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09 marzo 2023 - Prima - Mediterraneo - Il Giornale
Nomi, basi e telefoni: la rete degli scafisti che va smantellata
Non facciamo niente contro i veri trafficanti di uomini o molto poco. Le basi di partenza dei migranti dalla Turchia, Libia e Tunisia vengono monitorate e aggiornate ogni mese. L’intelligence, con le antenne sul campo e anche il Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia hanno le mappe delle reti di trafficanti compresi nomi, cognomi e numeri di telefono cellulare o satellitare. L’aereo di Frontex che ha avvistato il barcone naufragato a Cutro aveva captato una chiamata satellitare diretta in Turchia, prima del disastro, probabilmente al boss del traffico.
Non solo: due scafisti, ora dietro le sbarre, hanno chiamato dopo essere salpati i loro complici a terra perché l’imbarcazione iniziale aveva un guasto al motore. Nel giro di tre ore è arrivata la seconda pilotata da tre scafisti, quella del naufragio. «L’incasso, solo per questo viaggio finito in tragedia, era di 1 milione e 800mila dollari.
Tanti soldi. Per questo se non si colpiscono i trafficanti veri, che hanno messo in piedi la rete e rimangono al sicuro in Turchia, Libia o Tunisia il flusso non si fermerà mai» conferma a il Giornale una fonte in prima linea sul mare.
I quattro scafisti del naufragio di Cutro finiti in manette non solo sapevano far navigare il barcone fino all’Italia, ma avevano a disposizione telefono satellitare e probabilmente un jammer per oscurare i collegamenti dei cellulari dei migranti a bordo.
Però sono pesci piccoli, che possono aiutare le indagini nel ricostruire la rete del traffico dalla Turchia. Dal primo gennaio sono arrivati in Italia lungo le rotte del Mediterraneo orientale (Turchia e Libano) 693 migranti in 7 diversi barconi spendendo fra gli 8mila ed i 10mila dollari a testa.
Dalla Turchia, negli ultimi due anni, le mappe delle partenze indicano che i migranti vengono imbarcati soprattutto ad Izmir, Bodrum, Marmaris e Canakkale. In misura minore dal promontorio di Cesme dove è salpata l’imbarcazione della tragedia. Le basi dei trafficanti sono in città e non è impossibile individuarli grazie ai numeri di cellulare e alle intercettazioni delle chiamate. L’enorme volume di affari del traffico di uomini serve anche a pagare coperture e appoggi, ma la Turchia fa parte dell’Interpol e non dovrebbe essere impossibile inviare personale di polizia esperto per collaborare allo smantellamento delle reti.
La spina nel fianco rimane la Libia.
La mappa degli hub dei trafficanti aggiornata fino al 28 febbraio mostra che le partenze sono organizzate sia dalla Tripolitania (3152 migranti dal primo gennaio) che dalla Cirenaica (1756). Zuwara, Sabratah, Zawhia, Abu Kammash, verso il confine con la Tunisia, sono le basi storiche che godono della protezione delle milizie locali grazie al pizzo sugli imbarchi clandestini. Poi c’è Garabulli, Misurata e pure Sirte con le nostre antenne sul terreno che sanno i nomi dei boss. La rete è estesa anche ad Est, nel territorio sotto il controllo del generale Khalifa Haftar. Le principali basi di partenza sono Agedabya, Bengasi, Tobruk, e Bardia vicino al confine egiziano.
La terza fase della missione europea Sophia, mai attivata, prevedeva l’intervento, anche a terra, di corpi speciali per smantellare il business dei trafficanti. Aliquote di incursori, in accordo con le autorità libiche, potrebbero operare distruggendo le barche di trafficanti e assicurandoli alla giustizia, magari in Italia.
Il picco di sbarchi dall’inizio dell’anno con 8477 migranti parte dalla Tunisia. Tutti sub sahariani su barche metalliche, poco costose, ma totalmente insicure. Gli ultimi 124 arrivati fra martedì e mercoledì sono partiti soprattutto da Sfax e hanno pagato una media di 2mila dinari a testa, appena 600 euro.
Ieri il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incontrando il capo del governo olandese Mark Rutte, ha concordato che «bisogna demolire il modello di business disumano e cinico» dei trafficanti di esseri umani.
Una lotta che potrebbe prevedere pure il congelamento di fondi dei criminali coinvolti che spesso investono e hanno conti bancari in Europa o a Dubai oltre a sanzioni internazionali durissime.
[continua]