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23 giugno 2023 - Interni - Italia - Il Giornale
Il mio calvario tra ostacoli e scartoffie Dare famiglia ad un bebè è utopia
Fausto Biloslavo
L’adozione di una creatura che non è sangue del tuo sangue riflette sempre un atto d’amore, ma le coppie che vogliono accogliere un bimbo abbandonato in casa propria devono essere pronte ad un’odissea. Anni fa, dopo la gioia del primo figlio e la perdita del secondo durante la gravidanza, ho deciso con mia moglie di aprire le porte del cuore all’adozione. Non sapevamo in cosa ci stavamo imbarcando: un percorso ad ostacoli di controlli, carte e burocrazia farraginosa che sembra fatto apposta per costringerti a  gettare la spugna. Non sarà un caso che i dati del 2021 registrano appena 886 adozioni di minori italiani su quasi 8mila richieste in attesa. E nel 2022  sono andate a buon fine 565 adozioni internazionali su 2382 domande pendenti, che non vedono ancora la luce in fondo al tunnel.
Forse qualcosa negli ultimi anni sarà cambiato e migliorato, ma a naso i genitori adottivi continuano ad avanzare nelle sabbie mobili non solo amministrative. Già la prima valanga di documenti da presentare al Tribunale dei minori ti fa capire che conta più la cavillosa burocrazia che l’amore. Allora, sposati da dieci anni e conviventi dal doppio, abbiamo dovuto presentare pure l’assenso scritto dei nostri genitori, come degli adolescenti. Poi ci è voluto un anno, quando bastava una settimana, per lo scrutinio ai raggi X di psicologi e assistenti sociali, neanche fossimo dei serial killer da far uscire di galera. Anche la figlia naturale è passata sotto le forche caudine di operatori sociali, che come prima cosa ti gelavano: “Per l’internazionale ci vogliono anni. L’adozione nazionale scordatevela. E’ praticamente impossibile”.
Le visite legali, del tutto inutili, perchè a malapena il medico ti guardava negli occhi, venivano però sempre fissate in orari impossibili di lavoro. Sembrava quasi un percorso ad ostacoli per mettere la coppia alla prova. Non avevamo dubbi nell’affrontare la mission impossible di accogliere un bimbo abbandonato in Italia. Però abbiamo capito subito che se da Trieste vuoi entrare nelle liste di adozione del tribunale di Catanzaro devi fare la stessa trafila burocratica e così via. Anche inviando la domanda in tutta Italia, l’attesa era fra i 6 e 10 anni. Al primo rinnovo siamo inciampati nelle trappole nascoste della burocrazia: bisognava ripresentarla alla scadenza dei tre anni, ma non dell’accettazione della domanda da parte del Tribunale, bensì dalla data di presentazione. Un’arcigna vestale della burocrazia, con un gusto un po’ sadico da azzeccagarbugli, ci aveva già eliminato dalla lista d’attesa con un colpo di penna.
Non domi abbiamo imboccato l’impervia strada dell’adozione internazionale, dove va messo nel conto la possibilità di sborsare fino a 20mila euro per pratiche, abbinamenti e viaggi. Una delle Onlus riconosciute ci ha sottoposto ad un secondo esame psicologico, morale ed economico. All’inizio avrei voluto un figlio afghano perchè ne avevo visti tanti mutilati dalle mine o costretti a mendicare un tozzo di pane agli angoli di strada come orfani di guerra. I paesi musulmani non consentono adozioni agli “infedeli”, anche se l’Afghanistan è la mia seconda patria raccontata tante volte sul Giornale dal 1983 ad oggi.
Allora abbiamo scelto la Colombia, che ci era stata presentata come la “Prussia” delle adozioni dal punto di vista della serietà e correttezza. Quando stava arrivando il nostro turno nella lunga lista d’attesa il baluardo anti corruzione è crollato con un clamoroso scandalo di mazzette per le adozioni. Tutto bloccato e oramai era passato troppo tempo dall’inizio dell’odissea. Quando ho superato i 50 anni mi sono detto che non potevo essere il nonno del figlio adottivo, che rischiava di diventare grande quando sarei stato troppo anziano per fargli da padre. Così la disavventura dell’adozione è finita in nulla per destino, sfortuna e un sistema che sembra fatto apposta per metterti i bastoni fra le ruote. L’amaro in bocca e la pena nel cuore rimarranno sempre per il bimbo o la bimba sfortunati che potevano trovare, forse non i tre cuori e una capanna delle fiabe, ma sicuramente una famiglia che avrebbe accolto un nuovo figlio con amore. 
[continua]

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14 marzo 2015 | Tgr Friuli-Venezia Giulia | reportage
Buongiorno regione
THE WAR AS I SAW IT - L'evento organizzato dal Club Atlantico giovanile del Friuli-Venezia Giulia e da Sconfinare si svolgerà nell’arco dell’intera giornata del 10 marzo 2015 e si articolerà in due fasi distinte: MATTINA (3 ore circa) ore 9.30 Conferenza sul tema del giornalismo di guerra Il panel affronterà il tema del giornalismo di guerra, raccontato e analizzato da chi l’ha vissuto in prima persona. Per questo motivo sono stati invitati come relatori professionisti del settore con ampia esperienza in conflitti e situazioni di crisi, come Gianandrea Gaiani (Direttore responsabile di Analisi Difesa, collaboratore di diverse testate nazionali), Fausto Biloslavo (inviato per Il Giornale in numerosi conflitti, in particolare in Medio Oriente), Elisabetta Burba (firma di Panorama), Gabriella Simoni (inviata Mediaset in numerosi teatri di conflitto, specialmente in Medio Oriente), Giampaolo Cadalanu (giornalista affermato, si occupa di politica estera per La Repubblica). Le relazioni saranno moderate dal professor Georg Meyr, coordinatore del corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche dell’Università di Trieste. POMERIGGIO (3 ore circa) ore 14.30 Due workshop sul tema del giornalismo di guerra: 1. “Il reporter sul campo vs l’analista da casa: strumenti utili e accorgimenti pratici” - G. Gaiani, G. Cadalanu, E. Burba, F. Biloslavo 2. “Il freelance, l'inviato e l'addetto stampa in aree di crisi: tre figure a confronto” G. Simoni, G. Cuscunà, cap. B. Liotti

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10 giugno 2008 | Emittente privata TCA | reportage
Gli occhi della guerra.... a Bolzano /2
Negli anni 80 lo portava in giro per Milano sulla sua 500, scrive Panorama. Adesso, da ministro della Difesa, Ignazio La Russa ha voluto visitare a Bolzano la mostra fotografica Gli occhi della guerra, dedicata alla sua memoria. Almerigo Grilz, triestino, ex dirigente missino, fu il primo giornalista italiano ucciso dopo la Seconda guerra mondiale, mentre filmava uno scontro fra ribelli e governativi in Mozambico nell’87. La mostra, organizzata dal 4° Reggimento alpini paracadutisti, espone anche i reportage di altri due giornalisti triestini: Gian Micalessin e Fausto Biloslavo.

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03 febbraio 2012 | UnoMattina | reportage
Il naufragio di nave Concordia e l'allarme del tracciato satellitare


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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
Italia
Missioni militari e interesse nazionale
https://www.radioradicale.it/scheda/535875/missioni-militari-e-interesse-nazionale Convegno "Missioni militari e interesse nazionale", registrato a Roma giovedì 15 marzo 2018 alle 09:23. L'evento è stato organizzato da Center for Near Abroad Strategic Studies. Sono intervenuti: Paolo Quercia (Direttore del CeNASS, Center for Near Abroad Strategic Studies), Massimo Artini (vicepresidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, Misto - Alternativa Libera (gruppo parlamentare Camera)), Fausto Biloslavo (giornalista, inviato di guerra), Francesco Semprini (corrispondente de "La Stampa" da New York), Arije Antinori (dottore di Ricerca in Criminologia ed alla Sicurezza alla Sapienza Università di Roma), Leonardo di marco (generale di Corpo d'Armata dell'Esercito), Fabrizio Cicchitto (presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa). Tra gli argomenti discussi: Difesa, Esercito, Esteri, Forze Armate, Governo, Guerra, Informazione, Italia, Ministeri, Peace Keeping, Sicurezza. La registrazione video di questo convegno ha una durata di 2 ore e 46 minuti. Questo contenuto è disponibile anche nella sola versione audio

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03 gennaio 2011 | Radio Capodistria - Storie di bipedi | intervento
Italia
Gli occhi della guerra
Le orbite rossastre di un bambino soldato, lo sguardo terrorizzato di un prigioniero che attende il plotone di esecuzione, l’ultimo rigagnolo di vita nelle pupille di un ferito sono gli occhi della guerra incrociati in tanti reportage di prima linea. Dopo l’esposizione in una dozzina di città la mostra fotografica “Gli occhi della guerra” è stata inaugurata a Trieste. Una collezione di immagini forti scattate in 25 anni di reportage da Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Almerigo Grilz, ucciso il 19 maggio 1987 in Mozambico, mentre filmava uno scontro a fuoco. La mostra, che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 gennaio, è organizzata dall’associazione Hobbit e finanziata dalla regione Friuli-Venezia Giulia. L’esposizione è dedicata a Grilz e a tutti i giornalisti caduti in prima linea. Il prossimo marzo verrà ospitata a Bruxelles presso il parlamento europeo.Della storia dell'Albatross press agency,della mostra e del libro fotografico Gli occhi della guerra ne parlo a Radio Capodistria con Andro Merkù.

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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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20 giugno 2017 | WDR | intervento
Italia
Più cittadini italiani con lo ius soli
Estendere la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri? È la proposta di legge in discussione in Senato in questi giorni. Abbiamo sentito favorevoli e contrari.

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