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Reportage
13 ottobre 2021 - Interni - Italia - Panorama
Trieste capitale dei no pass
TRIESTE - “No green pass, no apartheid” è lo striscione bianco, in italiano e sloveno, che apre il corteo di diecimila persone scese in piazza a Trieste. Il capoluogo giuliano è diventato la “capitale” della rivolta di chi crede di vivere in una “dittatura sanitaria”. A Milano l’ultimo corteo di protesta del 2 ottobre ha mobilitato appena 4mila manifestanti su 1milione e 300mila abitanti. A Trieste, il giorno prima, hanno sfilato oltre il doppio con una popolazione sette volte inferiore. “E’ stato un crescendo di partecipazione. Ventitremila persone da quando è iniziata la protesta a fine estate - spiega una fonte della Questura - Tutto è partito da un gruppetto di antagonisti di sinistra, ma la partecipazione si è estesa in maniera trasversale. Nell’ultimo corteo del primo ottobre gente comune guardava dalla finestra e scendeva in strada per unirsi alla manifestazione”.
Tito De Toni, attivista anarcoide di lunga data, presenta le richieste di autorizzazioni per i cortei. Nel 2003 era rimasto coinvolto con i duri del Nord Est nel tentato assalto all’agenzia consolare americana a Trieste per protestare contro l’invasione dell’Iraq. Le immagini avevano fatto il giorno del mondo grazie alla Cnn e Al Jazeera. Il nocciolo di estrema sinistra dei “no pass” ruota attorno al collettivo Tilt “resistenze autonome precarie”, ma in piazza si sono presentati anche veterani degli autonomi degli anni settanta. E l’ultima novità è il fronte del porto, i nerboruti lavoratori dello scalo giuliano, che ai tempi del Pci garantivano il servizio d’ordine. Adesso sono politicamente indefinibili, a parte la linea dura contro il green pass. E hanno assunto la guida della protesta. Sul sito ufficiale del “Coordinamento di Trieste” contro il lasciapassare anti covid, nato il 3 settembre, si sostiene che si tratta di “un pericoloso strumento politico di controllo che scarica sulla popolazione le responsabilità della mala gestione della sanità e promuove un’ulteriore accelerazione sul tema della sorveglianza di massa”.
Una fonte di Panorama nelle forze dell’ordine fa notare che “a  Trieste è nato uno strano miscuglio esplosivo fra anarchici e antagonisti, indipendentisti giuliani ed estrema destra uniti dal no pass e no vax”.
In piazza colpisce il magma eterogeneo dei manifestanti. La presenza degli irredentisti di Pro Patria, difensori dell’italianità con gli indipendentisti del Tlt, il Territorio libero Trieste, ricordo del dopo guerra. “Il green pass è la punta dell’iceberg. Sono in gioco democrazia, libertà di parola e di stampa e il lavoro delle persone” è convinto Nino Martelli, presidente di Pro Patria.
“Quando l’ingiustizia diventa legge la resistenza diventa dovere” è lo slogan scritto con il pennarello su un cartello giallo innalzato da una signora di mezza età. Poco più in là si ritrovano i militanti di destra, gli ultras della Triestina e il Primato nazionale, giornale vicino a Casa Pound esalta “la marea umana contro il certificato verde”. L’ex ambasciatore Bruno Scapini ha partecipato ai primi cortei: “E’ una battaglia che supera le ideologie di chi è convinto che il vaccino non si può inoculare supinamente. Ma pure una dimostrazione di autonomia e indipendenza rispetto al potere centrale nello spirito di Trieste”.
In realtà il grosso dei manifestanti è composto da gente comune, professionisti, qualche famigliola con il passeggino e figli piccoli al seguito. Le insegnanti contro il “greenpaSS” che evoca i pretoriani di Hitler. L’anziano con il fischietto e il giovane che innalza un cartoncino con scritto “no ai vaccini dai feti abortiti”. E signore che hanno portato in piazza pentole e cucchiai per fare rumore. Fabio Catalan con mantella nera e maschera della morte spiega di essere vaccinato, ma di “protestare contro il green pass, una lotta per i diritti di tutti”.
Le facce caricaturali dei politici nazionali con la scritta “il virus siete voi” è un altro cartello in mezzo al corteo. Si sprecano i vaffa al premier Draghi e al ministro della Sanità, Roberto Speranza, ma tutti i politici vengono fischiati a ripetizione. Solo Giorgia Meloni è risparmiata dagli insulti. Federica Comar, candidata alle comunali con Fratelli d’Italia, è un’infermiera: “Lo scorso anno mi sono beccata il covid in reparto perchè ci avevano dato mascherine farlocche. E adesso dovrei fidarmi di vaccini sperimentali?”. Gli operatori sanitari sospesi o sul giro d’aria non sono pochi compreso Alfio, un medico convinto che “Moderna e Pfizer sono pericolosissimi”. Un fisioterapista evoca “il complotto del Grande reset” sul controllo mondiale sostenuto in maniera trasversale dall’estrema destra di Qanon e da intellettuali di segno opposto come Carlo Freccero. Un altro professionista, noto in città, osserva che “il 70-80 %dei partecipanti sono elettori di sinistra. Più avanti dei benpensanti della destra. Hanno a cuore la libertà mentre noi siamo offuscati dalle menzogne del regime, dai finti virologi e dai penosi giornalisti”.
Il candidato sindaco, Ugo Rossi, del “Movimento 3Verità” è stato arrestato dai carabinieri durante la campagna elettorale in una sceneggiata a favore di chi non porta la mascherina. Ingegnere ambientalista espulso dai grillini che lo consideravano troppo estremista vuole stampare una moneta per Trieste e ha ottenuto dal nulla il 4,46% dei voti alle elezioni comunali del 3 ottobre. Al ballottaggio giura che non concederà “alcuna sponda. Centrosinistra e centrodestra sono entrambi asserviti al potere neoliberista”.
La novità è l’adesione dei portuali all’ultimo corteo con fumogeni rossi e pettorine gialle, che minacciano di “bloccare le operazioni lavorative” nello scalo giuliano “se entrasse in vigore l’obbligo del green pass il 15 ottobre”. Nei cortei di Trieste sfilano anche poliziotti, militari, vigili urbani non in servizio. Uno degli agenti scrive su Facebook: “Siamo (…) una minoranza (forse) sfavorevole al Green Pass, all\\\'interno di un popolo che è a sua volta una super minoranza sullo scacchiere mondiale (gli italiani sono gli unici ad aver accettato di vincolare il diritto al lavoro e allo studio al marchio verde). Non dubitate, la storia ci darà ragione”.
Le forze dell’ordine stimano che “gli oltranzisti no pass sono un migliaio”. E il 2 ottobre sotto la sede Rai di Trieste i più facinorosi, aiutati dai fumi dell’alcol, hanno cercato di sfondare l’esile linea dei poliziotti. Alle spalle diecimila persone gridavano “servi, venduti” all’indirizzo dei giornalisti della tv pubblica. Qualcuno ha lanciato bottiglie e tagliato i pneumatici dei mezzi della polizia. Gli uomini della Digos, con una pazienza di Giobbe, sono riusciti ad evitare il peggio. Un capo squadra degli agenti in ordine pubblico rivolto ai manifestanti più agitati ha sostenuto in maniera sorprendente: “Non prendetevela con le pedine, ma con i re”. Alla fine gli agenti hanno tolto i caschi per stemperare la tensione.
Poco prima una donna inveiva al microfono del camper che guidava il corteo contro la scelta di vaccinare i minorenni: “Se succederà qualcosa ai miei nipoti potrei diventare una terrorista”.
Fausto Biloslavo

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11 novembre 2008 | Centenario della Federazione della stampa | reportage
A Trieste una targa per Almerigo Grilz
e tutti i caduti sul fronte dell'informazione

Ci sono voluti 21 anni, epiche battaglie a colpi di articoli, proteste, un libro fotografico ed una mostra, ma alla fine anche la "casta" dei giornalisti triestini ricorda Almerigo Grilz. L'11 novembre, nella sala del Consiglio comunale del capoluogo giuliano, ha preso la parola il presidente dell'Ordine dei giornalisti del Friuli-Venezia Giulia, Pietro Villotta. Con un appassionato discorso ha spiegato la scelta di affiggere all'ingresso del palazzo della stampa a Trieste una grande targa in cristallo con i nomi di tutti i giornalisti italiani caduti in guerra, per mano della mafia o del terrorismo dal 1945 a oggi. In rigoroso ordine alfabetico c'era anche quello di Almerigo Grilz, che per anni è stato volutamente dimenticato dai giornalisti triestini, che ricordavano solo i colleghi del capoluogo giuliano uccisi a Mostar e a Mogadiscio. La targa è stata scoperta in occasione della celebrazione del centenario della Federazione nazionale della stampa italiana. Il sindacato unico ha aderito all'iniziativa senza dimostrare grande entusiasmo e non menzionando mai, negli interventi ufficiali, il nome di Grilz, ma va bene lo stesso. Vale la pena dire: "Meglio tardi che mai". E da adesso speriamo veramente di aver voltato pagina sul "buco nero" che ha avvolto per anni Almerigo Grilz, l'inviato ignoto.

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05 aprile 2020 | Tg5 | reportage
Virus, il fronte che resiste in Friuli-Venezia Giulia
Fausto Biloslavo TRIESTE - “Anche noi abbiamo paura. E’ un momento difficile per tutti, ma dobbiamo fare il nostro dovere con la maggiore dedizione possibile” spiega Demis Pizzolitto, veterano delle ambulanze del 118 nel capoluogo giuliano lanciate nella “guerra” contro il virus maledetto. La battaglia quotidiana inizia con la vestizione: tuta bianca, doppi guanti, visiera e mascherina per difendersi dal contagio. Il veterano è in coppia con Fabio Tripodi, una “recluta” arrivata da poco, ma subito spedita al fronte. Le due tute bianche si lanciano nella mischia armati di barella per i pazienti Covid. “Mi è rimasta impressa una signora anziana, positiva al virus, che abbiamo trasportato di notte - racconta l’infermiere Pizzolitto - In ambulanza mi ha raccontato del marito invalido rimasto a casa. E soffriva all’idea di averlo lasciato solo con la paura che nessuno si sarebbe occupato di lui”. Bardati come due marziani spariscono nell’ospedale Maggiore di Trieste, dove sono ricoverati un centinaio di positivi, per trasferire un infetto che ha bisogno di maggiori cure. Quando tornano caricano dietro la barella e si chiudono dentro l’ambulanza con il paziente semi incosciente. Si vede solo il volto scavato che spunta dalle lenzuola bianche. Poi via a sirene spiegate verso l’ospedale di Cattinara, dove la terapia intensiva è l’ultima trincea per fermare il virus. Il Friuli-Venezia Giulia è il fronte del Nord Est che resiste al virus grazie a restrizioni draconiane, anche se negli ultimi giorni la gente comincia ad uscire troppo di casa. Un decimo della popolazione rispetto alla Lombardia ha aiutato a evitare l’inferno di Bergamo e Brescia. Il 4 aprile i contagiati erano 1986, i decessi 145, le guarigioni 220 e 1103 persone si trovano in isolamento a casa. Anche in Friuli-Venezia Giulia, come in gran parte d’Italia, le protezioni individuali per chi combatte il virus non bastano mai. “Siamo messi molto male. Le stiamo centellinando. Più che con le mascherine abbiamo avuto grandi difficoltà con visiere, occhiali e tute” ammette Antonio Poggiana, direttore generale dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia. Negli ultimi giorni sono arrivate nuove forniture, ma l’emergenza riguarda anche le residenze per anziani, flagellate dal virus. “Sono “bombe” virali innescate - spiega Alberto Peratoner responsabile del 118 - Muoiono molti più anziani di quelli certificati, anche 4-5 al giorno, ma non vengono fatti i tamponi”. Nell’ospedale di Cattinara “la terapia intensiva è la prima linea di risposta contro il virus, il nemico invisibile che stiamo combattendo ogni giorno” spiega Umberto Lucangelo, direttore del dipartimento di emergenza. Borse sotto gli occhi vive in ospedale e da separato in casa con la moglie per evitare qualsiasi rischio. Nella trincea sanitaria l’emergenza si tocca con mano. Barbara si prepara con la tuta anti contagio che la copre dalla testa ai piedi. Un’altra infermiera chiude tutti i possibili spiragli delle cerniere con larghe strisce di cerotto, come nei film. Simile ad un “palombaro” le scrivono sulla schiena il nome e l’orario di ingresso con un pennarello nero. Poi Barbara procede in un’anticamera con una porta a vetri. E quando è completamente isolata allarga le braccia e si apre l’ingresso del campo di battaglia. Ventuno pazienti intubati lottano contro la morte grazie agli angeli in tuta bianca che non li mollano un secondo, giorno e notte. L’anziano con la chioma argento sembra solo addormentato se non fosse per l’infinità di cannule infilate nel corpo, sensori e macchinari che pulsano attorno. Una signora è coperta da un telo blu e come tutti i pazienti critici ripresa dalle telecamere a circuito chiuso. Mara, occhioni neri, visiera e mascherina spunta da dietro la vetrata protettiva con uno sguardo di speranza. All’interfono racconta l’emozione “del primo ragazzo che sono riuscito a svegliare. Quando mi ha visto ha alzato entrambi i pollici in segno di ok”. E se qualcuno non ce la fa Mara spiega “che siamo preparati ad accompagnare le persone verso la morte nella maniera più dignitosa. Io le tengo per mano per non lasciarle sole fino all’ultimo momento”. Erica Venier, la capo turno, vuole ringraziare “con tutto il cuore” i triestini che ogni giorno fanno arrivare dolci, frutta, generi di conforto ai combattenti della terapia intensiva. Graziano Di Gregorio, infermiere del turno mattutino, è un veterano: “Dopo 22 anni di esperienza non avrei mai pensato di trovarmi in una trincea del genere”. Il fiore all’occhiello della rianimazione di Cattinara è di non aver perso un solo paziente, ma Di Gregorio racconta: “Infermieri di altre terapie intensive hanno dovuto dare l’estrema unzione perchè i pazienti sono soli e non si può fare diversamente”. L’azienda sanitaria sta acquistando una trentina di tablet per cercare di mantenere un contatto con i familiari e permettere l’estremo saluto. Prima di venire intubati, l’ultima spiaggia, i contagiati che hanno difficoltà a respirare sono aiutati con maschere o caschi in un altro reparto. Il direttore, Marco Confalonieri, racconta: “Mio nonno era un ragazzo del ’99, che ha combattuto sul Piave durante il primo conflitto mondiale. Ho lanciato nella mischia 13 giovani appena assunti. Sono i ragazzi del ’99 di questa guerra”.

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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radio

20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.

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