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Reportage
10 maggio 2023 - Copertina - Italia - Panorama |
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| Così l’Italia salva in mare |
CANALE DI SICILIA - Il faro della motovedetta CP 306 della Guardia costiera fende il buio della notte con il mare nero come la pece. Una lama di luce che cerca disperatamente i migranti partiti dalla Tunisia. All’improvviso appare il barchino in lamiere di ferro saldate alla buona e stracolmo di una pietosa umanità in fuga dall’Africa attratta da un Eldorado europeo che non esiste più. Quarantatrè anime, quasi tutti uomini, ma ci sono alcune donne e dei neonati follemente pigiati in una “bara” galleggiante, che imbarca acqua. Qualcuno urla di paura, altri tremano per il freddo e i bambini piangono disperati come se spuntassero dall’inferno. I pochi salvagenti sono le camere d’aria dei pneumatici. “State calmi, seduti, non muovetevi. Vi porteremo in salvo” urla Ahmed Diallo, il mediatore culturale dell’Oim, costola dell’Onu per le migrazioni, che parla una babele di lingue, a cominciare dai dialetti sub sahariani. Fondamentale per evitare che i migranti nella foga del soccorso si spostino tutti dalla parte della motovedetta facendo capovolgere il barchino. L’equipaggio in tuta bianca protettiva per covid, scabbia e altre possibili malattie è schierato su un fianco della motovedetta. Uno dei marinai esperti lancia una cima per cominciare a tirare piano piano il barchino verso il tubolare arancione della classe 300. Agitazione e caos si mescolano con la “bara” di ferro che ondeggia e quando si affianca alla motovedetta scatta l’arrembaggio tenuto a bada a stento dai veterani della Guardia costiera. “Prima i bebè, prima i bebè” intima gridando a squarciagola, Antonino Baglio, il giovane soccorritore marittimo in muta arancione, elmetto, maschera e pinne pronte all’uso. Se qualcuno finisce in acqua è lui che deve tuffarsi per salvarlo come ha fatto pochi giorni prima con una decina di migranti. “Bisogna agire in fretta - racconta un sottocapo della Guardia costiera - Ricordo un soccorso a febbraio, dopo un quarto d’ora, quelli che non eravamo riusciti a portare a bordo galleggiavano annegati come una marea umana”. I volti tirati, mezzi inzuppati, tremanti, i migranti vengono tirati su dal barchino a forza di braccia “uno ad uno altrimenti rischiate di cadere in acqua” urlano i soccorritori. Una volta a bordo ridono, piangono, pregano ringraziando i salvatori in francese, inglese e talvolta in italiano. Nella settimana dal 24 al 29 aprile è andata avanti così, giorno e notte, sul fronte del mare. Dalla prima linea di Lampedusa, ultimo lembo d’Italia, solo le motovedette della Guardia costiera hanno soccorso 2493 migranti. Dall’inizio dell’anno sono già sbarcati in Italia 42.206 fino al 2 maggio. Quattro volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2022 con un picco ad aprile di 14.516 arrivi illegali. In gran parte provengono da Costa D’avorio, Guinea, Egitto, Pakistan, Bangladesh, pochi un fuga da conflitti, anche se l’esplosione della guerra in Sudan, con 800mila profughi, fa temere il peggio. “Quando scendiamo sotto mare forza due partono di continuo soprattutto dalla Tunisia. E da settembre usano i barchini con lamiere in ferro saldate e schiuma espansa per tenerle insieme. Un natante low cost, ma oltre i 40 migranti a bordo è a rischio naufragio” spiega il tenente di vascello Gaetano Roseo, 35 anni, comandante della capitaneria di Lampedusa. La motovedetta 306, che in una sola notte ha soccorso due barchini, è salpata verso i “target” come vengono chiamati in gergo i natanti in difficoltà, dopo l’allarme lanciato da un paio di pescherecci tunisini. Una volta arrivati sul posto, 40 miglia a sud ovest, il ruolo dei “pescatori” appare subito ambiguo. “I migranti segnalano con la luce dei telefonini la loro presenza, che è troppo debole. Per questo abbiamo difficoltà a trovarli in mezzo al buio” fa notare il comandante Giuliano Fadda. I pescherecci, al contrario, sono illuminati a giorno e ciondolano in zona per indicare la presenza dei barchini. Spesso sono sempre gli stessi. Il fondato sospetto è che i migranti vengano nascosti sotto bordo e il barchino trainato fino alle acque internazionali. Poi li caricano sulla “bara” galleggiante dirigendoli verso l’area di ricerca e soccorso italiana. Una volta lanciato l’allarme il gioco è fatto: i “pescatori” aspettano l’arrivo delle motovedette e recuperano il motore fuoribordo o talvolta lo stesso barchino che rivendono per la prossima traversata. Il 28 aprile un peschereccio ha addirittura speronato un barchino per rimuovere il motore prima del salvataggio. Una bambina di quattro anni è caduta in mare scomparendo fra i flutti. Un video girato in marzo fa vedere il peggio: durante un soccorso multiplo con diversi barchini e naufraghi che rischiano di annegare, un peschereccio tunisino si affianca a un natante di ferro. Pur di prendersi il motore fuoribordo lo fa affondare con tutti i migranti. I soccorritori urlano disperati “bastardo, bastardo”. Namir Khan, giubbotto giallo e sorriso, è l’ultimo ad essere salito a bordo della motovedetta 306 durante il salvataggio notturno. “Vengo dal Gambia. Siamo partiti da Sfax (porto tunisino nda) due giorni fa e ho pagato fra i 300 e 400 euro” dichiara confermando la tratta low cost rispetto alla Libia. Le storie dell’avamposto di Lampedusa sono drammatiche, ma anche di speranza. Il 20 dicembre, di notte, vengono recuperati diversi naufraghi. Uno è già morto, ma una donna che non respira viene rianimata dal medico del Corpo Italiano di Soccorso dell\\\'Ordine di Malta (Cisom) sempre a bordo in coppia con un infermiere. “Un’altra donna ha partorito sulla motovedetta una bambina, Fatima - racconta il comandante Roberto Mangione - Tocchi con mano la vita e la morte”. In altri interventi “vai a prendere un barchino e ci sono dei neonati carbonizzati. Oppure sotto i vivi tirati a bordo trovi lo strato dei morti”. Alcuni migranti hanno lo sguardo perso nel vuoto. “Bevono l’acqua di mare che provoca allucinazioni” spiega Marika Borettaz, infermeria del Cisom imbarcata sulla motovedetta CP 327. A sei miglia da Lampedusa l’unità intercetta, alle nove del mattino, un barcone in legno, salpato da Sabrata, in Libia, con 118 uomini, 7 donne e 8 minori compresi tre neonati. Il mare per fortuna è tranquillo. Al timone il comandante Giacomo Vella ne ha viste di peggio: “Un barcone con 300 persone in balia delle onde. Pensavo di non farcela, ma con un’altra motovedetta lo abbiamo stretto sulle due fiancate. I migranti sono saltati a bordo come cavallette”. Per rilassarsi prima di arrivare sul “target” mette a tutto volume “A mano a mano” di Rino Gaetano. I migranti provenienti da Egitto, Bangladesh, Eritrea, Somalia e Siria, una volta in salvo pregano verso la Mecca e alzano le mani al cielo per ringraziare Allah. Poi si fanno i selfie gridando “W l’Italia”, ma fra profughi e disgraziati c’è chi non ha alcun diritto all’asilo oppure porta la barba con i baffi rasati, segno distintivo dei salafiti. Un giovane ha una grossa aquila tatuata sulla schiena, che assomiglia al simbolo dell’Esercito libero siriano. Un padre di famiglia è partito con moglie e figli piccoli un mese fa. “Ho pagato seimila dollari per quattro persone - rivela - Abbiamo preso l’aereo in Siria atterrando a Bengasi. Poi ci hanno trasferito a Zuara per imbarcarci vicino a Sabrata. Spero di dare ai miei figli una vita migliore”. Bengasi è la “capitale” della Cirenaica sotto il controllo del generale Khalifa Haftar appoggiato dai russi come il regime siriano. Però Zuara e Al Ajaylat, il punto di partenza, sono in Tripolitania a dimostrazione che la rete dei trafficanti è trasversale. “A Lampedusa abbiamo visto sbarcare di tutto: chihuahua, canarini e pure una pecora” racconta Alessandro Pieroni, responsabile logistico della missione del Cisom, finanziata dalla Comunità europea (5 squadre di primo soccorso a bordo delle motovedette). Non mancano criminali usciti dalle galere tunisine e sono in aumento i tossicodipendenti. Al molo Favarolo dove vengono sbarcati i migranti iniziano i controlli della Polizia. “Una donna tunisina, vestita all’occidentale, molto a modo e tranquilla in realtà era una ricercata per terrorismo internazionale” rivela una fonte di Panorama. Sul molo il questore di Agrigento, Emanuele Ricifari, è impegnato nel trasferimento dei migranti in Sicilia. L’obiettivo primario è decongestionare l’hotspot dell’isola, che rischia di esplodere ad ogni ondata. “Prevediamo un periodo molto intenso - ammette - Preparandoci al peggio saremo in grado di affrontare l’arrivo di 1300 migranti al giorno”. Fausto Biloslavo |
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31 ottobre 2021 | Quarta repubblica | reportage
No vax scontri al porto
I primi lacrimogeni rimbalzano sull'asfalto e arditi No Pass cercano di ributtarli verso il cordone dei carabinieri che sta avanzando per sgomberare il varco numero 4 del porto di Trieste. I manifestanti urlano di tutto «merde, vergogna» cercando pietre e bottiglie da lanciare contro le forze dell'ordine. Un attivista ingaggia lo scontro impossibile e viene travolto dalle manganellate. Una volta crollato a terra lo trascinano via oltre il loro cordone. Scene da battaglia urbana, il capoluogo giuliano non le vedeva da decenni.
Portuali e No Pass presidiavano da venerdì l'ingresso più importante dello scalo per protestare contro l'introduzione obbligatoria del lasciapassare verde. In realtà i portuali, dopo varie spaccature, sono solo una trentina. Gli altri, che arriveranno fino a 1.500, sono antagonisti e anarchici, che vogliono la linea dura, molta gente venuta da fuori, più estremisti di destra.
Alle 9 arrivano in massa le forze dell'ordine con camion-idranti e schiere di agenti in tenuta antisommossa. Una colonna blu che arriva da dentro il porto fino alla sbarra dell'ingresso. «Lo scalo è porto franco. Non potevano farlo. È una violazione del trattato pace (dello scorso secolo, nda)» tuona Stefano Puzzer detto Ciccio, il capopopolo dei portuali. Armati di pettorina gialla sono loro che si schierano in prima linea seduti a terra davanti ai cordoni di polizia. La resistenza è passiva e gli agenti usano gli idranti per cercare di far sloggiare la fila di portuali. Uno di loro viene preso in pieno da un getto d'acqua e cade a terra battendo la testa. Gli altri lo portano via a braccia. Un gruppo probabilmente buddista prega per evitare lo sgombero. Una signora si avvicina a mani giunte ai poliziotti implorando di retrocedere, ma altri sono più aggressivi e partono valanghe di insulti.
Gli agenti avanzano al passo, metro dopo metro. I portuali fanno da cuscinetto per tentare di evitare incidenti più gravi convincendo la massa dei No Pass, che nulla hanno a che fare con lo scalo giuliano, di indietreggiare con calma. Una donna alza le mani cercando di fermare i poliziotti, altri fanno muro e la tensione sale alimentata dal getto degli idranti. «Guardateci siamo fascisti?» urla un militante ai poliziotti. Il nocciolo duro dell'estrema sinistra seguito da gran parte della piazza non vuole andarsene dal porto. Quando la trattativa con il capo della Digos fallisce la situazione degenera in scontro aperto. Diego, un cuoco No Pass, denuncia: «Hanno preso un mio amico, Vittorio, per i capelli, assestandogli una manganellata in faccia». Le forze dell'ordine sgomberano il valico, ma sul grande viale a ridosso scoppia la guerriglia. «Era gente pacifica che non ha alzato un dito - sbotta Puzzer - È un attacco squadrista». I più giovani sono scatenati e spostano i cassonetti dell'immondizia per bloccare la strada scatenando altre cariche degli agenti.
Donne per nulla intimorite urlano «vergognatevi» ai carabinieri, che rimangono impassibili. In rete cominciano a venire pubblicati post terribili rivolti agli agenti: «Avete i giorni contati. Se sai dove vivono questi poliziotti vai a ucciderli».Non a caso interviene anche il presidente Sergio Mattarella: «Sorprende e addolora che proprio adesso, in cui vediamo una ripresa incoraggiante esplodano fenomeni di aggressiva contestazione». Uno dei portuali ammette: "Avevamo detto ai No Pass di indietreggiare quando le forze dell'ordine avanzavano ma non ci hanno ascoltati. Così la manifestazione pacifica è stata rovinata».
Puzzer raduna le «truppe» e i rinforzi, 3mila persone, in piazza Unità d'Italia. E prende le distanze dagli oltranzisti: «Ci sono gruppi che non c'entrano con noi al porto che si stanno scontrando con le forze dell'ordine». Non è finita, oltre 100 irriducibili si scatenano nel quartiere di San Vito. E riescono a bloccare decine di camion diretti allo scalo con cassonetti dati alle fiamme in mezzo alla strada. Molti sono vestiti di nero con il volto coperto simili ai black bloc. La battaglia sul fronte del porto continua fino a sera.
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23 aprile 2012 | Premio Lago | reportage
Il premio Giorgio Lago: Arte, impresa, giornalismo, volontariato del Nord Est
Motivazione della Giuria: Giornalista di razza. Sempre sulla notizia, esposto in prima persona nei vari teatri di guerra del mondo. Penna sottile, attenta, con un grande amore per la verità raccontata a narrare le diverse vicende dell’uomo.
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29 dicembre 2010 | | reportage
Gli occhi della guerra a Trieste
Dopo aver portato la mostra su 25 anni di reportage di guerra in tutta Italia, finalmente il 29 dicembre è stata inaugurata a Trieste, presso la sala espositiva della Parrocchia di Santa Maria Maggiore, via del Collegio 6. Gli occhi della guerra sono dedicati ad Almerigo Grilz e a tutti i giornalisti caduti sul fronte dell'informazione. La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 10 al 20 gennaio. L'evento è stato organizzato dal Circolo universitario Hobbit con la sponsorizzazione della Regione.
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento |
Italia
Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra
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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento |
Italia
Professione Reporter di Guerra
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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento |
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale
Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio
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25 maggio 2010 | Spazio Radio - Radio 1 | intervento |
Italia
L'Islam nelle carceri italiane
In Italia su oltre 23mila detenuti stranieri, 9840 risultano musulmani, secondo i dati ufficiali. Almeno seimila, però, non si sono dichiarati. Il rapporto di 364 pagine, “La radicalizzazione jihadista nelle istituzioni penitenziarie europee”, realizzato dall’esperto di Islam nella carceri, Sergio Bianchi, ne indica 13mila.
In Italia ci sono circa 80 islamici dietro le sbarre per reati connessi al terrorismo. Dal 2009 li hanno concentrati in quattro istituti di pena: ad Asti, Macomer, Benevento e Rossano. Nel carcere di Opera, invece, sono arrivati Adel Ben Mabrouk, Nasri Riadh e Moez Abdel Qader Fezzani, ex prigionieri di Guantanamo. Chi li controlla ogni giorno racconta che parlano in italiano. La guerra santa in Afghanistan l’hanno abbracciata dopo aver vissuto come extracomunicatori nel nostro paese. Non si possono incontrare fra loro e vivono in celle singole. Pregano regolarmente con molta devozione e hanno mantenuto i barboni islamici.
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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento |
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea.
Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.
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