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Articolo
05 febbraio 2016 - Prima - Egitto - Il Giornale
Su Giulio i segni delle torture “Forse tradito dai suoi contatti”
G li italiani che lavorano sulla brutale fine di Giulio Regeni temono che il giovane ricercatore trovato morto al Cairo mercoledì notte sia stato tradito dai contatti che aveva sul telefonino. Il connazionale di Fiumicello, in provincia di Udine, sarebbe stato fermato dalle forze di sicurezza egiziane il 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, nella zona super blindata della capitale per il quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir. Dal suo telefonino aveva mandato un sms ad un amico per raggiungere da quell'area una festa di compleanno, prima che il cellulare venisse spento per sempre. Chi lo avrebbe preso in custodia, come avviene per prassi, si sarebbe messo a controllare numeri di telefono e messaggi di Regeni. In Egitto era in contatto con ambienti di «sinistra», degli attivisti dei diritti umani e dei lavoratori, che non vanno a genio né al governo, né agli islamici. E conosceva giornalisti scomodi già arrestati al Cairo dai servizi egiziani. Il saper parlare arabo, per un europeo che vive in Egitto grazie ad un dottorato di ricerca, agli occhi di chi potrebbe averlo interrogato avrebbe destato sospetti nella psicosi dell'antiterrorismo e degli stranieri fomentatori. Le forze di sicurezza egiziane non vanno per il sottile e l'interrogatorio potrebbe essersi trasformato in brutale violenza, fino alla morte del povero Regeni. Poi avrebbero fatto ritrovare il corpo cercando di accreditare la pista dell'incidente, della criminalità comune o dei «motivi personali». Tutte piste che sono state fatte circolare.Qualcosa, però, è andato storto. Il cadavere del giovane è stato ritrovato mercoledì notte ai margini dell'autostrada tra il Cairo e Alessandria. Secondo il procuratore capo, Ahmad Nagi, il corpo «presenta segni di tortura, bruciature di sigaretta, percosse, escoriazioni, un orecchio tagliato ed è nudo nella metà inferiore».In precedenza il generale Khaled Shalabi, capo degli investigatori della polizia a Giza, aveva dato una versione completamente diversa sostenendo che la morte sarebbe stata provocata «da un incidente d'auto». Più tardi è sceso in campo Ashraf al Anany, direttore dell'ufficio stampa del ministero dell'Interno egiziano, assicurando «l'assenza di segni di tortura». Ulteriori indiscrezioni, però, parlano di «morte lenta e colpi inferti con strumenti taglienti». Non a caso il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha chiesto «fermamente al governo egiziano di consentire alle autorità italiane di collaborare alle indagini. Vogliamo che emerga la verità fino in fondo». I primi investigatori dovrebbero arrivare oggi. Lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha parlato al telefono con il capo dello stato egiziano, Abdel Fattah al-Sisi.La sera prima della scomparsa di Regeni, le autorità egiziane avevano arrestato uno studente americano accusato di «incitare le proteste» in occasione dell'anniversario di piazza Tahrir. Un amico dell'italiano ucciso ha raccontato al quotidiano filo governativo Al Ahram, che il dottorando voleva intervistare «attivisti dei sindacati» per la sua ricerca sull'economia egiziana. Regeni criticava duramente «le politiche neo liberiste» e come copertina del profilo Facebook, cancellato del tutto nei contenuti, aveva una foto in bianco e nero di Enrico Berlinguer. Ieri il giornalista Giuseppe Acconcia ha rivelato che il ricercatore italiano scriveva sul Manifesto con uno pseudonimo. Non firmava gli articoli con il vero nome «perché aveva paura per la sua incolumità». Acconcia è stato arrestato dal Mukabarat, i servizi egiziani, durante la rivolta di piazza Tahir nel 2011. E ha intervistato l'ex presidente Mohammed Morsi dei Fratelli musulmani deposto dal generale Al Sisi e condannato a morte. Se Regeni aveva nella rubrica del cellulare il contatto di Acconcia sarebbe bastato a far scattare un interrogatorio. Il giovane friulano si era avvicinato alle battaglie per i diritti sociali e civili in Egitto facendo riferimento alle posizioni dell'ex ministro del Lavoro, Ahmed el Borai cacciato da Al Sisi. Nessuna colpa, ma agli occhi di zelanti e primitivi agenti dell'antiterrorismo, magari di livello inferiore, potrebbero essere diventati indizi di chissà cosa. Nelle scorse settimane lo stesso presidente al Sisi è intervenuto pubblicamente «per condannare la brutalità» delle forze dell'ordine.
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video
21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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radio

15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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