. L’obiettivo era terrorizzare la gente comune”.
Safdari è il “portavoce” di 58 afghani, di varie province, da Herat a Kabul, che sono stati al fianco del nostro contingente come traduttori, nei 20 anni di missione nel paese al crocevia dell’Asia. Una punta dell’iceberg: 228 con le loro famiglie sono già stati portati in salvo in Italia, anche se non tutti accolti come meritano, altri 390 afghani dovrebbero venire evacuati fra agosto e settembre, ma ci sono ulteriori 300 richieste di protezione giunte all’ambasciata a Kabul.
Una grande fuga dei collaboratori degli occidentali che coinvolge tutti i paesi della Nato della lunga missione afghana e rischia di sfiorare numeri da disfatta del Vietnam. Gli americani hanno ricevuto 18mila domande di protezione, ma l’evacuazione, fra nuove richieste e familiari, potrebbe riguardare 70.0000 afghani.
I talebani circondano 16 capoluoghi di provincia su 34 ed il 20 luglio l’Isis ha rivendicato il lancio di razzi sul palazzo presidenziale a Kabul. Dall’inizio del ritiro occidentale gli insorti che controllavano 73 distretti ne hanno conquistati 221, oltre la metà del paese. E in altri 170 combattono insidiando tre quarti dell’Afghanistan. Grandi città come Herat, nostro quartier generale per anni, sono a rischio caduta. “Ogni notte sentiamo i razzi Rpg, i colpi di mortaio e le raffiche. I talebani sono a 7 chilometri dalla città. Se arrivano mi tagliano la gola” spiega Safdari, che era spalla a spalla con il nostro contingente per 7 anni ed è stato ferito a base Tobruk. Gli interpreti rimasti fuori dalla prima fase dell’operazione Aquila non sanno nulla del loro destino. Per questo hanno preparato accorati video appelli (che pubblichiamo sul sito) e una lettera indirizzata al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, dell’Interno e degli Esteri oltre ai membri di tutti i partiti nelle Commissioni Difesa del Parlamento. Si firmano “un gruppo di traduttori ingiustamente dimenticati e lasciati indietro”. E sono andati a manifestare con la bandiera italiana davanti a Camp Arena, la nostra base ad Herat, consegnata all’esercito afghano. I talebani “bollano gli interpreti come infedeli” - scrivono nella richiesta di aiuto - “sostengono che siamo complici (della Nato nda) e per questo dobbiamo essere decapitati”. All’Italia chiedono “un rifugio per noi ed i nostri figli innocenti. Non siamo immigrati, ma richiedenti asilo nel vero senso della parola”.
A. H, un altro ex interprete, è fuggito il 19 luglio da Kandahar, la “capitale” del sud attaccata dai talebani. “Se l’Italia non mi aiuterà sarò costretto a trovare una via illegale per scappare e salvare la mia famiglia. Non è giusto” spiega il giovane afghano. Mohsen Enterzary è un traduttore ferito gravemente durante una missione dei corpi speciali italiani della Task force 45. Per anni abbandonato vive a Kabul e questa volta spera di essere portato in salvo.
“La Difesa, di concerto con i ministeri dell’Interno e degli Esteri, a conferma del fatto che chi negli anni ha assistito il nostro personale non viene lasciato solo continuerà a gestire le richieste degli ex collaboratori afghani tramite la rappresentanza italiana a Kabul” dichiara a Panorama una fonte di via Venti Settembre.
Fra agosto e la seconda quindicina di settembre dovrebbero venire evacuate in Italia un’ottantina di famiglie, 390 afghani in tutto. Non solo interpreti ma anche fornitori, collaboratori logistici e personale che ha lavorato nelle nostre basi. Fra i casi prioritari ci sono anche i familiari del leggendario generale Ziarat Shah Abbed, ucciso dal covid, che parlava l’italiano e ha comandato il corpo d’armata di Herat. E chi ha collaborato con noi per i diritti delle donne. L’ “intendimento dell’autorità politica” di accettare solo le richieste di protezione pervenute entro il 31 maggio “è stato superato” secondo la Difesa. Il problema è che all’inizio l’operazione Aquila prevedeva di portare in Italia un massimo di 600 afghani, ma all’ambasciata a Kabul sono arrivate ulteriori 300 domande. Le stime più alte di collaboratori e familiari da evacuare sono di 1200-1500 persone. Numeri esigui se teniamo conto che dall’inizio dell’anno sono sbarcati in  Italia oltre 24mila migranti illegali. “Quasi sempre sono senza documenti e non abbiamo alcuna informazioni di affidabilità come per gli afghani” spiega chi è in prima linea sul fronte dell’immigrazione. Solo il 7 e 9 luglio sono arrivati in 1591, il numero massimo previsto da Kabul, compresi i 572 sbarcati da Ocean Viking, la  nave della Ong francese Sos Mediterranee.
La Germania ha già concesso 2400 visti di protezione ai collaboratori afghani con le loro famiglie. In giugno gli inglesi avevano evacuato 1360 persone e prevedevano di ricollocarne altre 3mila.
Non solo i veterani dell’Afghanistan, ma anche i militari sud vietnamiti sopravissuti alla caduta di Saigon del 1975 trovando riparo negli Usa sono mobilitati per salvare gli afghani. A fine luglio partirà la mega operazione \"Allies Refuge”, che inizialmente evacuerà 18mila afghani con le loro famiglie in basi americane all’estero o paesi amici per controllare le richieste e farli entrare negli Stati Uniti.
Per i 228 afghani già arrivati in Italia non è tutto rose e fiori. Dopo la quarantena passano nei Centri di accoglienza straordinaria in attesa di venire assegnati al Sistema di integrazione degli enti locali per due anni. Gran parte sono stati accolti bene, ma una decina di famiglie, dal nord al sud, denuncia condizioni di vita “inaccettabili, di promiscuità con immigrati illegali, che ci deridono, in zone isolate e condizioni indecenti”. A Panorama hanno inviato le foto di alloggi decrepiti, gabinetti da quarto mondo e stanze minuscole. La responsabilità spetta al Viminale, ma “la Difesa è a conoscenza che l’attuale sistemazione presso i Centri di accoglienza straordinaria, per alcuni collaboratori e loro familiari, è una soluzione del tutto temporanea”. I militari hanno segnalato i problemi chiedendo al ministero dell’Interno di intervenire sui cambi di destinazione.
Il generale Giorgio Battisti, che ha servito in Afghanistan, sottolinea che “le Associazioni combattentistiche e d’Arma, con la loro capillare presenza sul territorio, potranno agevolare l’inserimento di queste famiglie nella nostra società. In particolare, l’Associazione Nazionale Alpini, la più diffusa e meglio organizzata, quale espressione di solidarietà”.
Anche i GoodGuys, sodalizio composto da militari dei fronti più caldi, non solo italiani, con oltre mezzo milione di follower su Facebook, è disponibile. “Non sono migranti che arrivano a Lampedusa. Gli afghani erano spalla a spalla con le nostre truppe anche sotto il fuoco. Abbiamo il dovere di aiutarli - spiega il presidente e paracadutista Rocco Pacella - Per quelli ancora in Afghanistan e gli altri da integrare vale il nostro motto: “Nessuno rimane indietro””.
[continua]

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28 ottobre 2012 | TG5 | reportage
Afghanistan: un botto e la polvere dell'esplosione che invade il blindato
L’esplosione è improvvisa, quando meno te l’aspetti, lungo una pista arida, assolata e deserta. I soldati italiani si sono infilati fra le montagne di Farah nell’Afghanistan occidentale infestato da talebani. Una colonna di fumo alta una quindicina di metri si alza verso il cielo. Il tenente Davide Secondi, 24 anni, urla alla radio “siamo saltati, siamo saltati” su un Ied, le famigerate trappole esplosive disseminate dai talebani. Non hai neppure il tempo di capire se sei vivo o morto, che la polvere invade il super blindato Cougar fatto apposta per resistere a questi ordigni. E’ come se la mano del Dio talebano afferrasse il bestione da 14 tonnellate in movimento fermandolo come una macchinina giocattolo. A bordo siamo in cinque ancorati ai sedili come in Formula uno per evitare di rimbalzare come birilli per l’esplosione. La più esposta è Mariangela Baldieri, 24 anni, del 32° genio guastatori alpini di Torino. Addetta alla mitragliatrice, metà del corpo è fuori dal mezzo in una torretta corazzata. Si è beccata dei detriti e sul primo momento non sente dall’orecchio destro. Almeno venticinque chili di esplosivo sono scoppiati davanti agli occhi di Alessio Frattagli, 26 anni, al volante. Il caporal maggiore scelto Vincenzo Pagliarello, 31 anni, veterano dell’Afghanistan, rincuora Mariangela. Siamo tutti illesi, il mezzo ha retto, l’addestramento dei guastatori ha fatto il resto. Cinquanta metri più avanti c’era un’altra trappola esplosiva. Il giorno prima a soli venti chilometri è morto in combattimento l’alpino Tiziano Chierotti. La guerra in Afghanistan continua.

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07 giugno 2010 | Porta a Porta | reportage
Un servizio sulle guerre di pace degli italiani
Le “guerre” di pace degli italiani sono iniziate nel 1982, con la prima importante missione all’estero nel martoriato Libano, dopo il conflitto fra israeliani e palestinesi. Oggi sono quasi diecimila i soldati italiani impegnati nel mondo in venti paesi. Oltre alla baionette svolgiamo un apprezzato intervento umanitario a favore della popolazione. Dall’Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, fino all’Afghanistan non sempre è una passeggiata per portare solo caramelle ai bambini. Nel 1991, durante la guerra del Golfo, un caccia bombardiere italiano è stato abbattuto dalla contraerea irachena. Il pilota Gianmarco Bellini ed il navigatore Maurizio Cocciolone sono rimasti per 45 giorni nelle cupe galere di Saddam Hussein. Quella in Somalia, è stata una missione sporca e dura, macchiata da casi isolati di torture e maltrattamenti. Al check point Pasta, a Mogadiscio, i paracadutisti della Folgore hanno combattuto la prima dura battaglia in terra d’Africa dopo la seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto etnico siamo intervenuti a pacificare la Bosnia. Per il Kosovo, nel 1999, l’aeronautica militare ha bombardato i serbi effettuando 3mila sortite. Una guerra aerea di cui non si poteva parlare per opportunità politiche. Dopo l’11 settembre i focolai di instabilità sono diventati sempre più insidiosi, dall’Iraq all’Afghanistan. Nel 2003, con la missione Antica Babilonia a Nassiryah, i nostri soldati sono rimasti coinvolti nelle battaglie dei ponti contro i miliziani sciiti. In sole 24 ore gli italiani hanno sparato centomila colpi. Siamo sbarcati di nuovo in Libano dopo il conflitto fra Israele ed Hezbollah, ma la nostra vera trincea è l’Afghanistan. Con i rinforzi previsti per l’estate arriveremo a 4mila uomini per garantire sicurezza nella parte occidentale del paese, grande come il Nord Italia, al confine con l’Iran. Herat, Bala Murghab, Farah, Bala Baluk, Bakwa, Shindad sono i nomi esotici e lontani dove fanti, alpini, paracadutisti combattono e muoiono in aspri scontri e imboscate con i talebani o attentati. Dal 1982, nelle nostre “guerre” di pace, sono caduti 103 soldati italiani.

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19 settembre 2009 | TG5 Speciale - Canale 5 | reportage
Morire per Kabul
Dopo l'attentato che è costato la vita a sei paracadutisti della Folgore ci si interroga sulla missione in Afghanistan. Se valeva la pena morire per Danzica lo stesso discorso va fatto per Kabul.

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radio

20 agosto 2008 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Taccuino di guerra - Il fortino di Bala Murghab sotto attacco
Afghanistan,un'estate in trincea.In prima linea con i soldati italiani

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12 novembre 2001 | Radio 24 Gr | reportage
Afghanistan
Il crollo dei talebani - Con una colonna di mujaheddin verso Kabul
In prima linea in Afghanistan dopo l'11 settembre.Inizia l'attacco finale. Con una colonna dei mujaheddin verso Kabul

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14 novembre 2001 | Radio 24 | reportage
Afghanistan
La musica che cambia
Nei negozi della capitale liberata non si vende più la cantilena dei versi del Corano, ma la melodiosa musica indiana, proibita dai talebani.

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19 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani/ Talebani scatenati contro le elezioni
Nelle ultime ore i talebani si stanno scatenando contro le elezioni presidenziali in Afghanistan di domani. Con attentati spettacolari nella capitale e cercando di ostacolare il voto nelle zone “calde” come la provincia di Farah sotto controllo italiano. Ieri mattina è toccato ad un convoglio dei bersaglieri del primo reggimento, che scortava urne e materiale elettorale a finire sotto il fuoco, come racconta a Radio 24 il tenente Marco Carnevale. Ai Leoni, i fanti piumati partiti da base El Alamein, nel capoluogo di Farah, fischiavano i razzi controcarro Rpg sopra le teste lanciati dai talebani annidati in un villaggio ed in un boschetto. I nostri hanno risposto al fuoco in una battaglia che è durata un paio d’ore (audio originale). Sono intervenuti anche un caccia F 16 e gli elicotteri Mangusta, ma non è stato necessario bombardare. I soldati italiani sono illesi ed i mezzi non hanno subito danni significativi. “I nemici dell’Afghanistan vogliono intimidire la popolazione negandole il diritto al voto” denuncia il colonnello Gabriele Toscani De Col comandante della task force italiana a Farah. Più a nord, vicino ad Herat dove ha sede il comando del nostro contingente di 2700 uomini si è svolta nelle ultime ore un’altra operazione contro una cellula di insorti specializzata nella preparazione delle cosiddette Ied le trappole esplosive, che un mese fa hanno ucciso il parà Alessandro Di Lisio. La battaglia per il voto in Afghanistan è iniziata. Fausto Biloslavo da base avanzata Tobruk, provincia di Farah, Afghanistan occidentale Per Radio 24 il Sole 24 ore

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18 agosto 2009 | Radio24 | reportage
Afghanistan
Al fronte con gli italiani / Scontro a Farah
Questa mattina dalle 9.48, ora afghana, i Leoni del primo reggimento bersaglieri sono stati attaccati ad una decina di chilometri a nord di Farah, con armi controcarro e fucili mitragliatori. I fanti piumati erano partiti dalla base El Alamein nel capoluogol della turbolenta provincia sotto controllo del nostro contingente nell’Afghanistan occidentale. I cingolati d’attacco Dardo, armati di cannoncino da 25 millimetri, hanno risposto al fuoco. Sono stati impegnati anche i mortai da 60 millimetri in una battaglia che è durata fino alle 11.50. Fra gli italianii non si registrano feriti o seri danni ai mezzi. La richiesta di intervento era giunta dal governatore di Farah che aveva segnalato la presenza dei talebani pronti ad ostacolare le elezioni presidenziali del 20 agosto. La battaglia per il voto in Afghanistan è appena iniziata.

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