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Reportage
08 maggio 2014 - Esteri - Ucraina - Il Giornale
L’”italiano di Donetsk”: qui sono tutti armati, finirà come in Jugoslavia
Per tutti sono«l’italiano di Donetsk».Si presenta co­sì, Bruno Giudice,che vi­ve d­a dieci anni nella città diven­tata l’epicentro della rivolta filo russa. «Chi l’avrebbe mai im­maginato di trovarsi in una si­tuazione che mi ricorda da vici­no il disastro dell’ex Jugosla­via » ammette Bruno. Lo ab­biamo scova­to per caso, grazie a sua moglie, Nata­lia, che parte­cipava nella piazza centra­le con la sta­tua di Lenin ad una mani­fe­stazione filo­russa.
Trentanove anni, Giudice è nato nella Svizzera tede­sca da genito­ri emigrati dalla provincia di Sa­lerno. Passaporto italiano, par­la con l’accento del suo paese Santa Marina. In tutta la zona del Donbass, in mano ai ribelli armati, ci sono solo 14 conna­zionali. L’ambasciata a Kiev li ha contattati ed invia continue mail di avvertimento sulle pro­cedure da seguire per rischiare il meno possibile. «Abbiamo pa­ura della guerra civile, ma se la situazione precipita dove scap­pi? - si chiede l’italiano di Do­netsk- . Per la Russia, che è vici­na, ci vuole il visto. Se devi arri­vare fino al confine polacco ci metti un giorno. Le strade sono pericolose e piene di posti di blocco. E l’aeroporto possono chiuderlo come hanno fatto martedì». Per la famiglia Giudi­ce che ha due figlie, Yulia e Fran­cesca di soli 8 anni, la soluzione migliore «è rimanere sprangati in casa. Per questo abbiamo fat­to scorte di generi di prima ne­cessità, acqua e scatolette, co­me tutti ».
Nei prossimi giorni Bruno si aspetta il peggio, fra l’anniver­sario della vittoria sul nazifasci­smo di domani ed il referen­dum per l’indipendenza, che il Cremlino ha chiesto ieri di rin­viare. «Abitiamo a un chilome­tr­o e mezzo da una caserma del­l’esercito ucraino - racconta Bruno - . Martedì sono arrivati imiliziani filorussi ben armati e hanno messo in piedi un posto di blocco per non far passare i soldati che avrebbero potuto andare verso le zone dei com­battimenti a Slaviansk».
Il pericolo maggiore, secon­do Giudice, «è che adesso la gente comincia ad azzuffarsi in famiglia e fra amici. E tutti han­no un’arma in casa,
 pistole, fuci­li da caccia o se la stanno procu­rando ».
Ai tempi della rivolta di Mai­dan a Kiev, nell’Est pensavano che sarebbe stata spazzata via. Il 21 febbraio la fuga del presi­dente Viktor Yanukovich è sta­to un shock. «Fino a quando la gente scendeva in piazza gri­dando “Russia, Russia” non mi preoccupavo molto - sottoli­nea il connazionale - . Quando sono comparse le prime armi ho capito che si sta scivolando verso la guerra civile. I risultati li ho visti con i miei occhi in Cro­azia negli anni Novanta».
Per il 9 maggio, anniversario della vittoria, la moglie respon­sabile di una ditta di pulizie ha ricevuto ordine «di rimuovere tutti i cestini di un centro com­merciale per paura di attenta­ti ». L’11 maggio la signora an­drà a votare per il referendum sul futuro della repubblica di Donetsk. «Ma cosa vogliono ve­ramente? - si chiede Bruno - . Si era partiti dal federalismo, poi si parlava di annessione alla Russia e adesso di indipenden­za
 ».
Fra un mese la figlia di primo letto della moglie si sposa. «Con un giovane poliziotto ar­ruolato da poco­
spiega l’italia­no di Donetsk- . Il suocero è nel­la Milicja da vent’anni e neppu­re lui si spiega come sia stato possibile arrivare a questo pun­to ». La sorella e i genitori di Bru­no a Santa Marina sono preoc­cupati. «Li tranquillizzo gettan­do acqua sul fuoco - spiega - . Non è facile lasciare tutto a co­minciare dalla casa, ma se but­ta male porto via la famiglia e torno in Italia, al mio paese». 
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[continua]

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