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08 febbraio 2016 - Attualità - Egitto - Il Giornale
“Gli 007 non c’entrano Giulio finito in mano a squadre paramilitari”
«Impossibile che siano stati professionisti del Mukhabarat. Non avrebbero mai fatto ritrovare il corpo, che è un elemento di prova importantissimo per identificare gli assassini», spiega al Giornale un alto funzionario di polizia, che conosce gli apparati egiziani. Mukhabarat è il termine arabo per servizi d'informazione. Al Cairo i principali sono tre con reparti specifici sull'antiterrorismo. «E poi Giulio Regeni non era così importante da torturarlo per estirpargli informazioni che probabilmente non aveva», sostiene la nostra fonte. L'ipotesi più probabile, se il giovane friulano fosse stato effettivamente fermato e interrogato fino alla morte, riguarda le squadre paramilitari che affiancano le forze di polizia e antiterrorismo oppure degli agenti di basso livello. Regeni è sparito il 25 gennaio, quinto anniversario della rivolta di piazza Tahrir, in una zona del Cairo blindata per evitare proteste. Le forze di sicurezza avevano schierato di tutto e lo studente italiano, molto vicino agli attivisti antigovernativi, può essere stato fermato. Quando l'hanno sentito parlare in arabo sarebbe scattata la psicosi del fomentatore straniero. I contatti con l'opposizione sul telefonino avrebbero aggravato la situazione. Sempre come ipotesi i suoi aguzzini avrebbero cominciato ad interrogarlo. Lui resisteva e la situazione sarebbe sfuggita di mano fino alla morte del giovane. I responsabili si sarebbero ben guardati dall'avvisare i superiori. Poi disfacendosi del cadavere avrebbero cercato ingenuamente di depistare le indagini verso incidenti d'auto, criminalità comune o motivi personali.Il procuratore distrettuale di Trieste, Carlo Mastelloni, esperto di intrighi mediorientali, conferma con l'agenzia Ansa l'ipotesi che i torturatori di Regeni potrebbero essere manovalanza di basso livello. L'alto magistrato sostiene: «Per approssimazione si può pensare a forze che operino per reprimere forme di dissenso. Questo episodio criminale, che ha ovviamente gettato ombre sulla nuova gestione egiziana, induce giocoforza a ritenere che i torturatori siano guardiani di bassa forza e fuori controllo istituzionale».Cani sciolti o meno è arduo credere alla pista della criminalità, che ancora ieri veniva ribadita dal Dipartimento di Sicurezza generale del Cairo. La «beatificazione» immediata del giovane Regeni, che sta prendendo la mano alla politica e ai media, ha posto in secondo piano un altro tassello della vicenda. Il giovane friulano era un ricercatore ed aspirante giornalista di stampo marxista contrario al nuovo corso egiziano del presidente Al Sisi. Una figura nel mirino dei servizi di sicurezza ben prima della tragica fine di Regeni. L'ultimo caso è quello di Ismail Alexandrani, pure lui giornalista e ricercatore di sinistra. In Germania aveva tenuto lezioni sulla situazione politica in Egitto. Il primo dicembre è stato arrestato al rientro in patria con l'accusa di essere in combutta con i Fratelli musulmani per «propagare false notizie». Alexandrani collaborava con il Centro per i diritti economici e sociali, che Regeni aveva ripetutamente contattato per incontrare i sindacati ribelli egiziani. Un altro stretto contatto del giovane torturato era Giuseppe Acconcia, anche lui con doppia veste di ricercatore specializzato in Medio Oriente per un'università di Londra e giornalista, ma in realtà strenuo oppositore di Al Sisi. Nel 2001 era stato arrestato in piazza Tahrir dal Mukhabarat. Acconcia scrive sul Manifesto ed è stato il primo a rivelare la collaborazione con pseudonimo di Regeni. Fonti attendibili rivelano che, nonostante l'impostazione comunista, sia molto vicino ai Fratelli musulmani. Gli egiziani lo avrebbero inserito nella lista nera.

video
21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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radio

15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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