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Fatti
24 febbraio 2016 - Esteri - Egitto - Panorama
Quel ragazzo mandato in prima linea

La sera del 25 gennaio, Giulio Regeni doveva raggiungere Hassanein Kishk, vicino a piazza Tahrir, superblindata per il quinto anniversario della rivolta del 2011. All’appuntamento in un ristorante per festeggiare il compleanno del guru della sinistra antigovernativa, il giovane friulano non è mai arrivato. Il corpo torturato del ricercatore è stato ritrovato il 3 febbraio alla periferia del Cairo.

Kishk è uno dei contatti di lunga data di Anne Alexander, docente di Cambridge duramente critica del nuovo corso dell’ex generale Abdel Fattah Al Sisi e molto vicina all’opposizione di estrema sinistra che pensa di allearsi con i Fratelli musulmani, fuorilegge in Egitto. Nel 2009, due anni prima della primavera araba, l’accademica inglese aveva invitato Kishk alla Scuola di studi orientali e africani di Londra per un convegno sulle proteste sindacali in Egitto. Assieme alla sua tutor principale, Maha Abdelrahman, Alexander era la referente accademica di Regeni per il dottorato al Cairo con l’Università di Cambridge.

Gli investigatori italiani, che hanno in mano il computer portatile della vittima, stanno indagando sulla «pista accademica» e sui contatti (non solo in Egitto) che potrebbero averlo fatto finire nei guai. Un altro sodale di Alexander è il sociologo dell’Università americana del Cairo, Sameh Naguib, membro di spicco dei Rivoluzionari socialisti egiziani di matrice trozkista, che ha definito i Fratelli musulmani «un movimento riformista di massa». Naguib e Alexander parleranno il 12 marzo a Londra contro la repressione in Egitto. Sul sito del settimanale Socialist worker l’iniziativa è pubblicizzata con il ricordo della tragica fine di Regeni, «che ha svelato l’inumano regime egiziano», responsabile «della repressione di migliaia di attivisti soprattutto dei Fratelli musulmani».

Sempre con Naguib, la docente di Cambridge ha realizzato un progetto di ricerca sugli «sforzi delle organizzazioni di opposizione per sopravvivere e riorganizzarsi al di fuori dell’Egitto sulla scia del rovesciamento militare di Mohamed Morsi (l’ex presidente dei Fratelli musulmani, ndr) nel luglio 2013». L’ennesimo obiettivo «accademico» di Alexander riguarda le «indagini sull’uso delle piattaforme digitali e degli strumenti di mobilitazione in rete nei movimenti per il cambiamento politico in Medio Oriente», al fine di creare «sfere di dissidenza» e «nuove culture di attivismo». Abdelrahman e Alexander, le due referenti di Regeni a Cambridge, hanno raccolto 

4.600 firme di accademici in 90 paesi, compresa l’Italia, per una petizione che chiede la verità sulla fine di Regeni e «su tutte le sparizioni forzate, sulle torture e i decessi nelle carceri» egiziane nel 2016. Dal Cairo, il portavoce del ministero degli Esteri, Ahmed Abu Zeid, si è detto «sorpreso per il fatto che simili ipotesi infondate possano arrivare da accademici, che dovrebbero essere i primi ad aderire ai principi di imparzialità, rigore e professionalità». 

A Fiumicello, provincia di Udine, dove è nato Regeni, il 12 febbraio, giorno del funerale, l’ex sindaco Paolo Dean, si chiedeva: «Lo hanno mandato in Egitto allo sbaraglio? È questa la domanda che ci siamo posti in tanti. Penso che sia stato in qualche maniera spinto da Cambridge o dai suoi contatti al Cairo, che gli hanno fatto sottovalutare il pericolo». Alle esequie ha preso la parola Peter Nolan, rappresentante della prestigiosa università inglese, che con Panorama si è trincerato dietro un secco riserbo imposto da Cambridge. Alla domanda se fosse arrivata a Fiumicello la tutor di Regeni, ha risposto vagamente «non lo so, non l’ho vista». In realtà Abdelrahman aveva appena ricordato, a sorpresa sull’altare, il suo dottorando, e senza neppure essere presentata, al contrario degli altri oratori. In seguito si è dileguata per venir poi sentita dal pm Sergio Colaiocco, titolare dell’inchiesta sul caso Regeni. 

All’appuntamento con l’accademico egiziano la sera della scomparsa, Regeni doveva andarci con Gennaro Gervasio. Pure lui uomo di sinistra, docente all’Università britannica del Cairo, dove vive da 20 anni. Esperto di Medio Oriente e di primavere arabe, scrive sul Manifesto e non nasconde le idee di opposizione al regime di Al Sisi. La sua ultima monografia è dedicata al movimento marxista in Egitto. Gervasio è stato il primo a dare l’allarme, poche ore dopo la scomparsa dell’amico, chiamando l’ambasciatore italiano Maurizio Massari. Il maledetto 25 gennaio, che ha inghiottito per sempre Regeni, il sito Viaggiare sicuri della Farnesina raccomandava di «limitare gli spostamenti ed evitare gli assembramenti» a causa dell’anniversario della rivolta di Tahrir. Alla richiesta di informazioni su quella sera e sui rapporti con Regeni, Gervasio ha risposto via mail: «Mi dispiace, ma non rilascio dichiarazioni. La prego di rispettare il lutto mio e della famiglia». Regeni era «un marxista gramsciano» ha scritto sul Manifesto Giuseppe Acconcia, altro stretto contatto del giovane torturato, pure lui ricercatore a Londra e collaboratore del Manifesto, arrestato nel 2011 a piazza Tahrir. Acconcia è vicino ai Fratelli musulmani e sulla lista nera degli egiziani. 

Non è un caso che la tragica fine di Regeni sia cavalcata dagli oppositori vicini alla Fratellanza. Davide Piccardo, che rappresenta il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, ha bollato sulla sua pagina Facebook «Al Sisi - assassino come Videla», il generale argentino dei desaparecidos. Al funerale del giovane era presente una delegazione di una quindicina di attivisti giunti da Milano. Un paio si sono piazzati in testa al corteo funebre per farsi fotografare e filmare. La Coalizione degli egiziani all’estero di Ahmed Abdel Aziz ha indetto la mobilitazione scrivendo che «Giulio è la punta dell’iceberg, l’ultimo delle nostre vittime» del regime egiziano. «Mi pare evidente il tentativo dei Fratelli musulmani di strumentalizzare il caso Regeni per colpire l’esecutivo Al Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto» dice Giovanni Giacalone, analista del radicalismo islamico.   

A Torino, il 13 febbraio, si è tenuto un presidio dal Comitato boycott Israel con volantini intitolati «Gli assassini di Giulio». Gli slogan dell’adunanza per la morte di Regeni non lasciavano dubbi: «Contro il sostegno italiano al regime di Al Sisi - contro l’intervento militare in Libia e Iraq - per il blocco della vendita di armi».


video
23 febbraio 2016 | Porta a Porta | reportage
Il caso Regeni
Un video, denunce pubbliche dei pericoli per gli studenti in Egitto e scritti militanti mostrano un altro volto dei referenti accademici inglesi di Giulio Regeni. Non sono solo professori universitari, ma attivisti contro il regime egiziano oppure erano a conoscenza dei rischi della ricerca al Cairo dello studente friulano. Lo rivela il numero di Panorama in edicola con un titolo forte: “Le colpe dei docenti di Cambridge”.

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10 febbraio 2016 | Sky Tg24 | reportage
Il caso Regeni
I misteri di un'orribile moret al Cairo. I suoi supervisori dell'università di Cambridge lo avevano messo in guardia sui rischi che correva?

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21 agosto 2013 | Uno Mattina | reportage
I Fratelli musulmani piegati dalla piazza e dai militari
Sull'Egitto i grandi inviati sono rimasti infatuati dai Fratelli musulmani duramente repressi, ma gran parte degli egiziani non stava più con loro e non li considerava delle vittime

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radio

15 febbraio 2016 | Zapping Radio uno | intervento
Egitto
Misteri e sospetti sulla morte di Regeni
Ospedali Bombardati in Siria.Non si fermano i raid:Germano Dottori analista strategicoLuiss,Gastone Breccia esperto Medio Oriente,Loris De Filippi presidente MSF. I misteri ed i sospetti sulla morte di Regeni:Fausto Biloslavo.

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07 aprile 2016 | Zapping Rai Radio 1 | intervento
Egitto
Regeni: la pista inglese
Le referenti accademiche di Regeni sono protette da un insolito tabù mediatico e governativo. In realtà proprio il ruolo delle docenti di Cambridge potrebbe indirizzare verso il movente dell’orribile fine del giovane ricercatore. Maha Abdulrahaman, la sua tutor di origini egiziane, l’11 giugno dello scorso anno aveva tenuto una conferenza sui “Diritti umani in Egitto” a Cambridge nella sede di Amnesty international, che ha lanciato la campagna “verità per Giulio”. La conferenza denunciava le “forme di repressione contro giornalisti, studenti, attivisti, lavoratori e cittadini ordinari”. Pur conoscendo bene i pericoli ha controfirmato l’analisi del rischio presentata da Regeni all’università per poter andare al Cairo. La sua sodale, Alexander, ha storto il naso contro la “tardiva” presa di posizione britannica: “Quando un dottorando viene torturato ed ucciso i ministri sembrano riluttanti a dire qualcosa di critico sulle autorità egiziane”. In ottobre con Regeni al Cairo, grazie ai suoi contatti, la docente di Cambridge pubblicava un’analisi proponendo l’alleanza fra gli attivisti di sinistra ed i Fratelli musulmani “capace di farla finita con il regime del generale” Al Sisi, presidente egiziano. Il 25 ottobre firmava un appello contro la visita del capo dello stato egiziano a Londra, poi pubblicato su Ikhwanweb, il sito ufficiale dei Fratelli musulmani. Il 4 novembre con Regeni sempre in prima linea al Cairo arringava la piazza a Londra bollando Al Sisi come “un assassino” sollevando l’entusiasmo e lo sventolio delle bandiere della Fratellanza. Il tutto immortalato in un video, che non può essere sfuggito ai servizi inglesi ed egiziani. Alexander fin dal 2009 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell’Egyptian Revolutionary Council, il governo ombra dell’opposizione ad Al Sisi con sede a Ginevra. La Farnesina non ha mai voluto commentare questa parte, inquietante ed ambigua, del caso Regeni, che potrebbe portare al movente del delitto.

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