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01 giugno 2022 - Esteri - Ucraina - Panorama
Bombardare la cultura
“Stai attento e fai veloce se vuoi filmarlo perchè i russi ci martellano di continuo fregandosene del memoriale dell’Olocausto” avvisava in aprile l’ufficiale ucraino dietro i sacchetti di sabbia sulla prima linea alla periferia di Kharkiv. Il gigantesco candelabro ebraico, Menorah, in pietra bianca era mozzato e annerito dai colpi di artiglieria. Il monumento ricorda la fucilazione in massa di 15mila ebrei durante la seconda guerra mondiale. Un tassello della distruzione del patrimonio culturale e storico dell’Ucraina provocata dalla guerra. E alle bombe si aggiunge la cultura della “cancellazione”, che talvolta sfocia in furia iconoclasta e battaglia dei simboli da tutte e due i lati della barricata.
Fino al 14 maggio il ministero della Cultura dell’Ucraina ha registrato 331 casi di distruzione e danneggiamenti di siti, edifici o monumenti che fanno parte del patrimonio nazionale. Nelle stesse ore nuovi missili colpivano il cimitero ebraico di Glukhiv, una piccola città storica nella regione di Sumy, vicina al confine con la Federazione russa nel Nord Est del paese. I combattimenti non hanno risparmiato neppure l’incantevole complesso di monasteri ortodossi del patriarcato di Mosca di Dormition Svyatogirsk Lavra nel cuore della regione di Donetsk. Razzi e bombe hanno danneggiato o polverizzato 110 siti del patrimonio culturale nazionale, 114 edifici religiosi, 41 memoriali, 26 musei e 62 case della cultura, spesso utilizzate come basi della protezione civile, teatri o biblioteche. Il ministero di Kiev ricorda che “la distruzione del patrimonio culturale è un crimine di guerra secondo la convenzione de L’Aja del 1954”. E il responsabile del dicastero, Oleksandr Tkachenko, dichiara che \"solo i barbari possono distruggere la nostra cultura in modo così disumano”.
Gli ucraini hanno risposto con l’abbattimento dei monumenti dedicati ai soldati sovietici che avevano liberato il paese dall’occupazione nazista. A Kiev è stata decapitata la statua dell’ amicizia con i russi e a Chervonohrad, come in altre città, vengono rimossi altri monumenti che raffigurano i soldati dell’Armata rossa in pose eroiche. Ad Odessa, bloccata dalla flotta russa del Mar Nero, resiste l’obelisco con il “fuoco eterno” alla base del marinaio ignoto dedicato ai liberatori sovietici della città nella seconda guerra mondiale, che adesso sono invasori. Dall’altra parte i russi tirano giù i monumenti patriottici ucraini nelle zone occupate e alzano la bandiera rossa con la falce martello della liberazione di Berlino del 1945.
Nella “guerra” dei simboli e culturale vengono coinvolti anche gli alpini. Tutto è iniziato fra marzo e aprile quando il sito russo Bloknot-voronezh.ru, punta il dito contro i simboli “fascisti” delle penne nere come il monumento di Rossosch in territorio occupato, che in realtà ricorda tutti i caduti in terra di Russia durante il secondo conflitto mondiale. Per di più il sito accusa che alcuni alpini starebbero combattendo a fianco dei “nazisti ucraini”. Sul piccolo monumento sono stilizzati sia il cappello con la penna nera che la stella simbolo dell’Armata rossa e la targa recita: “Da un tragico passato un presente di amicizia per un futuro di fraterna collaborazione”. Niente da fare: il monumento di Rossosch, sede del comando del corpo d’amata alpino nel 1942, è stato distrutto e sfregiato con la la lettera Z, simbolo delle truppe d’invasione. Per di più il cippo era stato collocato dall’Associazione nazionale alpini (Ana) davanti all’asilo “Sorriso”, una struttura per l’infanzia che ospita 180 bambini, costruita nel 1993 dai volontari delle penne nere e donata alla città in segno di riconciliazione. “Amarezza e sconforto sono i primi sentimenti che provo davanti alle immagini che ci arrivano da Rossosch - ha commentato Sebastiano Favero, presidente dell’Ana - Purtroppo la storia fatica ad essere maestra e questo è davvero triste”. Anche il ponte dell’amicizia costruito dagli alpini a Nikolajewka, dove si è svolta un’eroica battaglia per rompere la sacca dell’Armata rossa nel gennaio 1943,  è stato deturpato con la Z bianca e le sagome dei cappelli alpini ricoperte da una lamiera.
Kharkiv, la seconda città del paese a 39 chilometri dal confine russo, ha subito i danni più ingenti al patrimonio culturale registrando 90 casi. Il 6 maggio il bombardamento russo che ha distrutto il museo Hrihoriy Skovoroda a Skovorodynivka è stato commentato duramente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Non ci penserebbero neppure i terroristi, ma questo è il tipo di esercito con cui abbiamo a che fare”. Skovoroda era un importante filosofo ucraino nel Settecento e quest’anno ricorre il trecentesimo anniversario della sua nascita. Per fortuna le opere di maggior valore erano già state portate in salvo, ma l’edificio è completamente distrutto. A Kharkiv sono stati danneggiati anche il Teatro di Stato per l\'Opera e il Balletto e il Museo d’Arte. In molte centri a rischio attacchi le statue sono avvolte da una montagna di sacchetti di sabbia come protezione.
Odessa è la più “italiana” delle città ucraine. Attilio Malliani, consigliere diplomatico del sindaco e referente della Farnesina, è un elegante e ospitale calabrese, che ha aiutato i nostri connazionali ad evacuare all’inizio dell’invasione. “Odessa è stata fondata dagli italiani. Il primo sindaco e capo della polizia erano italiani - spiega - Tutte le più importanti opere architettoniche sono state fatte dagli italiani”. Nel centro città l’Opera, dove ha cantato Pavarotti, è circondata da sacchetti di sabbia e non si può fotografare in quanto “obiettivo sensibile”. Malliani rivela che il ministro della Cultura, Enrico Franceschini, si sta impegnando presso l’Unesco “per far accettare con procedura d’urgenza il riconoscimento del centro storico di Odessa come patrimonio culturale dell’umanità”. Uno scudo, seppure tenue, di fronte ai bombardamenti. E per questo obiettivo, aggiunge il connazionale, “ha costituito una task force di caschi blu con i nostri carabinieri per la protezione dei beni culturali”.
A Kiev, la capitale ucraina, sta prendendo piede la “cancel culture”. Nel mirino c’è Lev Tolstoj, autore di “Guerra e pace”. Una stazione della metropolitana e una piazza sono intitolati a suo nome, ma potrebbero cambiare grazie ad un sondaggio in rete fra la popolazione. La campagna di “derussificazione” era già iniziata negli anni ’90 post sovietici e aveva subito un’impennata dopo la rivolta di Maidan nel 2014. L’invasione russa ha fatto esplodere la situazione. I musicisti Pyotr Tchaikovsky o Igor Stravinsky sono pure sotto tiro. Una pianista di Kiev, Olha Liforenko, intervistata da Al Jazeera, è convinta che “dovremo mettere in pausa la cultura russa. Per molto tempo”.
Nelle zone occupate i russi fanno di peggio e cancellano  da un giorno all’altro la Storia e la Letteratura ucraina dai programmi scolastici. I presidi che non si piegano vengono rimossi con le buone o con le cattive. A Mariupol, la città martire, i bombardamenti hanno fatto a pezzi la statua in bronzo di Alexander Pushkin, uno dei più amati poeti russi, che visitò lo strategico porto sul mare d’Azov nel 1820 dopo essere stato esiliato dallo zar Nicola I. I nuovi “simboli” sono la nonnina del Donbass che con la bandiera rossa della seconda guerra mondiale avrebbe rifiutato gli aiuti alimentari offerti dai soldati ucraini. Per ritorsione i militari avrebbero calpestato la bandiera con la falce e martello e la storia è diventata virale. I russi hanno eretto una statua della nonnina con tanto di bandiera rossa.
L’Italia, anche nel caso delicato di Mariupol, ci prova ad intervenire con il ministro Franceschini che annuncia: \"I teatri sono patrimonio dell’umanità. E’ giusto che il nostro paese, così importante nella tutela dei beni culturali, intervenga a ricostruire il teatro” distrutto dalle bombe, che era stato trasformato in rifugio per i civili.
Fausto Biloslavo
[continua]

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