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Reportage
23 aprile 2025 - Esteri - Mozambico - Panorama
Mozambico, oltre la linea d’ombra
MAPUTO - “Ero nascosto in  bagno quando sono entrati in casa e hanno preso mio zio. E’ stato decapitato con una catana, come se sgozzassero una gallina o un capretto. Il corpo da una parte e la testa dall’altra” racconta Paulo Manuel mimando con le mani la terribile scena. Il testimone mozambicano ha dovuto fuggire da Mocimboa da Praia nel 2019, all’arrivo dei jihadisti ispirati dall’Isis. La città è tornata sotto controllo governativo, ma l’insorgenza islamica nel Nord del paese non demorde. Il primo aprile è stato attaccato un villaggio con tanto di bandiere nere del Califfato che sventolavano davanti alle abitazioni in fiamme. A soli 100 chilometri da Pemba, dove è rifugiato Paulo, il capoluogo della provincia di Cabo Delgado infiltrata dai terroristi.
Il Mozambico, uno dei pilastri del piano Mattei per l’Africa del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha rischiato negli ultimi mesi di implodere dopo i contestati risultati delle elezioni presidenziali del 9 ottobre. Secondo un rapporto mai reso pubblico degli osservatori dell’Unione europea, che hanno denunciato irregolarità, Daniel Chapo ha vinto, ma di misura (55%) e non con le percentuali bulgare iniziali poi ridotte dalla stessa Commissione elettorale al 65%. Il nuovo presidente è del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico) al potere da 50 anni dopo il dominio portoghese.
Il pastore evangelico, Venâncio Mondlane, leader populista, passato per i principali partiti dell’opposizione, ha contestato il voto scatenando scontri, soprattutto a Maputo, che hanno provocato 300 morti. Grande comunicatore si è autoproclamato “presidente del popolo” e dall’estero dove era riparato per timore di venire ucciso continuava a guidare la protesta via social. Poi rientrato in Mozambico ha dichiarato a un rappresentante della Ue, che la “storia ha diversi esempi di cambiamenti repentini come la marcia su Roma”. Una fonte di Panorama ammette che “si temeva la guerra civile o l’anarchia”. Il 25 marzo i due rivali si sono stretti la mano per mettere fine al caos, ma l’impressione è che i nodi torneranno al pettine. Gran parte dei giovani nelle città e della classe media ha votato Mondlane. Il leader dell’opposizione ha fondato un nuovo partito Anamalala (tutto è finito). “Vogliamo cambiare rotta dopo mezzo secolo di potere del Frelimo” spiegano nelle strade di Maputo. Il marxismo-leninismo delle origini non esiste più, ma la vecchia guardia del partito al potere voleva ancor più pugno di ferro da parte delle Unità di intervento rapido della polizia, che si sono distinte per la repressione delle proteste. “Il maggiore interesse dell’Italia, come del resto della comunità internazionale è la stabilità - spiega l’ambasciatore in Mozambico, Gabriele Annis - in maniera tale che il nuovo governo possa procedere alle necessarie riforme politiche, sociali ed economiche annunciate nel discorso di insediamento dal presidente Chapo”.
Il Mozambico è uno dei nove paesi africani della prima fase dei progetti pilota del piano Mattei con un investimento di 85 milioni di euro. Uno dei più importanti è il Centro agroalimentare di Manica per valorizzare la produzione agricola, che beneficerà circa 20mila produttori delle zone centrali del Mozambico. “Sogno i cargo che atterrano all’aeroporto di Manica, che verrà allargato, per esportare i prodotti agricoli negli altri paesi africani, e perché no, anche in Europa” commenta l’ambasciatore italiano.
I problemi endemici del paese, però, sono enormi. Nonostante il Mozambico possieda un “tesoro” di 3mila miliardi di metri cubi di gas naturale, ancora in gran parte da sfruttare, rimane uno fra gli ultimi 20 paesi al mondo nell’indice di sviluppo delle Nazioni Unite con circa due terzi dei 31 milioni di abitanti sotto la soglia di povertà. Alexis Meyer Cirkel, rappresentante del Fondo monetario internazionale ha sottolineato che il 73% del bilancio statale viene utilizzato per pagare i salari pubblici “del 3% della popolazione occupata”. Un altro 20% serve a pagare gli interessi sul debito, uno dei più alti dell’Africa sub sahariana. Simone Santi, presidente della Camera di commercio del Mozambico, nel paese dal 1996, è ottimista e sostiene che "le aziende italiane hanno una presenza rilevante e il nuovo governo sta dimostrando la volontà di continuare una collaborazione, in linea con il Piano Mattei, basata sull'utilizzo delle risorse per industrializzare il paese. Una grande opportunità per le nostre imprese”.
L’8 aprile l’esecutivo di Maputo ha approvato lo sviluppo di una seconda piattaforma galleggiante dell’Eni per l’estrazione e produzione del gas naturale liquefatto, Coral Norte, nel bacino di Rovuma, al largo del Mozambico. Un progetto di 7,2 miliardi di dollari, che dovrebbe iniziare nel 2028. La prima piattaforma, Coral Sul, opera già dal 2022 nello stesso bacino con una capacità di liquefazione di 3,4 milioni di tonnellate di gas naturale all’anno. Il mega giacimento scoperto dall’Eni, di 2500 miliardi di metri cubi, è a 35 miglia al largo di Cabo Delgado, la provincia infestata, non a caso, dallo Stato islamico. “La confinante Tanzania lascia passare imam radicali o jihadisti che fomentano il nord del Mozambico” rivela una fonte di intelligence. Quattromila ruandesi, i prussiani d’Africa, sono intervenuti al fianco dell’esercito mozambicano assestando duri colpi ai terroristi. La zona ricca di gas e anche di miniere di pietre preziose, è stata ribattezzata “il nuovo Qatar”, ma l’emirato rimane fuori dai giochi per lo sfruttamento dei giacimenti che potrebbero dare fastidio ai suoi interessi nel mercato energetico. La Tanzania, che ha bacini con 1600 miliardi di metri cubi di gas vorrebbe attirare maggiormente gli investimenti di grandi compagnie come la Exxon, che partecipa alla joint venture con l’Eni più a Sud nelle acque mozambicane.
L’insorgenza islamica ha provocato 6mila morti e due milioni di sfollati. I terroristi, guidati da veterani arabi, sarebbero appena 500, ma gli emissari jihadisti reclutano giovani fra i 17 e 25 anni, pagando 6mila euro ai capifamiglia. “Le incursioni continuano e rapiscono i ragazzi per arruolarli a forza o le ragazzine più belle costringendole a rapporti sessuali” denuncia Paulo sfollato a Pemba dove vive con la famiglia in un tugurio di fango e canne senza acqua corrente ed elettricità.
A fronteggiare l’Isis sono ricomparsi i Naparama, una milizia dei tempi della guerra civile fra Renamo e Frelimo, che combatte solo con archi, frecce, lance e machete. Giovani, che usano  bandane rosse come segno distintivo, e si credono “immortali” grazie ad una pozione che viene assimilata attraverso dei tagli sul torace.
L’8 aprile, nella zona centrale di Caia, un gruppo di uomini armati ha teso un’imboscata sulla strada nazionale depredando e dando alle fiamme dei camion. La zona verso Gorongosa è una storica roccaforte della Renamo, che ha ancora qualche arsenale nascosto. Gli assalitori, fra i 50 e 60 anni, sono probabilmente ex guerriglieri, che protestano per rivendicare aiuti e pensioni previsti dalla smobilitazione.
La sanguinosa guerra civile si chiuse con un accordo siglato a Roma nel 1992, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, garantito dall’operazione Albatros dei nostri alpini. Trent’anni dopo le penne nere dell’Ana stanno costruendo un centro pastorale con una chiesa, a Pemba, per ricordare la missione. Suor Franca Bottin, in Mozambico dal 2002, ci fa vedere le fondamenta. E spiega: “Il popolo si aspettava un cambiamento forte con le ultime elezioni. Speriamo che non riprenda la guerra civile, ma il pericolo esiste: la gente è stanca e ha aperto gli occhi”.
Fausto Biloslavo CAIA - Almerigo Grilz, il primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dopo la fine del secondo conflitto mondiale, riposa dal 19 maggio 1987 ai piedi di un secolare albero africano. In aprile l’associazione Amici di Almerigo ha organizzato una “missione” in Mozambico, dove il triestino di 34 anni trovò la morte per documentare la guerra civile di allora, con l’obiettivo di portare una targa che lo ricorderà per sempre. La tomba di Grilz, che ha sempre detto di voler venire sepolto sul posto se avesse incrociato un proiettile con il suo nome, è immersa nella foresta. Il giornalista era al seguito dei ribelli anticomunisti della Renamo che combattevano contro i governativi del Frelimo, ancora oggi al potere. La pace è stata firmata a Roma nel 1992, grazie alla mediazione dell’attuale cardinale Matteo Zuppi.
“Mi sporgo fuori per filmarli: non è facile, occorre stare appiattiti a terra perché le pallottole fischiano dappertutto… alzare troppo la testa può essere fatale” è la frase riportata sulla targa, che Almerigo aveva scritto durante il reportage in Mozambico. Un documentario racconterà la “missione” in occasione della seconda edizione del premio giornalistico dedicato ad Almerigo Grilz, per l’anniversario della sua morte, che si terrà a Trieste e Milano.
(f.bil.)
[continua]

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26 maggio 2015 | Il caffè di Rai uno | reportage
Almerigo il giornalista caduto e dimenticato
L'ultima pagina del diario di guerra in Mozambico di Almerigo Grilz ucciso il 19 maggio 1987 mentre filmava uno scontro a fuoco fra ribelli e governativi. "La sveglia è chiamata dopo le 5, che è ancora buio. Fa freddo, l'erba è umida e c'è una nebbiolina brinosa tutto attorno. Riteniamo opportuno iniziare la giornata con un sorso di whisky, che fa l'effetto di una fiammata in gola".

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