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Reportage
24 settembre 2025 - Esteri - Taiwan - Panorama
Aspettando il peggio
TAIPEI - Le urla strazianti sembrano vere. I corpi distesi a terra, sedie e tavoli ribaltati, sirene d’allarme e gente presa dal panico rendono l’idea di cosa potrebbe accadere se i missili di Pechino piombassero su Taiwan, l’isola libera dell’estremo Oriente che la Cina considera roba sua. L’esercitazione di primo soccorso è organizzata dall’Accademia Kuma, che usa come stemma l’Orso nero, simbolo nazionale, con un fucile a tracolla. “Le minacce che provengono dalla Cina hanno convinto dei patrioti a fondare questa associazione, che realizza corsi di sopravvivenza e difesa civile per preparare la popolazione al peggio, se fossimo invasi e scoppiasse una guerra” spiega, Aha Chu, responsabile dell’Accademia. “Ogni giorno vedo in tv scene terribili. Se scoppiasse il conflitto voglio sapere cosa fare, come aiutare me stessa e gli altri a sopravvivere” dichiara una donna con il volto coperto da una mascherina. I partecipanti, 70% donne, temono di venire schedati dai servizi di Pechino. Uno degli istruttori con una maglietta da paramedico porta a tracolla un fucile mitragliatore finto. Alle sue spalle, sulla parete, è appesa una bandiera ucraina arrivata dal fronte del Donbass con le firme dei soldati in prima linea e parole che non lasciano dubbi: “Libertà” oppure “Uccidi i comunisti”.
Il caldo afoso è umido a Taipei, la “capitale” di Taiwan, un’’isola grande come Piemonte e Lombardia, dal verde lussureggiante anche in mezzo a grattacieli con il tetto a forma di pagoda. L’affacendata città dell’Estremo Oriente, ordinata e pulita, conta 2,8 milioni di abitanti, gentili e disponibili con gli stranieri. La modernità si diluisce con i templi taoisti avvolti nell’incenso delle preghiere ed i mercati incassati fra le case dove vanno per la maggiore polli e spaghetti di soia. “Cane che abbaia non morde - sostiene simulando con le dita l’animale un venditore di gustoso riso cucinato sul posto - Pechino vuole intimorirci, ma non ho paura”. La priorità è mantenere lo status quo, come auspica l’85% della popolazione, che dura, fra alti e bassi, dal 1949 quando il generale nazionalista Chiang Kai-shek del Kuomintang, sconfitto da Mao nella guerra civile, si ritirò sull’isola. Oggi i taiwanesi sono 23 milioni, divisi dalla terraferma da uno stretto di mare largo fino a 180 chilometri. Dalla dittatura Taiwan è passata alla democrazia con il Kuomintang, chiamati i blu, oggi disponibili ad un compromesso con la Cina comunista. Al potere ci sono i verdi del Partito progressista democratico con il presidente Lai Ching-te, più indipendentista, bollato dai militari cinesi come “un parassita che avvelena l’isola”. Xi, il nuovo Mao, ha sempre ribadito che  Taiwan è parte integrante della madrepatria e verrà “riunificata pacificamente”, se possibile, o con le cattive. 
Nella chiesa affidata ai missionari italiani della Fraternità San Carlo Borromeo a New Taipei, la messa viene celebrata in mandarino. I cristiani sono meno del 2%, ma padre Paolo Costa è un veterano, da 23 anni a Taiwan: “Ultimamente è aumentata la preoccupazione per un attacco cinese. Fino a qualche anno si diceva che fosse impossibile, ma adesso si teme che sia probabile”.
Il palazzo presidenziale a Taipei risale ai tempi dell’occupazione giapponese della seconda guerra mondiale. Oggi simbolo di libertà e democrazia ospita il Consiglio di sicurezza nazionale. Lin Fei-fan, il giovane numero due, non ha dubbi: “Siamo già sotto attacco “silenzioso” con sabotaggi, violazioni della Zona di identificazione di difesa aerea, guerra informatica, campagne di disinformazione, infiltrazioni”. E aggiunge i numeri sorprendenti: punte di 2 milioni di attacchi cyber al giorno, la maggioranza respinti, ma alcuni fanno gravi danni. “I cavi sottomarini per le telecomunicazioni vengono sabotati 7-8 volte l’anno - denuncia Lin - Solo in agosto abbiamo avuto quasi 500 intrusioni di velivoli militari cinesi”.
L’isola ha 90mila rifugi antiaerei ricavati ovunque: dalla metropolitana ai parcheggi sotterranei fino agli scantinati dei condomini. Il cartello con una freccia rossa e la scritta “Air defence shelter”, all’ingresso di una stazione della nuova metro, indica il vasto vano di ingresso e le scale mobili che si immergono in profondità. “In caso di allarme sono previsti 4 metri quadrati a persona e abbiamo un generatore autonomo - spiega con puntiglio tecnico Kuo-Sung Hsieh - Siamo in grado di ospitare 6mila civili garantendo viveri, acqua e un primo soccorso per i ferirti in una stanza ad hoc dieci metri sotto terra”.
In luglio la grande esercitazione, Han Kuang, ha simulato pure l’attacco di droni e missili a Taipei con fumo che si alzava dagli edifici e il lugubre ululato dell’allarme aereo come a Kiev. Difesa civile e militari nelle strade con la popolazione che riceveva via app le indicazioni per raggiungere il rifugio più vicino.
Yalin, che ha studiato musicologia a Roma, è pessimista: “La vedo male. Le divisioni interne e l’asprezza dei toni fra il Kuomintang e il Partito progressista hanno raggiunto livelli altissimi”. Per la donna di mezza età, che parla italiano, “qualcosa sta già accadendo, un anticipo della guerra che verrà con lo scontro fortissimo sui social”. I suoi amici hanno già preparato uno zaino di sopravvivenza se arrivasse il peggio. 
Jia Cheng, 49 anni, “super verde per l’indipendenza”, come si definisce, vorrebbe superare lo status quo. Taiwan  è indipendente di fatto, ma dichiararla farebbe scattare immediatamente l’attacco. “Non siamo mai stati governati dalla Cina comunista e per questo ci sentiamo liberi - sostiene - Non dobbiamo fare il muso duro con Pechino, ma armarci per difenderci”. I giovani sembrano più timorosi: “Siamo preoccupati per le tensioni e se venissimo invasi gran parte di noi ragazzi cercherebbe di scappare” osserva una coppia di sposi novelli. 
Taiwan è riconosciuta, per timore di rappresaglie della superpotenza cinese, solo da una dozzina di Stati compreso il Vaticano. La Difesa nazionale conta su 200mila uomini in servizio attivo e 2milioni di riservisti. Il presidente Lai ha aumentato il budget militare al 3% del prodotto interno lordo e spronato la produzione di droni, come in Ucraina. Però l’obiettivo di 180mila velivoli senza pilota, nel 2028, sembra molto lontano. Taiwan ha caccia da combattimento, una flotta, missili anti nave, terra-terra Himars, batterie anti aeree Patriot ed i reparti si addestrano con gli americani, ma non può bastare contro una super potenza nucleare. La 7ima flotta Usa presidia l’aerea strategica per i traffici marittimi. Ming-Shih Shen dell’Istituto per la difesa nazionale e sicurezza fa presente che “le portaerei americane impiegherebbero 14 giorni per arrivare dagli Stati Uniti e 5 dalla base di Guam”. Ma riceverebbero l’ordine di proteggere Taiwan rischiando la terza guerra mondiale? “Non credo che il presidente Trump interverrebbe militarmente” sostiene l’ammiraglio Lee Hsi-Min, ex capo di Stato maggiore. “L’obiettivo finale di Pechino è far capitolare il governo - spiega - I cinesi possono attuare una quarantena con un blocco navale. Se optassero per un’invasione, lo sbarco non sarebbe una passeggiata e potrebbe trasformarsi in un incubo di fronte ad una perniciosa guerriglia”. Le simulazioni di guerra prevedono migliaia di morti da ambo le parti, ma pure scenari “di quinte colonne, attivazioni di spie magari sposate a taiwanesi da lungo tempo con l’obiettivo di provocare disordini fomentando le fazioni politiche estreme” sottolinea il ricercatore dell’Istituto per la Difesa nazionale. 
“Non credo che scatterà un’invasione. Taiwan può resistere due settimane come riserve energetiche (importa il 96% del fabbisogno dall’estero nda) - è convinto un italiano che vive nell’isola e preferisce l’anonimato - Magari qualcuno si presenterà in tv dalla sera alla mattina annunciando la riappacificazione con Pechino”. Il Kuomintang, con 52 seggi in Parlamento su 113 è all’opposizione e vuole il riavvicinamento pacifico. La data con una linea rossa sul calendario è il 2027, centenario del Pla, le forze armate cinesi, che coincide con il rinnovo dei pieni poteri di Xi.
Il viceministro degli Esteri, Francois Wu, non ha dubbi: “La Cina vuole dominare il mondo e conquistare Taiwan, che considero il paese più “europeo” dell’Asia. Non abbiamo bisogno di dichiarare l’indipendenza perchè, de facto, siamo già autonomi”. La forza dell’isola è la produzione del 70% dei semi conduttori nel mondo per i microchip di cellulari, computer, ma pure per i sistemi di guida dei missili. I più sofisticati arrivano al 95% globale e quelli collegati all’intelligenza artificiale al 100%. 
Da agosto spopola la serie televisiva Zero day attack, che affronta il tabù dell’invasione cinese. David Kao, responsabile commerciale, spiega: “La possibilità di una guerra con la Cina è come un elefante nella stanza. Tutti sanno che potrebbe accadere, ma nessuno ne parla. Dopo la fine di Hong Kong e l’invasione dell’Ucraina abbiamo sentito l’urgenza di realizzare la serie, prima che sia troppo tardi”.
Fausto Biloslavo
[continua]