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09 luglio 2023 - Prima - Italia - Il Giornale
Una giudice anti Cav dà ragione ai clandestini Riapre la rotta balcanica e condanna il Viminale
Un’ordinanza del tribunale di Roma condanna il Viminale a risarcire 100 euro al giorno, in tutto 18.200 euro, un ex militare pachistano rimandato in Slovenia e poi a catena fino in Bosnia, dalla polizia di frontiera di Trieste che cerca di tamponare la rotta balcanica.
La giudice, Damiana Colla, basa la sua decisione su «informatori», come Diego Saccora dell’associazione «Lungo la rotta balcanica».
Il 5 luglio, la stessa associazione esulta così, su Facebook, per la condanna: «Questa importantissima notizia, la dedichiamo a tutte le persone respinte dall\\\'Italia e a ogni confine, nella speranza che altre prendano coraggio per denunciare le violenze subite dalle istituzioni». Non solo: «La dedichiamo anche a tutte le attiviste e attivisti ogni giorno sul campo, a darsi staffetta come nella migliore tradizione partigiana. Perché ieri, ora e sempre. Resistenza» con un bel pugno chiuso che chiude la frase.
La giudice non è nuova a pronunciamenti pro migranti e nel 2021 aveva considerato non diffamatori sei articoli che definivano Silvio Berlusconi «delinquente, terrorista, malavitoso» e altro ancora.
L’ultima ordinanza riguarda il caso di un pachistano che arriva clandestinamente a Trieste il 17 ottobre 2020 lungo la rotta balcanica.
Subito intercettato dai militari, a ridosso del confine, viene rimandato in Slovenia secondo la pratica delle riammissioni informali, che si basano su un discusso accordo con Lubiana del 1996. Gli sloveni lo rispediscono in Croazia, dove non usano i guanti bianchi per trasferirlo in Bosnia, tappa di partenza.
Il pachistano riesce a tornare a Trieste, lungo la stessa rotta clandestina, il 17 aprile 2021 e prosegue per Brescia dove otterrà lo status di rifugiato.
Il 31 dicembre dello stesso anno chiede il risarcimento danni al Viminale grazie agli avvocati dell’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che fa di tutto per aprire le porte e bloccare le riammissioni informali in Slovenia. Per questo motivo è stata finanziata anche da George Soros. Il motivo della causa è la «pratica di riammissione informale con cui le autorità italiane lo hanno respinto in Slovenia nonostante egli avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale».
Secondo l’ordinanza non si tratta di un povero civile finito sotto le bombe, ma di un ex militare pachistano che ha «lasciato il Paese d’origine nel 2018 dopo essere rimasto ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan, temendo ritorsioni sia da parte degli estremisti sia da parte dell’esercito, di cui era membro».
La giudice spiega bene come si arriva al ricorso contro il ministero dell’Interno. Il pachistano viene rintracciato in Bosnia dalla giornalista, Elisa Oddone, che «ha testimoniato di essere stata lei ad offrirgli il primo contatto con gli attuali difensori» dell’Asgi. La free lance e Saccora della politicizzata associazione «Lungo la rotta balcanica», vengono «ascoltati quali sommari informatori». Il reportage di Oddone diventa una «prova».
Non solo: la prima fonte citata dalla giudice per giustificare l’ordinanza è «l’ultimo report del database dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE)». A prima vista sembrerebbe una costola dell’Unione europea, ma in realtà è un cartello di 105 Ong, compresi molti talebani dell’accoglienza, e sopratutto l’Asgi, che attraverso gli avvocati Caterina Dove e Anna Brambilla hanno presentato il ricorso del pachistano.
Evidentemente una fonte più attendibile del Viminale, che viene condannato al risarcimento «di euro 18.200,00, pari alla misura di 100,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’accesso alla procedura d’asilo in Italia». Il periodo viene calcolato tra il primo ingresso clandestino a Trieste, con relativa riammissione in Slovenia considerata «illegittima» dalla giudice e il secondo che ha permesso al pachistano di restare in Italia.
L’Asgi ci aveva già provato con un altro pachistano che addirittura denunciava pestaggi da parte della polizia italiana. Peccato che era una bufala ribaltata dal ricorso del Viminale. Gli avvocati pro migranti hanno pronti altri due casi con l’obiettivo di far dichiarare illegittime le riammissioni in Slovenia. Nella zona di Gorizia gli arrivi sono triplicati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, già considerato un boom.
E a Trieste si registrano in media una ventina di ingressi al giorno confermando che la rotta balcanica è l’emergenza terrestre dell’immigrazione illegale.
[continua]

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15 marzo 2018 | Radio Radicale | intervento
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Missioni militari e interesse nazionale
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06 settembre 2018 | Radio immaginaria | intervento
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Teen Parade
Gli adolescenti mi intervistano sulla passione per i reportage di guerra

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24 maggio 2010 | Radio Padania Libera | intervento
Italia
Proselitismo islamico dietro le sbarre
“Penso che sia giusto se alcuni musulmani combattono la guerra santa contro gli americani in paesi che non sono la loro terra”. Dopo un lungo girarci attorno Kamel Adid sorprende un po’ tutti, quando sputa il rospo. La domanda riguardava i mujaheddin, i musulmani pronti a morire per Allah, contro l’invasore infedele. Tre soldati della guerra santa, arrivati un paio di mesi fa da Guantanamo, sono rinchiusi poco più in là, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Opera, alle porte di Milano.
Adid è un giovane marocchino di 31 anni con barbetta islamica d’ordinanza e tunica color noce. Nel carcere modello di Opera fa l’imam dei 44 musulmani detenuti, che frequentano una grande sala adibita a moschea. Un predicatore fai da te, che di solito parla un linguaggio moderato e ti guarda con occhioni apparentemente timidi.
Deve scontare ancora due mesi di pena per un reato legato alla droga e da pochi giorni è stato trasferito in un altro istituto. “Quelli che si fanno saltare in aria subiscono il lavaggio del cervello – si affretta a spiegare l’autonominato imam – Noi abbiamo riscoperto la fede in carcere. Pregare ci da conforto, ci aiuta ad avere speranza”.

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03 giugno 2019 | Radio Scarp | intervento
Italia
Professione Reporter di Guerra


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27 gennaio 2020 | Radio 1 Italia sotto inchiesta | intervento
Italia
Esercito e siti ebraici
Fausto Biloslavo I nostri soldati rispettano la giornata della Memoria dell’Olocausto non solo il 27 gennaio, ma tutto l’anno. L’esercito, con l’operazione Strade sicure, schiera 24 ore al giorno ben 700 uomini in difesa di 58 siti ebraici sul territorio nazionale. Tutti obiettivi sensibili per possibile attentati oppure oltraggi anti semiti. “Per ora non è mai accaduto nulla anche grazie alla presenza dei militari, che serve da deterrenza e non solo. Il senso di sicurezza ha evitato episodi di odio e minacce ripetute come in Francia, che rischiano di provocare un esodo della comunità ebraica” spiega una fonte militare de il Giornale. I soldati, che si sono fatti le ossa all’estero, sorvegliano, quasi sempre con presidi fissi, 32 sinagoghe o tempi ebraici, 9 scuole, 4 musei e altri 13 siti distribuiti in tutta Italia, ma soprattutto al nord e al centro. La città con il più alto numero di obiettivi sensibili, il 41%, è Milano. Non a caso il comandante del raggruppamento di Strade sicure, come in altre città, è ufficialmente invitato alle celebrazioni del 27 gennaio, giorno della Memoria. Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele, il rappresentante della comunità ebraica di Livorno, Vittorio Mosseri, ha consegnato una targa al comandante dei paracadustisti. “Alla brigata Folgore con stima e gratitudine per il servizio di sicurezza prestato nell’ambito dell’operazione Strade sicure contribuendo con attenzione e professionalità al sereno svolgimento delle attività della nostro comunità” il testo inciso sulla targa. In questi tempi di spauracchi anti semiti l’esercito difende i siti ebraici in Italia con un numero di uomini praticamente equivalente a quello dispiegato in Afghanistan nel fortino di Herat. Grazie ad un’esperienza acquisita all’estero nella protezione delle minoranze religiose, come l’antico monastero serbo ortodosso di Decani in Kosovo. “In ogni città dove è presente la comunità ebraica esiste un responsabile della sicurezza, un professionista che collabora con le forze dell’ordine ed i militari per coordinare al meglio la vigilanza” spiega la fonte del Giornale. Una specie di “assessore” alla sicurezza, che organizza anche il sistema di sorveglianza elettronica con telecamere e sistemi anti intrusione di avanguardia su ogni sito. Non solo: se in zona appare un simbolo o una scritta anti semita, soprattuto in arabo, viene subito segnalata, fotografata, analizzata e tradotta. “I livelli di allerta talvolta si innalzano in base alla situazione internazionale” osserva la fonte militare. L’ultimo allarme ha riguardato i venti di guerra fra Iran e Stati Uniti in seguito all’eliminazione del generale Qassem Soleimani. Roma è la seconda città per siti ebraici presidiati dai militari compresi asili, scuole e oratori. Le sinagoghe sono sorvegliate pure a Napoli, Verona, Trieste e quando necessario vengono disposte le barriere di cemento per evitare attacchi con mezzi minati o utilizzati come arieti. A Venezia i soldati garantiscono la sicurezza dello storico ghetto. A Livorno e in altre città sono controllati anche i cimiteri ebraici. Una residenza per anziani legata alla comunità è pure nella lista dei siti protetti a Milano. Ed i militari di Strade sicure nel capoluogo lombardo non perdono d’occhio il memoriale della Shoah, lo sterminio degli ebrei voluto da Hitler.

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